Questo Sito non ha fini di lucro, né periodicità di revisione. Le immagini, eventualmente tratte dal Web, sono di proprietà dei rispettivi Autori, quando indicato.  Proprietà letteraria riservata. Questo Sito non rappresenta una Testata Giornalistica in quanto viene aggiornato senza nessuna periodicità. Pertanto non può essere considerato, in alcun modo, un Prodotto Editoriale ai sensi e per gli effetti della Legge n.62 del 7 Marzo 2001.
 
 
Scarica il PDF della situazione
Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.
HomeInterniEsteriCulturaIl parolaio 
________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________ 
L’Ira di Putin
____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 
 
L'Ira di Putin 
 
 
 
L’ira di Putin contro gli Usa: “Aggressione illegittima”. E mobilita uomini e mezzi 
Mosca straccia l’intesa bilaterale sul coordinamento dei voli in Siria 
 
Il bombardamento americano della base aerea di Shayrat è un atto di "aggressione basato sulla menzogna, come l’invasione dell’Iraq nel 2003 da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati".  
L’accusa viene ripetuta come un mantra al Palazzo di Vetro dal fronte dei contrari all’interventismo di Donald Trump contro Bashar al-Assad. Un’accusa che in Consiglio di sicurezza è stata ribadita ieri con tanto di sventolio di cartelloni con la faccia di Colin Powell, il segretario di Stato Usa che nel 2003 portò alle Nazioni Unite le «pistole fumanti», prova presunta dell’imminente uso di armi di distruzione di massa da parte di Saddam Hussein. L’accusa è stata mossa anche dal ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, mentre il vice ambasciatore di Mosca all’Onu, Vladimir Safronkov, ha parlato di azione «illegittima che rafforza il terrorismo e avrà gravi conseguenze». Comprese contromosse da parte russa e non solo, visto che il fronte pro-Assad comprende diversi attori di peso in campo.  
 
Siria, così Trump sceglie il blitz: “È un segnale per il regime”   
I sospetti del Pentagono per la complicità russa nei bombardamenti col sarin. 
La Russia è stata complice di un crimine di guerra? Dopo il raid di giovedì notte in Siria, questa pesante domanda incombe su Donald Trump e potrebbe costringerlo a cambiare strategia, provocando una pericolosa escalation.   
 
In principio, i missili lanciati sulla base di al Shayrat - di cui Washington aveva avvertito in anticipo gli alleati, Italia compresa - avevano tre scopi: punire Assad per l’attacco chimico di Khan Sheikoun; costringerlo a cambiare atteggiamento militare sul terreno; convicere lui e i suoi sostenitori, come la Russia e l’Iran, a prendere sul serio il processo negoziale gestito dall’Onu a Ginevra, per trovare finalmente una soluzione politica al conflitto. Un quarto obiettivo indiretto era quello di lanciare un segnale al mondo, sulla determinazione con cui la nuova amministrazione intende rispondere alle minacce, spingendo ad esempio il presidente cinese Xi invitato a Mar-a-Lago a fare più pressione sulla Corea del Nord per fermare il suo programma nucleare.  
E mobilita uomini e mezzi   
Il segretario di Stato Tillerson e il consigliere per la sicurezza nazionale McMaster hanno confermato tale linea, in un briefing tenuto ieri mattina. «La nostra politica sulla Siria - ha assicurato Tillerson - non è cambiata». Con questo intendeva dire che l’obiettivo principale resta sradicare i terroristi dell’Isis, e non avviare un’invasione di terra per rovesciare Assad, come era disastrosamente accaduto con Saddam Hussein nel 2003. Lo scopo dei missili, in sostanza, non era «cambiare il regime, ma il comportamento di Damasco». L’ambasciatrice all’Onu Nikki Haley ha confermato questo concetto, spingendolo un po’ oltre: «Abbiamo preso una iniziativa limitata, e speriamo che basti. Riteniamo che la soluzione del conflitto stia nel processo politico». Nello stesso tempo, però, ha aggiunto una minaccia: «Se necessario, siamo pronti a fare altro».  
I russi hanno risposto che con l’attacco ad Assad gli americani stanno facendo il gioco dei terroristi, confermando almeno indirettamente la teoria secondo cui l’attacco chimico sarebbe stato lanciato dagli oppositori, per screditare il leader di Damasco proprio mentre stava vincendo sul terreno, e mentre Washington dichiarava che rimuoverlo non era più la priorità. In queste condizioni favorevoli, che interesse aveva Bashar a complicarsi la vita? I ribelli quindi avrebbero teso una trappola, e Trump ci sarebbe caduto dentro. Il presidente avrebbe ceduto ai suoi impulsi emotivi, dopo aver visto le immagini dei bambini colpiti, invertendo in 48 ore la linea politica stabilita tanto verso Assad, quanto verso Putin.  
Il problema con questa teoria sono le informazioni raccolte dall’intelligence americana. I servizi Usa hanno visto gli aerei che decollavano dalla base di al Shayrat, e li hanno seguiti fino a quando hanno sganciato le bombe chimiche su Khan Sheikoun. I militari russi erano nella base, e quindi o erano così incompetenti da non capire cosa stava succedendo, oppure erano complici. La questione è più complessa di una semplice speculazione, perché dopo l’attacco chimico l’intelligence americana ha notato un drone che sorvolava l’ospedale dove erano state portate le vittime. Ad un certo punto il drone si è ritirato, e un aereo è arrivato per bombardare l’ospedale con ordigni convenzionali, probabilmente allo scopo di cancellare le prove dell’uso delle armi vietate.   
Il caccia impiegato era di fabbricazione russa, come molti degli apparecchi siriani, ma il Pentagono vuole chiarire chi lo stava pilotando. Il sospetto, infatti, è che si trattasse di un militare di Mosca. Se così fosse, i soldati del Cremlino non si sarebbero limitati a chiudere un occhio su quanto accadeva nella base di al Shayrat, ma avrebbero partecipato all’attacco chimico, rendendosi complici di un crimine di guerra. Questo renderebbe molto difficile sedersi di nuovo con i russi al tavolo negoziale di Ginevra, e aprirebbe la porta al rischio di una pericolosa escalation militare.   
 
