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Stupidario italiano 
di Ninni Raimondi 
 
 
Un giorno di tanti anni fa, in Corte d’Appello, un presidente noto per le sue non eccelse capacità intellettuali, di fronte ad un avvocato difensore che consegnava il certificato di morte del suo imputato assistito, ebbe a chiedergli: “Avvocato!?…ma il certificato è scaduto!…”, come se si trattasse di un documento che attestasse una residenza o una qualsiasi altra situazione suscettibile di modificazioni. 
A proposito di certificati, non tutti sanno che ne esiste uno, la cui denominazione suscita perplessità sulle qualità intellettuali dei nostri legislatori che l’hanno inventato: il certificato di esistenza in vita, una sorta di autocertificazione da allegare a certe domande, come se già la firma in calce alla richiesta presentata agli sportelli dal diretto interessato non dimostrasse l’esistenza in vita del richiedente, a meno di non pensare che ad averla sottoscritta o recapitata sia stato un cadavere ambulante… 
Quella dell’antifascismo è una nuova stravagante autocertificazione che, se mai vi fossero dubbi, attesta il livello di idiozia e di inutilità di certi nostri pubblici amministratori, i quali, proprio con questa trovata, si autocertificano quelle non commendevoli qualità. E’ qualcosa di simile all’autocertificazione di esistenza in vita, con la differenza che questa attesta, implicitamente, l’attuale funzionamento del cervello, mentre con l’altra, la nuova, non ci scommetterei tanto… 
Lasciamo perdere le obiezioni di tipo giuridico che si possono formulare a questa trovata – a partire dal principio di imparzialità ed efficienza della pubblica amministrazione, che vieta ogni genere di discriminazione nella concessione dei servizi ed impone limitazioni strettamente funzionali alla loro salvaguardia, senza contare altri argomenti di uguale e forse maggior peso – perché, indubbiamente, è della stessa sostanza dei cervelli che l’hanno evacuata, e chiediamoci questo: che valore avrà questa autocertificazione? Supponiamo che, un domani, uno zelante impiegato comunale, a cui un giovanotto tatuato
con una bella croce celtica, abbia consegnato questo documento per ottenere il permesso di un banchetto di propaganda, vada a spiare la sua pagina Facebook e vi scovi dichiarazioni d’amore per il Duce e per il fascismo, e segnali il tutto ad un magistrato ipotizzando il reato di falsità ideologica (è proprio il caso di dirlo…) in atto pubblico. Fantascienza? Non direi, viste le follie a cui ci stiamo assuefacendo ed il livello in cui sguazza certa magistratura, capace di qualsiasi imbecillità. La realtà è molto più fantasiosa della stessa fantasia… 
Si potrà obiettare che questa “autocertificazione” di antifascismo non ha valore di autocertificazione e dunque la relativa falsa attestazione, la riserva mentale, non potrebbero fondare un’ipotesi penalmente rilevante.  
Ma allora a che serve? Appunto, a nulla di concreto. 
E’ il dispettuccio della vecchia zitella chiamata antifascismo, non del bambinello stronzo che, crescendo, ha margini di miglioramento, ma della vecchia irrimediabile rancorosa, abbandonata durante la sua vita da tutti i fidanzati – che si chiamavano competenza, passione, rettitudine, senso dello stato… la tipa era così insopportabile! – e che, rimasta sola, si sfoga con quello che il suo cervello avvelenato dall’odio può produrre… le stizze: tiene la tv accesa ad alto volume, sposta i mobili di notte, chiude male le porte dell’ascensore, buca le gomme delle bici parcheggiate nell’androne. Poverina, non può fare molto altro la zitellaccia antifascista, che il dispettuccio cretino e dannoso, che è, per l’appunto, la sua unica possibile forma di autocertificazione di esistenza in vita. 
Trascurata da tutti, pretende ora delle dichiarazioni d’amore false e obbligate… L’unico che prega perché la vecchia livorosa non muoia è un suo nipotino, che si chiama Anpino, a cui lei regala ogni mese la propria ricca pensione. E’ l’unico che sarà presente al suo funerale, e piangerà: perché sa che gli toccherà cominciare a lavorare.
Licenza Creative Commons  5 Dicembre 2017