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L’Inciucio? Una volta si chiamav
 
L’inciucio? Una volta si chiamava CLN 
di Ninni Raimondi
 
Le larghe intese tra Togliatti, De Gasperi e Croce 
di Ninni Raimondi 
 
Inciucio: già, che vuol dire questa parola? Nell’etimologia, nella politologia e nella storia. 
Nella storia il primo inciucio – cioè il primo governo di larghe intese – avvenne il 18 giugno del 1944. Quel giorno nacque il secondo governo Badoglio. E nel secondo governo Badoglio entrarono otto partiti più i rappresentanti dell’esercito ( tra cui, naturalmente, lo stesso Badoglio): la Dc, il Pci, il Psi, i liberali, i repubblicani, il partito d’azione, il Psiup e Democrazia e Lavoro ( il partito moderato di Bonomi e Ruini). Nell’etimologia inciucio ha un’origine napoletana. ‘ Nciuciare vuol dire spettegolare sottovoce. I politologi hanno immaginato che questo pettegolio fosse una trama di accordi non confessabili. 
Fu Mino Fuccillo, se ricordo bene giornalista politico di Repubblica – a gettare il termine inciucio nel gergo politico, parlando della probabile rinuncia da parte del Pds di D’Alema ad una legge di regolamentazione della Tv che avrebbe danneggiato Berlusconi. Eravamo nel 1995. 
Da quel momento inciucio è diventato sinonimo di larghe intese. Ed è la parola che è servita a sputtanare l’espressione “larghe intese”. Le larghe intese, per la grande opinione pubblica italiana, sono nobili in Germania, o anche nelle fasi bipartisan della politica americana, ma sono, in Italia, l’espressione della più evidente corruzione e del degrado della politica.  
Chissà perché. 
 
Le larghe intese in Italia si sono realizzate, nel loro pieno dispiegamento, solo tre volte. Appunto negli anni '40 con Badoglio e successivamente con Bonomi, Parri e De Gasperi, poi trent’anni più tardi con il compromesso storico tra Dc e Pci e con il governo Andreotti, infine nel 2011, su impulso europeo, con il governo Monti sostenuto dalla leadership del Pd ( e cioè da Bersani), e da Forza Italia ( più vari altri partiti minori). 
Se proprio volessimo dare una data al primo embrione di larghe intese, dovremo risalire a qualche mese prima del “Badoglio 2, la vendetta!”. Precisamente al 9 settembre del 1943, il giorno dopo l’annuncio dell’armistizio e della rottura dell’alleanza tra Italia e Germania, e il giorno prima dell’occupazione militare di Roma da parte dei tedeschi. Quel giorno si riuniscono a Roma Giorgio Amendola, Ugo La Malfa, Pietro Nenni, Alcide De Gasperi, Meuccio Ruini e Alessandro Casati. E cioè i rappresentanti di tutti i partiti antifascisti: democristiani, comunisti, socialisti e formazioni liberali. Da quell’inciucio nasce l’organizzazione della Resistenza e il progetto di rinascita di un paese che era stato raso al suolo dalla guerra e dagli errori del fascismo. Un anno dopo, con l’arrivo in Italia di Palmiro Togliatti e con la sorprendente svolta di Salerno (“Per ora riconosciamo la monarchia”, disse Togliatti) i partiti antifascisti entrarono nel governo di Badoglio. Con grandi nomi: lo stesso Togliatti, Benedetto Croce, Carlo Sforza, Pietro Mancini, Alberto Tarchiani. 
 
Allora nessuno parlava di inciucio, né di lottizzazione. Anche se i posti di governo furono divisi ben bene tra i partiti, con attenzione, col bilancino. E quella alleanza che comprendeva tutti i partiti, esclusi i fascisti, andò avanti per tre anni, e gettò le basi della ricostruzione: durò fino alla fine del ‘ 47, quando De Gasperi decise di sbarcare le sinistre e di procedere con il centrismo. 
Il secondo governo di larghe intese fu varato nel 1978. Precisamente il giorno 16 marzo. E cioè il giorno stesso nel quale fu rapito Aldo Moro che, insieme a Enrico Berlinguer, ne era stato l’architetto e il fondatore. Il governo fu presieduto da Andreotti, e sostenuto da una maggioranza della quale facevano parte, di nuovo, quasi tutti i partiti dell’arco costituzionale, tranne i radicali e i demoproletari. E naturalmente i missini, considerati, all’epoca, fuori dall’arco costituzionale. 
Quel governo era composto solo da ministri democristiani, tra i quali, se cerchiamo tra i viventi di oggi, c’erano Ciriaco De Mita, Arnaldo Forlani, e i giovani Vincenzo Scotti e Romano Prodi. Fu il governo più di sinistra della storia della Repubblica. In pochi mesi varò le seguenti riforme: riforma sanitaria ( sanità gratis per tutti, per la prima volta nel mondo), riforma psichiatrica ( via i manicomi, per la prima volta nel mondo), riforma degli affitti, con l’introduzione dell’equo canone ( riforma di tipo socialista che fu cancellata ben presto), riforma dei patti agrari ( a vantaggio dei contadini), introduzione del diritto all’aborto. 
Durò poco quel governo, ma introdusse dei cambiamenti nella struttura economica e sociale del paese che ebbero un effetto grandioso per molti decenni, e in parte ancora lo hanno. Possono piacere o no quei cambiamenti. Sicuramente furono profondissimi. 
Ancora trent’anni di intervallo e nel 2011 venne il terzo e ultimo governo di larghe intese. Il governo Monti. Che invece è stato sicuramente, tra tutti i governi della Repubblica, quello più spostato a destra. Fu sostenuto soprattutto dal “Corriere della Sera” di Ferruccio de Bortoli e dallo schieramento di sinistra, cioè dal Pd di Bersani. Durò poco e si rese famoso soprattutto per la riforma delle pensioni e per la nascita dell’esercito degli esodati. 
 
(È curioso osservare come il governo più di sinistra della storia d’Italia sia stato guidato da Giulio Andreotti, leader della destra democristiana e quello più di destra ha avuto come principale sponsor Luigi Bersani, fondatore di Leu. Ma questo non c’entra con la ricostruzione che stiamo facendo e col ragionamento che ne  consegue). 
 
Qual è il ragionamento che ne consegue?  
A me pare che non sia scritto nel destino della Storia che i governi di larghe intese siano una sciagura. E neanche che lo sforzo per creare convergenze tra partiti diversi sia un’attività pressoché delinquenziale. C’era un tempo nel quale anche gli intellettuali e i giornalisti consideravano la politica un’attività giusta e magari persino nobile. Alcuni non consideravano Berlinguer, Moro e La Malfa dei lestofanti conclamati. Per fare, bene, politica bisogna saper cucire alleanze, scrivere programmi, avvicinare aree culturali e punti di vista diversi.  
La politica è questo, è questa la sua forza.  
Poi c’è anche l’opzione di chiudersi in una torre e gridare: "Vaffanculo, non voglio veder nessuno, non voglio parlar con nessuno!!!".  
Però questa non è politica, è il tipico e legittimissimo atteggiamento sul quale vivono le sette. 
Licenza Creative Commons  11 Febbraio  2018