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Nuovi anni di piombo 
di Ninni Raimondi
 
 
Tutto inizia qualche giorno fa, quando il peschereccio italiano Mina viene sequestrato dalla polizia francese che accusa i marinai italiani di avere sconfinato nelle proprie acque. Le autorità italiane in un primo momento rispondono che c’è un equivoco: il Mina era ancora in acque italiane. La controrisposta francese è però disarmante: in realtà il 21 marzo 2015 Francia e Italia hanno firmato un trattato col quale il nostro Paese ha ceduto un miglio di mare ai francesi. 
 
Al di là dell’aspetto formale, ciò che sconcerta è la leggerezza con la quale il Governo ha deciso di cedere, silenziosamente, un pezzetto di acque territoriali. Una cessione di sovranità – questa – che sarebbe stata probabilmente ignota ai più fino alla definitiva ratifica se non ci fosse stato il sequestro del Mina. Un precedente in ogni caso grave, il cui valore simbolico va al di là del miglio nautico di mare non più italiano, simbolo di una svendita colpevole e, se non è in malafede, pressappochista e cialtronesca del governo Renzi. E la seconda ipotesi è forse anche peggiore della prima 
 
Mar Ligure e Tirreno. O Mar Liguré e Tirrenò? È di poche settimane fa la notizia che il governo Renzi avrebbe, di nascosto il 21 marzo scorso, regalato un pezzo di mare al confine tra Liguria e Francia a questi ultimi. Notizia peraltro balzata agli onori delle cronache solo dopo che alcuni pescherecci della regione, convinti di pescare in acque italiane, sono stati fermati dalle autorità transalpine. Secondo le autorità italiane la cessione non aveva ancora effetto dato che non era stata ratificata. Ragioni non sufficienti per la Francia, che non intende attendere le lungaggini burocratiche nostrane per far valere l’accordo. 
Notizie analoghe a quanto accaduto ai pescherecci liguri stanno, però, arrivando anche dalla Sardegna. E’ successo infatti che alcune imbarcazioni provenienti da Alghero ed impegnate in una battuta nelle zone dove erano solite recarsi siano anch’esse state fermate dalla guardia costiera francese, con l’accusa di aver violato le loro acque territoriali. “È solo così che tra si è scoperto che con un accordo internazionale siglato dal ministro degli esteri francese Fabius e da quello italiano Gentiloni erano state cedute porzioni infinite di mare alla Francia, guarda caso quelle aree notoriamente più pescose e battute dalle imbarcazioni della flotta sarda”, spiega Mauro Pili, due volte governatore della Sardegna e attualmente deputato, eletto con il Pdl ma poi passato al gruppo misto. La cessione, secondo la ricostruzione fatta dal parlamentare sardo, sarebbe avvenuta contestualmente a quella che ha visto la Liguria perdere un miglio di acque: “L’accordo siglato a Caen il 21 marzo del 2015 – ha spiegato Pili – è stato fatto scattare nei giorni scorsi in modo unilaterale dalla Francia, considerato che lo ha già fatto ratificare al proprio parlamento. Non altrettanto ha fatto il governo italiano che lo ha tenuto nascosto e non lo ha mai sottoposto al parlamento “. Pili ha presentato un’interrogazione urgente ai dicasteri competenti – Esteri e Agricoltura – oltre ad annunciare, incontrando i pescatori del nord dell’isola, possibili azioni “clamorose”. 
Trattato di Caen. Segnate questo nome, perché il 25 marzo sarà una data importante per la sovranità italiana. No, non ci sarà (ancora) alcun governo pronto a tutelare il nostro interesse nazionale. Tutt’altro. Quel giorno, infatti, la Francia annetterà al suo territorio importanti specchi di acque oggi all’interno dei nostri confini. 
In condizioni normali sarebbe un atto di guerra. E Parigi usa sì la forza, unilateralmente, ma in virtù proprio del Trattato di Caen. Sottoscritto il 21 marzo del 2015 e presentato come una necessaria “esigenza di regolamentazione anche alla luce delle sopravvenute norme della convezione delle Nazioni Unite sul diritto del mare”, spiegava all’epoca il ministero degli Esteri, rappresenta in realtà una vera e propria cessione di acque territoriali sarde, liguri e toscane senza alcuna contropartita. 
Il trattato prevederebbe la ratifica da parte del nostro parlamento, il quale ha però traccheggiato e si trova attualmente nella condizione di non poter procedere con l’iter. Da qui la decisione francese: per non attendere le lungaggini di Camera e Senato, in settembre da oltralpe hanno avviato una procedura che in virtù dei regolamenti europei porterà, in assenza di un intervento da parte del nostro governo, al decreto di annessione appunto il prossimo 25 marzo. Difficile che l’esecutivo Gentiloni, attualmente in carica per l’ordinaria amministrazione in attesa delle nuove nomine a Palazzo Chigi, possa far sentire la propria voce su una materia che richiede una forte “copertura” politica alle spalle. Tanto più che l’attuale premier quell’accordo lo firmò di proprio pugno in quanto all’epoca ricopriva la carica di ministro degli Esteri. 
Al di là della questione “temporale”, il problema è che il Trattato di Caen non riguarda solo i diritti di pesca.  
Già ciò sarebbe sufficiente per denunciarlo, visto che amplissime porzioni di acque oggi sfruttate dai nostri pescatori (specialmente sardi) passeranno da internazionali alla giurisdizione francese. Ma non c’è solo questo. Stando a quanto riportato dal quotidiano Italia Oggi, un cavillo dell’accordo estenderebbe infatti le competenze di Parigi anche allo sfruttamento degli idrocarburi sotto il fondale marino.  
Parliamo di giacimenti molto promettenti, capaci di fornire nel giro di pochi anni decine di miliardi di metri cubi di gas e centinaia di milioni di barili di petrolio. Per una nazione che consuma circa 70 miliardi di oro blu e 500 milioni di barili di oro nero ogni anno sono numeri che potrebbero aiutare non di poco la nostra bilancia commerciale sui prodotti energetici. Ma l’unica bolletta a calare rischia di essere solo quella francese. 
 
 
Licenza Creative Commons  16 Marzo  2018
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