"Un certo numero di contromisure atte a rafforzare e migliorare l’efficiacia del sistema difensivo aereo siriano saranno attuate a breve per proteggere infrastrutture vitali", avverte il portavoce del ministero della Difesa russo, Igor Konashenkov.  
Tra queste c’è la mobilitazione di uomini e mezzi al comando di Mosca a ridosso di obiettivi sensibili in funzione deterrente, come dire "colpirle sarà una dichiarazione di guerra alla Russia".   
 
Gli Usa attaccano l’arsenale chimico di Assad: “Pronti a fare di più”. Mosca: “Aggressione”. Damasco: “Risponderemo”   
Mosca ha poi stracciato, a partire dalla mezzanotte di oggi, l’accordo di «linea diretta» sottoscritto con gli Usa nel 2015 sullo scambio quotidiano di informazioni per evitare incidenti di fuoco amico tra forze aeree. Questo aumenta il rischio di scontri diretti tra americani e russi, anche perché in fatto di intelligence sul terreno le forze Usa hanno avuto carenze in passato, come dimostra il raid aereo «accidentale» contro le forze siriane all’aeroporto di Deir Ezzor dello scorso settembre.   
 
C’è poi da capire perché dei 59 Tomahawk lanciati, solo 23 sembra abbiano colto nel segno, dove sono finiti gli altri e perché rimane ancora ignoto. Ci sono le prove muscolari del Cremlino infine, come l’arrivo nel Mediterraneo orientale della fregata russa «Admiral Grigorovich», appartenente alla flotta del Mar Nero, armata con missili da crociera Kalibr. La flotta russa nel Mediterraneo può contare attualmente su circa 10 tra navi da guerra e di supporto, che hanno come riferimento il porto di Tartus in Siria. La nuova arrivata si posizionerà a ridosso delle due cacciatorpedinieri Ross e Porter da cui è partito il raid Usa. C’è poi l’aspetto politico, all’Onu, dove la Russia fa ormai le veci di Damasco. È difficile al momento pensare che sul campo ci saranno azioni ulteriori, almeno da parte russa. «Da altri alleati di Assad sì, del resto a saltare non sono state solo le linee rosse di Trump», spiegano fonti vicine a Mosca. Amin Hoteit, «il generale dei generali» leader militare di Hezbollah in Siria, dice che «gli Usa erano pronti a colpire da giorni, non è possibile preparare un’azione di questo genere in 24 ore». E ciò ridà fiato a Isis e Al Nusra, perché "l’aeroporto Shayrat è punto vitale per contrastare i terroristi dello Stato Islamico".   
Non a caso sotto la pioggia di Tomahawk, le due formazioni hanno dato vita a offensive su larga scala contro l’esercito siriano. "Mi auguro - dice Konashenkov - che non sia stata una manovra coordinata con gli Usa".  
Questo rende plausibili azioni militari contro tutte le forze in campo alleate di Usa e Turchia, come Free Syrian Army che hanno chiesto agli Usa di proseguire i raid, Turcomanni, Ahrar am Cham, ma anche ai danni dei 3 mila Uiguri arroccati sulle montagne al confine con la Turchia. Chi è pronto a ritorsioni, spiegano fonti in contatto con Teheran, è l’Iran, sia colpendo obiettivi locali sia obiettivi americani nella regione.   
 
