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Bannon è il bersaglio grosso, ma Cambridge Analytica è il vero pericolo 
di Ninni Raimondi
 
La vicenda Facebook-Cambridge Analytica sta diventando una specie di gioco in stile “Dove sta Mark Zuckerberg e perché non parla?” Il multimegamiliardario nerd inventore del famoso social è stato invitato anche dal Parlamento Ue a chiarire “davanti ai rappresentanti di 500 milioni di europei, che i dati personali non vengono utilizzati per manipolare la democrazia“. Il fondatore di Facebook inoltre è stato convocato dalla Commissione Cultura, Media e Digitale del Parlamento britannico, per dire la sua sul “catastrofico fallimento” dei controlli. Ma per ora, “Zuck” tace. Intanto, scoperchiato il vaso di Pandora – ogni tanto succede, e mai per caso – tutti corrono ai ripari, in attesa che la buriana si sfoghi. 
È il caso del ceo di Cambridge Analytica, Alexander Nix, sospeso dal cda perché avrebbe usato pubblicità “non attribuibile e non tracciabile” ai fini della campagna elettorale di Trump, come riporta una registrazione durante un reportage sotto copertura dell’emittente britannica Channel 4 News. Ma l’obiettivo principale di questo scandalo a dir poco pilotato è quello dell’ex stratega di Donald Trump, Steve Bannon. A quanto pare sarebbe stato lui, nel 2014, a supervisionare i primi tentativi di Cambridge Analytica di raccolta dati su Facebook per costruire profili dettagliati di milioni di elettori americani. Altro nome degno di nota è quello di Chris Wylie, informatico 28enne: è la talpa che ha dato la stura lo scandalo, rivelando – pensate un po’ – che Cambridge Analytica sfruttava i dati personali raccolti su Facebook tramite un’app per creare pubblicità. 
 
La talpa ha assicurato che non sapeva di lavorare per la campagna elettorale di Trump e che la società trattava tutti i Paesi clienti allo stesso modo. In questa ingenuità c’è tutta la verità: è business.  
Nient’altro che business.  
Ma Bannon è il bersaglio grosso, è il guru della destra Usa poi diventato lo stratega di Trump alla Casa Bianca. Ebbene, all’epoca dei fatti Bannon si è limitato a fare quello che fanno tutti i guru politici: testare slogan, concetti, proposte sui potenziali elettori per migliorare il tiro. Avete presente Casaleggio, Grillo e i “Vaffa day”? Si fa così: si testano i gusti, le tendenze, i malumori dei cittadini, si confeziona lo slogan giusto e si chiede loro il voto. Bannon ha fatto questo, e lo ha fatto bene. 
 
Grazie a una massiccia campagna online, le convention repubblicane e le presenze di Trump nelle varie città erano sempre mirate, previste, calcolate.  
Obiettivo era quello di massimizzare i risultati. Nulla di illegale.  
E secondo voi una raccolta dati online non l’hanno fatta pure quelli dietro la campagna della Clinton? Una cosa è certa, non sono stati bravi quanto Bannon e Nix. Quest’ultimo poi la dice lunga sulla vicenda.  
“I candidati non ci chiedono come lavoriamo, neanche ci capirebbero qualcosa – ha spiegato in un’intervista – .  
Non vengono mai coinvolti in prima persona. Noi lavoravamo con il team della campagna elettorale.  
Il candidato è soltanto una marionetta“.  
 
Ecco.  
I Trump passano mentre i Nix vengono sospesi per un po’.  
Poi, però, tornano all’opera. 
Licenza Creative Commons  21  Marzo 2018
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