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Il caso Regeni 
di Ninni Raimondi
 
 
I media sono tornati ad occuparsi del caso Regeni e, istintivamente, mi tornano alla mente alcuni elementi che, a suo tempo, suscitarono in me non pochi sospetti che si contrapponevano con la grancassa delle considerazioni espresse dai media. 
Prime considerazioni. Qualche minuto dopo il rinvenimento del cadavere del nostro concittadino, i siti vicini ai Fratelli Musulmani, con tempismo sospetto, hanno dato la notizia di segni di tortura sul corpo (avevano già visto che era stato sottoposto a bruciature di sigarette, proprio come nei film pulp); la notizia è immediatamente rimbalzata in una Europa sensibile all’argomento dei diritti umani e plagiata dalla Fratellanza, per cui i paesi del mondo, ove le primavere arabe sono fallite e loro sono stati estromessi, sono regimi sanguinari (tranne l’Arabia Saudita). 
Infatti, appena rinvenuto il cadavere del nostro concittadino, da noi si è subito parlato di torture e puntato il dito contro la polizia egiziana, orientando i lettori/ascoltatori verso l’ipotesi di un interrogatorio finito male. 
Per quanto ne so, malgrado la popolazione de Il Cairo superi i 20 milioni, i servizi egiziani sono solitamente ben informati e non hanno bisogno di torturare un cittadino straniero per avere informazioni, anzi, sanno che se lo facessero si tirerebbero la zappa sui piedi. 
Il grido levatosi immediatamente dopo la scoperta del cadavere del nostro concittadino aveva il sapore di uno slogan preconfezionato, più banale che sentito: «In Egitto vige un regime di polizia»… che scoperta! Ma il regime poliziesco di solito è poliziesco, non ferocemente idiota. 
Il giovane Regeni non era uno sprovveduto e avrebbe saputo far fronte «dialetticamente» ad un qualsiasi commissario di polizia mosso dalla foia di perseguitare oppositori e loro sostenitori (tanto più che precise disposizioni di fare il sorrisino ai giornalisti occidentali erano già state diramate ai vari livelli dei vari reparti di polizia). 
Il quartiere dove é stato rinvenuto il cadavere del giovane Regeni, se non vado errato, è situato nel distretto popolare cairota di Imbaba, denominato anche come «repubblica islamica di Imbaba», dove, ai tempi di Morsi, sono stati accoppati senza troppa eco numerosi copti, tant’é che da li se ne sono andati. 
Conseguenti interrogativi. Quali sono le notizie di interesse che si devono a tutti i costi estorcere a un qualsiasi borsista che circola tra il Marocco e la Malesia? 
Per esperienza: nessuna che non sia acquisibile con un pedinamento o altra tecnica di intelligence meno – diciamo così – “invasiva”. A chi giova questo delitto efferato, inutile e sospetto? Sicuramente non all’apparato di sicurezza egiziano, e meno ancora ad Al Sisi; sicuramente invece cade a fagiolo a favore della Fratellanza Musulmana, appena spodestata dal «feroce» Al-Sisi. 
Il dato di fatto è che adesso siamo di fronte ad un’indagine in cui le variabili sono molteplici e i sospettati, a rigor di logica, sono tre: 
Il maggiordomo: escluso perché non esiste; 
Alcuni solleciti poliziotti violenti e/o infedeli che hanno soddisfatto proprie indegne pulsioni, oppure hanno risposto a ordini occulti di qualche apparato infedele del Ministero dell’Interno che rema contro Al Sisi; 
Gli islamisti del quartiere, ispirati dai loro confratelli che dall’Europa si stracciano le vesti per il regime di polizia instaurato in Egitto, allo scopo di somministrare una polpetta avvelenata ad Al Sisi. 
Non va trascurato il fatto che il nostro Regeni si trovava in Egitto per svolgere un’attività di ricerca socio-economica a favore di un’università inglese e che l’Egitto è un paese di prioritario interesse per l’Inghilterra; mi suonerebbe strano che un rappresentante dell’MI6 non avesse colto la palla al balzo per ottenere, da un promettente borsista, qualche informazione sulla situazione sociale egiziana e non gli abbia dato qualche incarico suscettibile di sovraesporlo. Certo, le mie son supposizioni, come è una supposizione attribuire la colpa di quell’odioso omicidio ad un regime come quello di Al Sisi che, per contrastare la tracotanza dell’islamismo militante e jihadista, deve giocoforza ricorrere a metodi polizieschi. 
Non va trascurato, infine, un altro fattore: a quel tempo l’Eni aveva scoperto proprio al largo delle coste egiziane un enorme giacimento di gas e si apprestava a stabilire importanti e remunerativi accordi con l’Egitto, che avrebbero catapultato l’Italia in una posizione di preminanza nel paese… vuoi vedere che, sicuramente senza volerlo, quell’incidente occorso a quel giovane promettente cittadino italiano, é caduto a fagiolo anche per qualcun altro?
Licenza Creative Commons  13  Gennaio 2018