C’è infine l’ipotesi di ritorsioni contro Israele da parte siriana in risposta a quelle del Golan da parte dello Stato ebraico, e da parte di formazioni palestinesi per punire l’aggressore Usa colpendo il suo più grande alleato.  
 
Fine dell’idillio Putin-Trump 
La situazione si è ribaltata in poche ore, e si torna alle vecchie regole della guerra fredda: il ministro degli Esteri russo Lavrov paragona il blitz americano all’intervento in Iraq, mentre il Cremlino continua a negare l’esistenza di un arsenale chimico di Bashar Assad 
Un "atto di aggressione contro uno Stato sovrano, compiuto in maniera pretestuosa» e di conseguenza un «grave danno alle relazioni russo-americane, gia ridotte in uno stato deplorevole".  
La reazione di Vladimir Putin, trasmessa dal suo portavoce, non lascia sfumature. A quanto pare, non ci sono militari russi colpiti nella base di Al-Shayrat, nella provincia di Homs: secondo fonti del Pentagono, il comando di Mosca è stato avvertito dell’attacco, che ha evitato di prendere di mira le zone della base dove erano dislocati uomini e aerei delle forze armate di Putin. Ma resta il fatto che americani e russi hanno evitato per un pelo di scontrarsi direttamente, e che comunque si trovano definitivamente dalle parti opposte della barricata, e mentre Putin parla ancora di un «grave ostacolo alla creazione della coalizione internazionale per la lotta al terrorismo», il suo ministero degli Esteri ha già sospeso il memorandum sul coordinamento delle operazioni tra russi e americani in Siria, negoziato con l’amministrazione di Obama.   
La situazione si è ribaltata in poche ore, e si torna alle vecchie regole della guerra fredda 2.0: il ministro degli Esteri Serghey Lavrov paragona il blitz americano all’intervento in Iraq, mentre il Cremlino continua a negare l’esistenza di un arsenale chimico di Bashar Assad. Muro contro muro, posizioni opposte a 180 gradi, patti chiari e inimicizia a quanto pare lunga. Nulla di nuovo, se non che il raid ordinato dal presidente americano segna la fine del progetto politico ribattezzato dai giornalisti russi “Trump è nostro”, sulla falsariga dello slogan “La Crimea è nostra” dei tempi dell’annessione.  
Il presidente del comitato Esteri della Duma Leonid Sluzky fa un timido tentativo di giustificare il mancato “amico”, parlando di una misteriosa «provocazione per delegittimare Trump», mentre il suo collega della camera alta Konstantin Kosachev ci mette una pietra sopra: «I muri di Trump si moltiplicano. Peccato, tutto sembrava iniziare così bene».  
Le speranze di un riavvicinamento tra Mosca e Washigton sembravano sempre più esili: nessun vertice Trump-Putin in vista, nuove sanzioni invece della cancellazione di quelle precedenti, la richiesta di «restituire la Crimea» e infine l’accusa di Rex Tillerson a Mosca di non aver rispettato gli accordi sulle armi chimiche in Siria, mentre resta la minaccia che l’immunità concessa all’ex consigliere di Trump Michael Flynn in cambio delle informazioni all’Fbi sui contatti con i russi durante la campagna elettorale possa generare uno scandalo di dimensioni mai viste finora. Nel gioco dell’oca internazionale Mosca all’improvviso si vede retrocedere di diverse mosse quando sperava di essere prossima al traguardo. Per molti ambienti, dai militari ai servizi ai propagandisti e a molti politici, è un sollievo: tutto torna come prima, il copione è già scritto, le mosse assegnate, alla televisione verrà affidato il compito di spiegare all’opinione pubblica come mai un presidente descritto quasi come un russo onorario - 
al contrario dei “guerrafondai” Obama e Clinton - diventi all’improvviso il nemico numero uno della Russia. Per certi versi, le bombe sulla Siria facilitano la campagna elettorale di Putin per le elezioni 2018, che a questo punto si svolgerà nel classico scenario del leader forte che difende la nazione dall’Occidente aggressivo. E intanto le bombe di Trump portano alla Russia un primo, per ora piccolo, beneficio: il prezzo del petrolio è tornato a salire.  
 
8 Aprile 2017
di Ninni Raimondi 
Licenza Creative Commons