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Incompatibilità tra Islam e civiltà occidentale! 
di Ninni Raimondi 
 
L'imponenza dei flussi migratori provenienti da paesi a maggioranza islamica e l'aggressività delle organizzazioni confessionali radicali ha portato la società occidentale a domandarsi se la relazione tra la civiltà islamica e quella occidentale possa darsi nella forma di un incontro o se essa debba essere necessariamente uno scontro. L'Occidente percepisce una distanza incolmabile dall'Islam nella mancanza di separazione tra Moschea e Stato, che caratterizza una società nella quale non vengono rispettati diritti umani inalienabili, quali la libertà di parola e quella di religione. Riserve sono espresse verso il precetto islamico di tollerare i dhimmi (i “popoli del patto”, ebrei e cristiani), oltre che nei confronti del proselitismo islamico, visto come una volontà di convertire l'intero Occidente, ostacolando ogni possibilità di integrazione. La condizione della donna è, però, una delle questioni che più ha impostato i termini del confronto ideologico con l'Islam: la figura altamente simbolica della donna velata suggerisce anche con immediatezza visiva il carattere misogino e oppressivo di una società autoritaria e intollerante. Autoritarismo che l'Islam radicale sembra non esitare a esercitare con gesti sanguinari anche nei confronti di chi non vi appartiene, trovando nel Corano inequivocabile giustificazione alla jihad, la guerra santa. L'Occidente si interroga sulla possibilità di instaurare un dialogo efficace con l’Islam moderato. 
 
Vi sono alcuni, vittime di una mentalità disfattista, che, scrivendo a proposito di questo tema e per difendere l'Islam dalle accuse che gli sono state rivolte, fanno confusione: è vero che questa religione vieta l'imposizione della fede con la forza, ma è altrettanto vero che essa è tesa a distruggere quelle forze politiche e materiali che si frappongono tra essa e gli uomini, che sottomettono l'uomo all'uomo e che ostacolano l'adorazione di Dio. Si tratta di due principi indipendenti che non è possibile confondere […] I motivi del jihad vanno ricercati nella natura stessa dell'Islam e nel suo ruolo nel mondo, nelle sue alte finalità stabilite da Dio e per la realizzazione delle quali Egli mandò il Suo Inviato e lo rese suggello dei Profeti, essendo questi il portatore del messaggio definitivo. Questa religione è davvero un annuncio universale di liberazione dalla schiavitù imposta ad altri uomini e dalle proprie passioni, la proclamazione che solo a Dio appartiene la sovranità e la signoria sul mondo. È questa una dichiarazione di guerra totale contro ogni potere umano, in qualunque forma si presenti e qualsiasi sistema di potere adotti, un conflitto senza quartiere aperto ovunque siano degli uomini ad arrogarsi il potere, in una forma o nell'altra e dove quindi si pratichi in qualche modo l'idolatria. Chi dunque capisca la vera natura di questa religione, si renderà conto dell'assoluta necessità che il movimento islamico comprenda anche la lotta armata, oltre all'impegno e alla predicazione, e che questa non è da intendersi come azione difensiva, come vorrebbero i disfattisti che parlano sotto la spinta dei condizionamenti del presente o degli attacchi di qualche scaltro orientalista.  
Si tratta invece di un impeto e e di uno slancio per la liberazione dell'uomo sulla terra, ricorrendo a tutti i mezzi adeguati e agli ultimi ritrovati in ciascuna epoca. 
 
L'Islam è di per sé una religione violenta 
Tutto quel che fa il Califfato è dal punto di vista islamico perfettamente legale. Uccidere gli infedeli è assolutamente legittimo. E il profeta Maometto è stato il primo a farlo. 
Malissimo fa Obama, da sempre filo-islamico, a sostenere che l'Isis (Stato Islamico dell'Irak e del Levante) 'non è islamico, perché nessuna religione condona l'uccisione degli innocenti'. Forse dimentica che nel Corano è scritto (8,12-17): 'Getterò il terrore nei cuori dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi!  
