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L'antipapa Bergoglio chiederà perdono a san Tommaso? 
di Ninni Raimondi
 
Bei tempi quelli in cui i Papi proseguivano in continuità con i “soli” due millenni (o quasi) di Magistero e Tradizione della Chiesa. 
Per quanto concerne le recenti dichiarazioni di Papa Bergoglio, vogliamo vedere come stanno le cose rispetto alla Tradizione della Chiesa. Diciamolo in un altro modo: vediamo come stanno veramente le cose secondo il Magistero ed il Catechismo della Chiesa Cattolica, giacché ci pare che questi siano stati abbandonati da un po’ negli ambienti ecclesiastici, generando non poca confusione nei fedeli (e non, vedasi gli arcinoti “dubia”). 
Innanzitutto, l’amor patrio è da sempre difeso dalla religione Cattolica. Non vogliamo dilungarci molto, per cui citiamo giusto brevemente Papa Pio XI (Enciclica Mit brennender sorge): 
“Nessuno pensa di porre alla gioventù tedesca pietre di inciampo sul cammino, che dovrebbe condurre all’attuazione di una vera unità nazionale e fomentare un nobile amore per la libertà e una incrollabile devozione alla patria”. Più chiaro di così crediamo sia impossibile. 
Ma in queste poche righe ci interessa soprattutto vedere come la Tradizione abbia chiaramente detto come ci si debba comportare nei confronti dell’immigrazione. Perciò, ci rifacciamo ad alcuni passi della Summa Theologiae (I-II, Q. 105, Art.3) di San Tommaso d’Aquino, e lasciamo alcuni commenti per poter meglio chiarire cosa ci dica il Santo, anche attualizzando alcune frasi chiave. 
Si tenga presente che il Dottore Angelico spiega come ci si debba comportare nei confronti dell’immigrazione, prendendo ad esempio il comportamento del popolo ebraico nei confronti di questa. 
“Con gli stranieri ci possono essere due tipi di rapporti: l’uno di pace e l’altro di guerra. E rispetto all’uno ed all’altro la legge contiene giusti precetti” 
Nulla di più logico: i rapporti con le altre nazioni sono gestiti già dalle leggi (di Dio, ma anche degli uomini, quindi dallo Stato) e sta a queste stabilire se tali rapporti debbano essere pacifici o bellicosi, con l’obiettivo, chiaramente, di perseguire il bene comune. 
Per rendere pratico quanto detto dal Santo, è quindi giusto che lo Stato Italiano abbia legiferato affinché taluni immigrati, sotto particolari condizioni che sono ritenute giuste dal legislatore, siano espulsi o, come si dice, rimpatriati (che poi questo non venga messo in pratica, è certamente un discorso diverso). 
“Gli ebrei avevano tre occasioni per comunicare in modo pacifico con gli stranieri. Primo: quando gli stranieri passavano per il loro territorio come viandanti. Secondo: quando venivano ad abitare nella loro terra come forestieri. E sia nell’uno che nell’altro caso, la legge imponeva precetti di misericordia; infatti, nell’Esodo si dice: “non affliggere lo straniero”; e ancora: “non darai molestia al forestiero”. Terzo: quando gli stranieri volevano passare totalmente nella loro collettività. In tal caso si procedeva con un certo ordine. Infatti, non li si riceveva subito come compatrioti: del resto, anche presso alcuni gentili era stabilito, come riferisce il Filosofo, che non venissero considerati cittadini, se non quelli che lo fossero stati a cominciare dal nonno o dal bisnonno e questo perché, ammettendo degli stranieri a trattare i negozii della nazione, potevano sorgere molti pericoli; poiché gli stranieri, non avendo ancora un amore ben consolidato al bene pubblico, avrebbero potuto attentare contro la nazione” 
 
Cerchiamo di capire un attimo. 
Il primo caso citato dal Santo è quello relativo ai viandanti. Ricordiamo che, in quei tempi, i viandanti, oltre che essere spesso soli, rischiavano di essere assaliti dai briganti nei loro lunghi tragitti, per cui è evidente che accogliere un viandante, anche solo per una notte, era certamente opera di Carità e, peraltro, era anche molto diffusa. Chiaramente, questo oggi risulterebbe più difficile, data la rapidità con cui ci si sposta nel mondo, ma certamente nessuno ha da ridire sulla presenza nella propria terra di turisti. 
Il secondo caso riguarda quelli che, da stranieri, vanno a soggiornare in un certo posto, ma rimangono “forestieri”, o meglio, stranieri. Il Santo, quindi, prende in considerazione coloro che, per un breve periodo, soggiornano in un determinato posto diverso dalla loro patria, per poi tornare nella loro terra: è chiaro che, anche in questi casi, non vi sia nulla da poter dire. 
Il terzo caso è, invece, quello che ci interessa: sono coloro che si trasferiscono in una nazione che non è la loro patria e che mirano a diventarne cittadini. 
In primo luogo, il Santo ci dice che, prima di diventare cittadini, deve passare un certo tempo (almeno due o tre generazioni); diversamente, è alto il pericolo che questi attentino all’integrità della nazione, e qui il riferimento è evidente: chi aspira a diventare un nuovo cittadino deve rispettare le leggi vigenti, gli usi ed i costumi di quello che vorrebbe fosse il suo nuovo Stato. 
Oltretutto – non lo specifica ma lo aggiungiamo noi – queste generazioni debbono essersi stabilite nella loro nuova patria e devono rimanerci: per chiarificare ciò, il riferimento tipico è a quelle persone (tipico il caso dei numerosi calciatori “oriundi” che hanno giocato nella Nazionale italiana) che ottengono la cittadinanza secondo ius sanguinis dallo Stato italiano se hanno avuto il bisnonno italiano, anche se lui o i suoi figli hanno poi abitato in un’altra nazione. 
A questo punto, si potrebbe muovere una (giusta) critica: gli attentatori, affiliati all’ISIS, che hanno agito in varie città europee, negli ultimi mesi ed anni, lasciando una gigantesca scia di morte e distruzione, erano cittadini di seconda o terza generazione. Dovremmo, quindi, accettare che tutti diventino cittadini italiani? Su questa, il Santo ci viene magistralmente in aiuto: 
“Ecco perché la legge stabiliva che si potessero ricevere nella convivenza del popolo alla terza generazione alcuni gentili che avevano una certa affinità cogli ebrei: cioè gli egiziani, presso i quali gli ebrei erano nati e cresciuti, e gli Idiumei, figli di Giacobbe. Invece alcuni, come gli Ammoniti ed i Moabiti, non potevano mai essere accolti, perché li avevano trattati in maniera ostile. Gli Amaleciti, poi, che più li avevano avversati, e con i quali non avevano nessun contatto di parentela, erano considerati come nemici perpetui “ 
Ecco, dunque, che l’Aquinate ci spiega chiaramente che non tutti sono assimilabili all’interno del nostro tessuto sociale, specialmente quelli che ci hanno sempre avversati. Ora, risulta evidente che, essendo nostro specifico dovere difendere la Religione Cattolica, non è certamente possibile, dal punto di vista cattolico, accettare quegli immigrati che hanno già dato prova di esserci stati ostili in passato: per esempio, i musulmani. 
Per concludere, una riflessione: dal Concilio Vaticano II in poi, tutti i Papi hanno chiesto scusa a tutti; agli ebrei per l’accusa di deicidio, ai musulmani per le Crociate, a Tizio, a Caio ed a Sempronio. 
 
Antipapa Bergoglio chiederà mai scusa a San Tommaso per quanto ha detto sullo ius soli?
Licenza Creative Commons  13 Gennaio 2018