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Ingovernabilità doveva essere
 
Ingovernabilità doveva essere e ingovernabilità è stata 
di Ninni Raimondi
 
Non serviva certo la sfera di cristallo per capire che con un quadro politico più o meno tripolare (ma in realtà ultra frammentato) e una legge elettorale che avrebbe permesso di governare soltanto alla coalizione che avrebbe superato (abbondantemente) il 40%, ci saremmo risvegliati il 5 marzo senza nessuno schieramento politico in grado di assicurare un governo. Per evitare il ritorno alle urne le alleanze saranno obbligatorie e gli scenari sul campo sono essenzialmente quattro. Tra questi il più probabile è un governo 5 Stelle, Pd e Liberi e Uguali. Capiamo perché. 
 
Le urne ci hanno consegnato due vincitori: Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Il primo con la sua veste più “istituzionale”, supportato da un Grillo più defilato e un Di Battista “battitore libero”, ha portato il Movimento 5 Stelle al 32,7%, per distacco il primo partito e non lontano dalla coalizione di centrodestra. Il segretario del Carroccio si è messo in tasca Berlusconi e con 17,4% è ora il leader della non proprio solidissima coalizione. 
Il primo scenario è l’alleanza “populista” (se il M5S si può ancora definire così) tra Di Maio e Salvini: sarebbe suffragata dai numeri, insieme raggiungono il 50% dei consensi e avrebbero una ampia maggioranza sia alla Camera che al Senato. Per entrambi però sarebbe un suicidio politico. Salvini non tradirebbe gli elettori che lo hanno incoronato a guida della coalizione, tanto da aver fin da subito specificato che il suo “perimetro politico” è il centrodestra, per mettersi per giunta in un ruolo subalterno ai pentastellati (che per giunta accetterebbero solo un appoggio esterno ad un loro governo senza concedere poltrone). A Di Maio, i cui voti provengono per buona parte da un elettorato di sinistra, di allearsi con Salvini e di mettersi contro il 90% della dirigenza 5 Stelle non passa neanche per l’anticamera del cervello. 
 
Il secondo scenario è un governo centrodestra più “responsabili” (ben leggere “nuovi Scilipoti”). In questo caso Mattarella dovrebbe dare il pallino in mano a Salvini. Se gli alleati, Berlusconi in primis, si dimostrassero fedeli e disposti ad accettare l’imprimatur del segretario del Carroccio, ai numeri della coalizione (264 alla Camera e 135 al Senato) dovrebbero aggiungersi almeno un’ottantina di “responsabili”. Non proprio pochissimi, anzi. E da dove verrebbero questi responsabili? E’ possibile pensare ad un fuggi fuggi da un Movimento 5 Stelle mai così forte? E’ possibile pensare l’appoggio ad un governo Salvini da parte di deputati del Pd? Molto improbabile. Forse l’appoggio del Pd potrebbe arrivare se al posto di Salvini ci fosse un Tajani. Ma neanche se il segretario leghista facesse di secondo nome Tafazzi, accetterebbe di rinunciare alla leadership della coalizione e farsi logorare in un governo “moderato” per giunta con un ruolo secondario. 
Il terzo scenario è quello di un governo a guida 5 Stelle supportato dal Pd “derenzizzato” e da Liberi e Uguali. Prima o poi il pallino arriverà in mano a Di Maio. Se anche Mattarella desse un mandato esplorativo a Salvini, non si riuscirebbe a formare un governo per i motivi sopra elencati. A quel punto toccherebbe a Di Maio trovare una maggioranza. Non sarà facile, ma quella con il Pd e LeU sarebbe l’unica possibile. Non è un caso che Renzi abbia annunciato le proprie dimissioni e al tempo stesso le abbia congelate, rimandandole a “dopo la formazione del Governo”. Nel discorso post sconfitta elettorale ha più volte ribadito “Pd all’opposizione” e “mai con i 5 Stelle”. Renzi prova così a procurarsi un futuro politico, non dimettendosi dopo un fallimento, ma “facendosi cacciare” da chi stringerà un’alleanza con i pentastellati. La transizione non sarà veloce e con buona probabilità sarà accompagnata e instradata dai soliti allarmi internazionali, la “paura” dei mercati, i titoloni “Fate Presto!” del Sole 24 Ore stile “golpe” del 2011. E così in nome della “responsabilità” Di Maio potrà nominare quelle figure di “garanzia” a guida delle Camere come già ha detto, dando vita alla fase governista M5S già ampiamente annunciata (anche ai poteri forti di Washington e Londra). Taglieranno un po’ gli stipendi dei parlamentari, bucheranno le ruote di qualche auto blu e ci ritroveremo con Ius Soli e privatizzazioni. 
 
Il quarto e ultimo scenario è quello di un “governo del presidente” per arrivare a nuove elezioni. Sarebbe sorta di tutti dentro, con chi ci sta, con il solo scopo di fare una nuova legge elettorale e arrivare di nuovo alle urne. Fatto che non è capitato nel 2013, quando TUTTI dicevano che si doveva tornare a votare. Figuriamoci se succederà adesso che nessuno parla della necessità di tornare al voto. La stabilità europea impone che dopo le elezioni un governo, in un modo o nell’altro, si deve formare. E che te lo tieni anche per tutti e cinque gli anni della legislatura. Se poi ci mettiamo anche che il vitalizio scatta dopo quattro anni e sei mesi, ipotizzare parlamentari che si accordano per abbandonare la poltrona appena conquistata, diventa fantapolitica. Sarebbe quasi più probabile lo scioglimento de facto di tutti gli schieramenti politici e l’appoggio ad un governo tecnico imposto dalla troika dei parlamentari su base quasi “individuale”. 
Licenza Creative Commons  8 Marzo 2018
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