Non siete certo voi che li avete uccisi: è Allah che li ha uccisi’ 
Ora che, per la prima volta dalla dissoluzione del califfato ottomano nel 1924, Al Baghdadi ha proclamato lo Stato islamico su un territorio conquistato con il terrore a cavallo tra l'Irak e la Turchia, egli ha il dovere di proseguire la sottomissione del mondo intero. 
Quindi convertire il mondo attraverso la guerra. 
 
Islam religione violenta. 
Dobbiamo veramente fingerci sorpresi ogni volta che si scopre che un terrorista è musulmano?  
È chiaro che dobbiamo finirla con questo giochetto assurdo visto che 21 delle 21 persone imprigionate in questo paese per terrorismo negli ultimi vent'anni sono musulmani, così come lo sono 19 dei 20 gruppi proscritti per terrorismo. È chiaro che siamo portati a concludere che qualcosa di specificamente islamico sembra giustificare la violenza, dato che abbiamo esattamente tanti buddisti quanti musulmani, eppure neanche un buddista ha compiuto omicidi per la sua fede.  
La questione allora è: che cosa avrebbe potuto ispirare ad uno come Monis?  
Predicare l'Armageddon a qualche angolo di strada?  
Ora chiediamoci che cosa gli ha potuto ispirare l'Islam, come viene interpretato da qualche minoranza estremista.  
L'ideologia che Monis ha seguito è ispirata in larga parte dalle Scritture islamiche, che obbligano i credenti a 'uccidere i politeisti ovunque li trovino', ed esorta: 'quando allora incontrerete (in battaglia) coloro che non credono, spezzategli il collo’.  
Ma a parere mio non è un problema religioso, perché ognuno può credere nel Dio che vuole. 
Se nel mondo non abbiamo mai avuto problemi fra cattolici, protestanti, induisti e se nel nome dell’Islam, invece, nel mondo si ammazza, evidentemente non è una religione come le altre. 
Il problema non sono tutti gli islamici, è che nel nome del Corano che qualcuno ritenga che la donna vale meno dell’uomo. Non ti va bene il medico donna? Torna a casa tua: Noi abbiamo usi, costumi e regole che tu sei tenuto a rispettare e se non vuoi, te ne vai. 
Il giorno stesso dell'attacco terroristico alla redazione del settimanale satirico “Charlie Hebdo”, l'organizzazione tedesca dei Patrioti Europei contro l'Islamizzazione dell'Occidente (PEGIDA, secondo l'acronimo tedesco) ha lanciato, con un post sul loro sito, un messaggio secondo il quale “gli islamisti, contro i quali PEGIDA ha lanciato l'allarme nelle ultime 12 settimane, hanno mostrato in Francia di non essere capaci di praticare la democrazia, ma al contrario di vendere violenza e morte come soluzioni. Si sente già il suono che cresce, il brontolio in lontananza, che diventerà sempre più vicino, forte, ossessivo. Già conosciamo queste voci. L’Islam invade l’Europa. La civiltà europea è rammollita dalla ricerca del benessere, si fa sopraffare da chi crede veramente nei propri valori. La democrazia è minacciata. L’Occidente è minacciato. La democrazia è minacciata, ergo l’Occidente è minacciato. L’Islam è incompatibile con la democrazia. Il fanatismo è dentro l’Islam. E così via. 
Conosciamo queste voci. Ci hanno frastornato per anni dopo l’undici settembre. Ci hanno fatto perdere la lucidità, e hanno fornito il collante ideologico che ha sostenuto una guerra insensata, che ha solo aggravato e moltiplicato i problemi. Hanno giustificato l’uscita dallo stato di diritto (leggi speciali sulla sicurezza, tortura ecc.). Alimentano quotidianamente la destra che fa notare le inadempienze del sistema sociale. Sono coltivate amorevolmente da intellettuali di sinistra che o vogliono mostrarsi apocalittici (un intellettuale non apocalittico annoia, e non vende) o vogliono cullarsi nel senso della decadenza, guardando il mondo dal loro Grand Hotel Abisso.  
E così tutto sembra coerente. 
