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Cultura: Arrivano le bandiere
 
Arrivano le bandiere 
di Ninni Raimondi 
 
“Firenze, bandiera neonazista in caserma dei carabinieri”, è il titolo a caratteri cubitali che spazia su tutti i giornali e telegiornali da diversi giorni. Mentre il mondo sembra sull’orlo di una profonda crisi internazionale in Estremo Oriente, accompagnata dalla temibile minaccia nucleare, mentre prosegue lo scandalo dei terremotati abbandonati, mentre assistiamo ad episodi sempre più violenti di delinquenza, costituita per una larghissima parte da criminalità importata, i media aprono i notiziari e mettono in prima pagina una bandiera appesa in una stanza di una caserma dei Carabinieri di Firenze. 
Condanne da ogni dove, dai partiti di sinistra alle associazioni partigiane, articoli pieni di indignazione sui giornali “lefty” e progressisti, tastiere corrose dalla rabbia isterica dei benpensanti da social network. Altra valvola di sfogo, dunque, altra dose di sana rabbia antifascista di cui gli eterni indignati hanno necessità, una vera e propria droga della quale, evidentemente, non riescono a fare a meno. 
Eppure, come ormai sappiamo, sarebbe bastato usare quel minimo di raziocinio in più e consultare un qualsiasi motore di ricerca in linea per capire che la bandiera appesa dal giovane carabiniere appartiene nientemeno che alla Kaiserliche Marine, la marina imperiale tedesca che ebbe vita durante il cosiddetto “Secondo Reich”, dall’unificazione tedesca alla fine del primo conflitto mondiale. 
Taluni hanno definito il vessillo in oggetto come “bandiera del Reich”, denotando un’ulteriore ignoranza storica. Infatti, il termine “Deutsches Reich” fu il nome ufficiale dello Stato tedesco durante le tre fasi centrali della sua storia moderna, ossia dalla già citata unificazione fino alla sconfitta nella seconda guerra mondiale. La parola “Reich”, quindi, non faceva distinzioni tra Impero tedesco, Repubblica di Weimar e Germania nazista, anche se nell’immaginario collettivo, quando si parla di Reich, si allude solo a quest’ultima (nota anche come “Terzo Reich”). 
Se è vero che alcuni gruppi definiti “neonazisti” hanno usato la bandiera della marina imperiale durante le loro manifestazioni, è altrettanto vero che bollare qualcuno come “filonazista” per aver esposto una bandiera che, formalmente, nulla ha a che vedere
con il Terzo Reich, denota una profonda mancanza di coscienza, una grande malafede o entrambe le cose. 
Associare poi questo evento alla recente azione, decisa ma pacifica, del Veneto Fronte Skinheads, così come alle rare aggressioni “a sfondo razziale”, comunque operate di certo non da movimenti che cercano il consenso popolare, ricorda molto il rantolo di un corpo ormai in fin di vita. L’antifascismo è questo corpo, un organismo in agonia che cerca di sopravvivere sotto il peso del suo fallimento; chiede aiuto, ma trova sempre meno orecchie disposte ad ascoltarlo, orecchie che hanno udito ma non ascoltato la notizia della bandiera, attendendo notizie successive certamente più interessanti. 
Ma ancora più evidente è la strumentalizzazione della vicenda da parte di certe fazioni politiche, spesso perfettamente consce della futilità di questo gesto, che colgono la palla al balzo per tentare di veicolare un’opinione pubblica sempre più sorda ed indifferente, addirittura usando una palese menzogna e cercando di sfruttare l’ignoranza popolare, per poi accusare le destre ed i nazionalismi di fare altrettanto. 
 
Dulcis in fundo, chiaramente, come non sfruttare l’occasione per propagandare lo ius soli, una legge totalmente scollegata dal fatto in questione? 
Noi non entriamo in merito alla vicenda in sé: sapendo che nelle caserme vige un ferreo regolamento disciplinare, lasciamo a chi di dovere il giudizio sull’episodio; non cerchiamo né di giustificare né di condannare a priori il gesto, che comunque poteva risolversi in breve tempo senza scomodare la storia o oscurare eventi ben più importanti ed attuali. La nostra critica, come sempre, si muove verso le reazioni di persone che dovrebbero decidere per il nostro bene e non cosa o come dovremmo pensare. E se il fascismo di allora, a torto o ragione, limitava la libertà di pensiero, rispondiamo con un “me ne frego” e rispondiamo che noi viviamo oggi ed oggi c’è bisogno di libertà di pensiero autentica, quella libertà che fa rima con buon senso e intelligenza.
Licenza Creative Commons  10  Dicembre 2017