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L’aggreesività islamica
 
L'aggressività islamica 
di Ninni Raimondi
 
 
Circa l’episodio occorso pochi giorni fa a Melbourne, in cui un afghano, per vendicare i maltrattamenti riservati dall’Occidente ai musulmani, ha investito la folla con un Suv, ritengo rientri in una modalità operativa non standardizzata, ma che prevede la condotta di azioni in assenza di specifici ordini operativi. 
Tali azioni (già occorse in Europa) sono ascrivibili allo spirito revanscista insistente in maniera latente in tutti i musulmani e, in maniera più pressante, in quelli che sentono particolarmente forte il richiamo della religione, una religione che, oltre a nutrire il convincimento di essere definitiva, a partire dal dopo 1^ GM, ma soprattutto in seguito all’affermarsi dello Stato di Israele, viene alimentata da un complesso di persecuzione per i torti subiti. Tale complesso trova un elemento moltiplicatore nella nostra fregola di auto-accusarci di chissà quali infamie commesse ai danni di quelle popolazioni in un periodo di circa 900 anni. 
La situazione è particolarmente grave perché, con la nostra continua auto-accusa per le presunte nefandezze commesse, stiamo alimentando nell’Islam due sentimenti che fortificano la naturale spinta espansionistica di quella religione: 
 
La nostra messa in mora; 
Il loro revanscismo. 
Noi non ci rendiamo conto che, continuando ad auto-accusarci per come siamo stati cattivi ai tempi delle Crociate (quasi 1000 anni fa), ma soprattutto al tempo del colonialismo (tre generazioni fa), non facciamo altro che alimentare nella popolazione musulmana più fondamentalista un revanscismo che induce i più giovani a farsi autonomamente parte attiva nella condotta di azioni jihadiste per vendicare i torti subiti, e questo anche in assenza di ordini diretti da parte di quella organizzazione nebulosa dalle numerose teste come l’idra (1), alla quale fanno capo senza nemmeno avere stabilito contatti diretti. 
 
Questi sono i veri lupi solitari; mica gli sparatori di Charlie Hebdo o del Bataclan, soldati effettivi del jihadismo internazionale, per lo più provenienti dai teatri operativi mediorientale e afghano. 
E questi lupi solitari sono già nelle nostre città, per cui è bene smetterla con la banalità di affermazioni tipo "gli attentatori appartengono ad una generazione nata in Europa e che non abbiamo saputo integrare", dando per scontato che lo ius soli sia così potente da cancellare i legami affettivi che legano un figlio alla tradizione paterna, soprattutto se questa costituisce il fulcro dell’educazione famigliare e si fonde con la spiritualità. 
I genitori di quei ragazzi, da noi banalmente quanto incoscientemente bollati come il frutto di una mancata integrazione, sono figli di genitori che vengono da terre islamiche con un «auditum fidei» e, a cascata, una percezione morale e sociale spesso in netta antitesi con il nostro modo di vivere e che si sono installati in Europa con la ferma intenzione di preservare da ogni contaminazione la loro tradizione sociale e religiosa, alla quale (giustamente) non hanno nessuna intenzione di rinunciare adottando i nostri modelli; questa è la cifra da tenere in considerazione quando si analizza il fenomeno "islamismo", ossia l’islam militante. 
Prima smetteremo di fare il bidet alla nostra coscienza (spesso sporca, occorre ammetterlo, basta pensare agli interventi in Iraq ed in Libia) e meglio sarà; perché è smettendo con il nostro pernicioso complesso di colpa che riusciremo a vincere la battaglia delle categorie, ossia: 
Assumere che le categorie con le quali ragioniamo noi sono antitetiche a quelle con le quali ragionano loro; solo che noi non lo sappiamo, o almeno lo vogliamo ignorare in ossequio alla «egalité» (una sciagurata categoria partorita dagli scamiciati del 1789), mentre loro ne hanno invece contezza e giocano a confondere le carte; 
Assumere che il colonialismo (nelle sue peggiori espressioni frutto del positivismo anticattolico), benché negativo per certi aspetti, non è stato poi così deleterio per le popolazioni che l’hanno subito, e comunque è un periodo storico passato da tre generazioni e noi non possiamo farci carico delle eventuali colpe dei nostri bisnonni; 
Assumere che, almeno fino al 1700, la civiltà arabo-islamica ha manifestato una propensione ad un «lebensraum» spirituale che ha investito tutto il Mediterraneo e all’attività predatoria (la pirateria moresca nel Mare Nostrum si é conclusa nel XIX secolo); 
Dichiarare alto che la politica avventuristica statunitense appartiene agli USA e non all’autentica tradizione cristiana (che fonda la migliore identità italiana ed europea), la quale, nella maggior parte dei casi, la stigmatizza. 
 
Note 
(1) L’organizzazione nebulosa dalle numerose teste come l’idra* è costituita dalla fratellanza musulmana wahhabita predicante e dalle organizzazioni sia predicanti che combattenti a lei ascrivibili. 
Non dobbiamo pensare ad una "spectre" dell’islamismo rigidamente strutturata in maniera cartesiana, come la potremmo immaginare noi, ma dobbiamo immaginare una catena di comando strutturata grosso modo come segue: 
vertice pensante, rappresentato da una casta religiosamente pura il cui referente politico è la famiglia Saudita, incardinata nella terra dove è nata la religione maomettana; tale vertice è ubicato in posizione elevatissima rispetto al primo anello della catena di comando; mutatis mutandis tale vertice può corrisponde agli «efori» di spartana memoria; 
il primo anello della catena di comando è rappresentato dai padrini dell’organizzazione dei Fratelli musulmani, che emanano editti all’indirizzo delle comunità islamiste incistate in Europa, miranti a gestire la penetrazione sotto traccia; 
in seno alle comunità incistate in Europa, vi è il secondo anello della catena il quale si occupa di: 
designare degli imam islamisti destinati alla preghiera e ai sermoni; 
favorire l’afflusso (spesso tramite il ricongiungimento familiare o attraverso l’istituto dell’affido) di elementi islamisti; 
reclutare aspiranti jihadisti; 
il terzo anello è quello dell’internazionale jihadista, incaricato di organizzare e gestire i gruppi combattenti (AQ, AQMI, ISIS/DAIISH, gruppi ANSAR e GSPC), assicurare il mantenimento dell’ideologia in seno ai gruppi armati e mantenere elevato – tramite operazioni di controinformazione/disinformazione – il livello di esaltazione delle giovani generazioni incistate in Europa.
Licenza Creative Commons  26  Diceembre 2017