Del resto lo hanno fatto capire bene anche “loro”. Hanno attaccato un giornale, satirico, proprio perché faceva satira. Quindi hanno voluto attaccare la democrazia: la libertà di espressione, la libertà religiosa, la tolleranza, la critica. La serie di altri attentati simili, benché meno gravi, dei mesi passati lo conferma: una scuola, un parlamento, un centro culturale. Obiettivi diversi rispetto a quelli dei grandi attentati di Al Qaeda degli anni duemila. Lì, in primo luogo, è stato colpito un simbolo del capitalismo globale, del dominio globale sul mondo esercitato dal capitalismo delle multinazionali, dagli Stati Uniti. E poi, nelle stazioni, è stata colpita la vita ordinaria del benessere occidentale. Qui, invece, si colpiscono istituzioni democratiche, in modo esplicito. Quindi la guerra contro la nostra civiltà è la guerra contro la democrazia. Bisogna essere accecati dal buonismo per non rendersi conto che l’Islam si sta scagliando contro i “nostri” valori. Che è una guerra tra noi e loro. 
Descritta così, questa guerra è già stata vinta da loro. Così come era già vinta dai nazisti la guerra contro gli ebrei quando gli ebrei erano costretti a rinchiudersi unicamente nella loro identità ebraica, sotto l’attacco feroce del fanatismo nazista, che li perseguitava in quanto ebrei, togliendo loro la libertà di essere altro, cittadini liberi, agnostici, scettici, nichilisti, indifferenti, edonisti, o qualsiasi altra cosa. Se io adesso, per difendere la democrazia, devo essere schiacciato sulla mia “identità” occidentale, sui miei “valori” occidentali, perdo la libertà di essere altro. E quindi “loro”, in questa arcaica e grottesca logica amico-nemico, hanno già vinto la guerra: la loro interpretazione diventa anche la mia. Io perdo la libertà di mantenere separati gli ambiti, la lucidità di ragionare con cautela e distinguere. La civiltà europea è minacciata, quindi bando alle esitazioni dell’intelligenza e affrontiamo con coraggio il nemico, armiamoci e difendiamo i “nostri” valori.Propongo, invece, una moratoria, una specie di disinfestazione del pensiero.  
Dovremmo bandire dal vocabolario politico e sociale alcune parole: “Occidente”, “occidentale”, “valori” e poi vedere che cosa si può dire di quello che accade con le parole che restano. 
Si può dire questo.  
Alcuni fanatici islamisti hanno massacrato delle persone inermi e pacifiche, solo perché queste hanno criticato la loro religione. Questi fanatici probabilmente vogliono mostrare anche che la libertà e la democrazia sono un male, e vogliono distruggerle. (Avevano probabilmente in mente una intuizione di questo genere: "la libertà di coscienza è il più diabolico dei dogmi, perché significa che ciascuno deve essere lasciato libero di andare all’inferno secondo la propria inclinazione". Una cosa detta qui in un linguaggio un po’ vecchio, perché risale a qualche secolo fa, ed è stato detto da un… ahi, come non dire qui “occidentale”? Mah, diciamo che era europeo, che era francese, cristiano, calvinista: Théodore de Bèze, 1554. Ma insomma, non importa da dove viene questa idea, è un’idea che ha avuto un suo successo, in molte forme.). Quindi il nemico, a quanto pare, è una società in cui si è liberi di pensarla come si vuole, in cui tutto è dissacrabile, in cui un gruppetto di disegnatori e giornalisti brillanti può mettere alla berlina Maometto, insieme a tutto il resto (il Papa, il Presidente ecc.). Una società quindi in cui non c’è autorità consacrata per definizione superiore agli individui in carne e ossa. In cui possono convivere persone con sensibilità morali molto diverse, coscienze religiose e caustici spiriti liberi, e riescono a stare a fianco perché, è vero, hanno un po’ “buttato giù” le loro credenze, hanno accettato l’idea che si può vivere anche se esistono al mondo persone che quelle credenze le esecrano.
