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Separazione delle carriere dei magistrati 
di Ninni Raimondi 
 
Perché propendo per la separazione delle carriere dei magistrati. 
Quando, al mattino, gli avvocati entrano in sala d’udienza, gli altri professionisti si sono già prenotati e attendono il loro turno.  
Il PM, invece, abitualmente chiede di essere chiamato in ufficio quando verrà il momento della sua procedura.  
La risposta è negativa, perché non c’è motivo di trattare il Pm in modo diverso dagli avvocati.  
Risultato: il cancelliere gli telefona lo stesso e magari c’è qualcuno del collegio che storce il naso: “Ma è un collega! Sembra brutto…” 
Non è certo per questo motivo che propendo per la richiesta di referendum sulla separazione delle carriere per quanto, anche quel “sembra brutto”, presenti qualche pericolo.  
Mi sono convinto, leggendo lo slogan della magistratura associata, (quello di sempre, del resto) che la carriera deve restare unica per “mantenere il PM nella cultura della giurisdizione”. Tutto questo è un inganno un po' spregiudicato. Credo, al contrario, che l’unicità della carriera rischi, invece, di trascinare anche il giudice nella cultura del PM e che, quest’ultima, stia di fatto acquisendo caratteri sempre più autonomi dalla “pura” giurisdizione.  
Non è dunque solo la questione un po’ astratta, per quanto decisiva, di parità tra accusa e difesa.  
 
Faccio un esempio.  
Di recente, è dovuto intervenire il legislatore per sanzionare di nullità le ordinanze di custodia cautelare prive di una “autonoma valutazione”.  
Alcuni Gip (non tutti, per fortuna) avevano infatti preso l’abitudine di “esercitare la giurisdizione”, semplicemente copiando e incollando (e mi auguro che lo abbiano fatto dopo averla letta) la richiesta del PM, che era a sua volta un copia-incolla della informativa della Polizia Giudiziaria.  
Con il risultato disarmante che la stessa informativa diventasse, come per incanto,  anche ordinanza del Riesame e poi sentenza di condanna e via di seguito ...  fino al passaggio "in giudicato".  
Di questo passo, il giudice, sarebbe diventato superfluo! Nel paradosso, sarebbe bastata l'informativa di un maresciallo dell'Arma o di un Commissario di Polizia. 
In termini più generali, poi, credo che la questione delle carriere debba partire da una constatazione di fondo: esistono profonde differenze tra PM e giudice, che rendono il primo un esponente “ibrido” della giurisdizione.  
Sul piano strutturale, per esempio, mentre il giudice decide in assoluta solitudine, il Pubblico Ministero è parte di una organizzazione gerarchica dotata di formidabili mezzi e rappresenta un apparato che, come tutti gli apparati, ha le sue logiche e i suoi interessi, alcune volte non coincidenti con quelli della giurisdizione.  
Vi sono anche strutture semiautonome come le DDA, che sono collegate tra loro con la DNA nazionale e lavorano a stretto contatto coi vari corpi investigativi speciali.  
Non può dimenticarsi, inoltre, che le Procure stanno anche progressivamente assumendo un ruolo e un rilievo sempre più "schiettamente" politico. 
Le indagini e i loro tempi hanno la loro importanza, certo, ma anche il fatto che esse costituiscono, oggi, la principale agenzia di stampa del Paese.  
E non tanto per l’anomalia della fuga di notizie, quanto per le ordinarie conferenze stampa che seguono ad ogni operazione.  
Sono queste, oramai, a riempire i giornali e a condannare o assolvere, prima ancora delle sentenze.  
Alcune volte a fare e disfare governi e perfino a dettare, in qualche modo, l’agenda politica del Paese.  
 
Il secondo aspetto della diversità col giudice è di tipo “ideologico”.  
I PM interpretano, sempre più, il loro ruolo in termini di “lotta” e di “guerra” (alle mafie, al terrorismo, alla criminalità) e come tali, diventano spesso vedette mediatiche, idoli dei partiti e dei gruppi che, a questi valori, si ispirano.  
Questi sono concetti, però, che devono (o dovrebbero) essere totalmente estranei alla cultura del giudice, cui compete - esclusivamente - condannare o assolvere l’imputato (chiunque esso sia) senza pregiudizi e solo sulla base delle prove in atti.  
Bisognerà, un giorno, affrontare il tema della “politicità”, senza responsabilità politica delle Procure (sommessamente io credo che, il Procuratore della Repubblica, debba essere eletto dal popolo).  
Intanto, occorre adottare le cautele, da subito possibili, per tutelare la libertà del giudice dalla eccessiva vicinanza con un PM così forte e intriso di “politicità”.  
Separare le carriere deve servire allora a evitare, per esempio, che il giudice tenda a fidarsi più del PM che dell’avvocato perché si tratta di un collega; perché ha la medesima formazione, partecipa ai suoi stessi convegni, milita nella stessa corrente.  
Soprattutto evitare che, le logiche “ibride” delle Procure, entrino di diritto nel CSM dei giudici e quindi possano decidere della loro carriera, valutarne la professionalità, promuoverli o sanzionarli disciplinarmente.  
Evitare infine che, questo tipo di PM, possa andare in Cassazione e contribuire, con la sua cultura e la sua ideologia, alla formazione di quella giurisprudenza cui il giudice dovrà, tendenzialmente, uniformarsi. 
Poche e semplici ragioni, niente più che l’essenza della separazione e dell’equilibrio tra poteri, troppo importanti, però, perché possano essere sacrificati agli interessi di una corporazione. 
 
Tutto qua.
Licenza Creative Commons  18  Novembre 2017