 
 
 
E accettano di incrociarle, queste persone diverse, di conviverci, di farci persino delle cose insieme. Quindi una società in cui è possibile vivere anche se il totem della propria identità non viene continuamente alimentato da sacrifici umani. Forse, in questa pratica terra terra di bricolage morale, di accomodamenti e compromessi, di vite buone inventate alla meno peggio, anche provando le vie più contraddittorie, di ricerca del benessere quotidiano, di paura di essere troppo duri e troppo autoritari, dal momento che non si sa bene perché lo si dovrebbe fare, a che fine, con quale vantaggio, beh, forse in questa società traluce un sentimento di pietà per l’inettitudine umana, per la sua inadeguatezza, per il suo bisogno di essere rispettata nell’instabilità del desiderio e della sofferenza.  
E quindi questa pietà senza enfasi coltiva l’illusione di un mondo più vivibile, meno spigoloso, in cui non ci si debba scontrare furiosamente per affermare i grandi… ah, qui bisognerebbe mettere “valori”, ma non si può, quindi metto “obbiettivi”, più neutro. Ma perché un obbiettivo dovrebbe comportare il sacrificio della vita di una persona? 
Messo così, mi piace questo mondo.  
È il mondo dell’aldiquà, ma senza chiedere a tutti di diventare atei. Chiedo semplicemente a tutti di non massacrarci gli uni con gli altri. Ed è anche il mondo dell’equilibrio macchinoso, instabile, difettoso, della democrazia liberale. Di questa congiunzione difficile tra due parole, democrazia e liberalismo, che hanno chiesto il sacrificio di cinquanta milioni di morti (almeno) per essere unite. La democrazia è dimessa, è poco appetibile, è grigia, e poi è anche sempre inadempiente. Le abbiamo capite queste cose, tutti i raffinati critici della democrazia ce lo hanno ricordato in tutti i modi. E la libertà individuale è atomizzante, favorisce il capitalismo e la ricerca sfrenata del benessere ecc., abbiamo capito anche tutte queste belle cose. Però quando ti confronti con i veri nemici di questo mondo (quello che ho cercato di descrivere), e cioè con i veri nemici della democrazia, cioè della vita vivibile nell’immanenza, nell’aldiquà in attesa di sapere come finirà di là, ti rendi conto che queste critiche o sono chiacchiere o sono fiancheggiatrici. E qui capisco che linguaggio possiamo parlare, finalmente. Se ci sono dei nemici da combattere, con i mezzi che la ragione (accesa dalla pietà per la vita, sì, ma sempre ragione, lucida e analitica) ci consiglia, sono i nemici della democrazia. Cioè i nemici di una società in cui l’istanza ultima sono gli esseri umani dati, in carne e ossa, e non qualche idea generale che si spaccia per qualcos’altro con nomi altisonanti. Questi nemici non sono necessariamente islamici, né necessariamente religiosi. L’intelligenza si vergogna di se stessa, dopo le esperienze storiche del Novecento, a dover ancora ricordare questo. 
Belle parole, mi si dirà, ma se ti attaccano devi rispondere. D’accordo.  
“Porgi l’altra guancia” è un principio morale molto discutibile.  
Soprattutto, non è un principio di giustizia.  
Mentre è in nome di una idea di giustizia che vogliamo difendere una società democratica e liberale.  
Però bisogna rispondere sfuggendo alla logica amico-nemico, e alla contrapposizione noi-loro (parole, appunto, che non avrei dovuto pronunciare). Se il nemico è chi vuole distruggere la democrazia con la violenza e con l’imposizione di un ordine etico coatto, le risposte, anche con l’uso della forza, sono dettate dalla democrazia stessa: ciò che deve essere combattuto, nelle pratiche, e dove occorre anche con la legge, con l’uso della forza pubblica (all’interno degli stati), e con l’uso della forza militare (all’esterno, nel diritto internazionale), non è la religione, non è l’Islam, ma è ogni condotta che violi il principio dell’eguale rispetto di individui liberi, intesi concretamente, come persone in carne e ossa. Se i cittadini delle democrazie liberali, quelle più vecchie, ma anche quelle più giovani che si stanno formando con grandi tensioni in parti del mondo esterne al cosiddetto “Occidente”, prendono coscienza che questa è la posta in gioco, allora cade la retorica della “debolezza etica” della democrazia.  
Questo è il mondo etico che difendiamo: la vita delle persone concrete, la convivenza confusa di vite diverse, e anche la ricerca del benessere, di queste persone concrete.  
Se ci crediamo, non ne facciamo una crociata.  
E non dividiamo di nuovo il mondo secondo “culture”, “religioni” e “civiltà” (altra parola da bandire), non cadiamo nella logica del nostro nemico, non ci facciamo imporre da lui un’identità, ma guardiamo il mondo nella sua particolarità. 
 
La religione, dunque, è incompatibile col sistema della libertà.  
D’acchito questa frase può sicuramente apparire eccessiva, ma dietro ogni iperbole, o provocazione se si preferisce, c’è più che un fondo di verità. Del resto, all’interno di tutto questo, non possiamo esimerci dall’essere spietati nell’analizzare il confronto fra due civiltà (quella cristiana e quella mediorientale islamica), che ben poche comunanze hanno tra di loro.  
Evito, per questioni di competenza, di addentrarmi nelle vicende storiche di questo aspro confronto, ma non posso esimermi, invece, dal discutere uno degli argomenti che maggiormente mi stanno a cuore: quello delle libertà individuali.  
Se è vero, dunque, come personalmente ritengo, che ideologia e teodicèa sono due facce della stessa medaglia, è altrettanto vero che tra una società di cultura cristiana (o cattolica se preferite) e una di stretta osservanza islamica le differenze sono abissali.  
Benché la “Sacra Romana Chiesa” abbia alle sue spalle un passato in parte quantomeno discutibile (e comunque non certo condivisibile da un laico), l’Islam è, da sempre, un movimento politico e religioso di estrazione radicale, che trova la sua forza nella netta definizione del campo del conflitto: da un lato, il “Partito di Dio” (Allah) formato dagli autentici credenti; dall’altro, il “Partito di Satana”, sempre più spesso identificato con l’Occidente. Parafrasando Renzo Guolo, studioso del settore, questa è una semplificazione del conflitto che, grazie anche al fallimento delle ideologie progressiste, rende irresistibile il fascino insieme rivoluzionario e tradizionalista dell’integralismo islamico. 
Ora, se un’organizzazione sociale autenticamente liberale non può non porre al centro delle sue scelte l’individuo, in quanto portatore di diritti naturali inviolabili (secondo uno sviluppo coerente della dottrina di John Locke), nei paesi musulmani tutto ciò è inconcepibile. Il panislamismo, antica e al contempo nuova aspirazione alla ricomposizione del mondo musulmano in un’unica comunità di credenti (la Umma), è uno degli elementi più rilevanti della concezione mediorientale, che punta alla propria rinascita tramite il protagonismo di un movimento islamista caratterizzato sì da due anime (una radicale, o integralista, e una neo-tradizionalista), ma con un unico obiettivo: la totale contrapposizione all’Occidente, alle sue forme culturali, ai suoi dogmi religiosi. 
È per altri versi, altrettanto vero che l’Islam non si esaurisce nell’islamismo. Esistono differenti Islam (da quello della civiltà a quello della cultura; da quello popolare a quello laicizzato); tuttavia l’uso del termine Islam fonda la sua peculiarità sulla religione, intesa come principio di organizzazione dell’azione collettiva umana. 
Soprattutto tra quei movimenti di area sunnita (Egitto e Algeria tanto per intenderci, peraltro oggi in forte espansione rispetto a quelli di area sciita) è lapalissiano constatare che la tensione ideale verso l’utopia (il progetto di civiltà divina in terra) si esprime in primo luogo proprio come lotta contro l’Occidente e il suo sistema di valori. Citando ancora Guolo, "l’Occidente, per i veri credenti islamici, è responsabile, attraverso l’imposizione dell’esperienza della modernità (che ha permesso agli individui di affrancare la propria esistenza dalla derivazione divina)dello stato di decadenza e di barbarie preislamica in cui versa l’antica comunità del profeta (Maometto)". Ecco quindi spiegato il motivo per cui i movimenti islamisti (vere e proprie organizzazioni di mobilitazione politica e sociale che mirano a ristabilire l’ordine della Città di Dio) vengono considerati gli interpreti più coerenti e lucidi di questo rifiuto politico e religioso, in vista di un riscatto individuale e di redenzione collettiva. 
Per sommi capi, anche per evitare di soffermarci sulla complessità di questa ideologia, i seguaci dell’islamismo leggono nelle parole del Corano (testo fondante della legalità per come essi la intendono) l’aspirazione al ritorno ad una comunità originaria. Termini come Sunna (tradizione), Wala (totale e assoluta obbedienza al Signore), Umma (comunità), Rububiyya (assoluta dedizione dell’uomo alla signoria divina), Imam (autorità religiosa), Da’wa (impegno nella predicazione del verbo), Jihad (combattimento per la fede) Fatwa (legge) e, per non dilungarci, Harb al muqadaca (guerra santa) sono vere e proprie “parole d’ordine”. Ma attenzione: “ritornare a Dio”, quindi ristabilire l’unità di quanti credono nella sua unicità, diventa un imperativo per tutti i fratelli di fede sparsi a Oriente e a Occidente e umiliati dagli stranieri. 
Il che sta chiaramente a significare che le orde di adepti della Mezzaluna, che sono sparsi ovunque (dai celebratori del <em>Ramadan a Torino fino agli organizzatori di corsi alla guerra santa a Londra), vanno considerati come “nemici potenziali”. Se, dunque, non è così difficile rendersi conto dell’ostilità feroce che i Musulmani nutrono per la nostra civiltà (per loro il Corano è come, per molti di noi, la Costituzione) è bene sapere che essi, rifacendosi proprio a “versetti e sure”, puntano al proprio riscatto attraverso il recupero di una concezione “universale e totalizzante” dell’Islam, da loro concepito al contempo come fede e culto, patria e nazionalità, religione e Stato, spiritualità e azione. Insomma, una congerie di asserzioni coercitive che risultano assolutamente inconcepibili per un qualsiasi liberale che si rispetti. 
Ancora: la stessa organizzazione sociale islamica (l’Umma musulmana) è, a dir poco,<strong> inaccettabile in una società anche solo proto-liberale. 
Se per noi, lo Stato è spesso considerato uno di quegli orpelli o marchingegni giacobini sorti per imbrigliare le libertà degli individui, nei progetti degli islamisti, invece, l’orientamento più diffuso è che il potere dell’Imam non ha scadenza. Non è casuale che la necessità di mantenere e riprodurre la comunità religiosa si fondi su una sorta di “individualismo olistico” (gerarchico) di macabra memoria, senza dimenticare, tra l’altro, l’assoluta innegabilità e l’assoggettamento della donna al potere-volere dell’uomo. 
In conclusione. Per i Musulmani, l’interpretazione religiosa del conflitto politico rende alcune istanze non negoziabili. Ora, non essendoci dubbi sul fatto che l’obiettivo islamico è quello di espandere il proprio dominio, in tempi come i nostri – in cui le conversioni di massa sono pressoché impossibili – l’universalismo religioso islamico può espandersi solo attraverso l’annullamento della territorialità. Ciò significa prevedere e accettare non solo l’annullamento degli Stati-Nazione già riconosciuti, ma anche l’annullamento delle Nazioni per consenso o di qualsiasi altra comunità abbia intenzione di autodeterminarsi. 
Riconsiderati, allora, tutti i concetti sopra esposti, è logico e ovvio considerare il conflitto fra Occidente e Islam come uno scontro totale o, peggio ancora, come il tentativo islamico di abbattimento di ogni libertà individuale, sociale e civile conquistata in questi due ultimi millenni di storia. 
Con buona pace di tutti coloro che continuano a sostenere che si tratta solo di frange estremiste e che sono due gatti rispetto al miliardo e passa di islamici; che il fondamentalismo non ha nulla a che fare con l'Islam moderato, che L'Islam è una religione di pace e via di amenità in amenità.
di Ninni Raimondi 
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                                                                                              23 Maggio 2017