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Analisi: La politica italiana
 
Analisi: La politica italiana 
di Ninni Raimondi
 
 
La politica italiana è oggi incardinata su un sistema dei partiti tripolare. Prima delle elezioni politiche del 2013 la politica italiana era basata sul bipolarismo. 
Nella cosiddetta Seconda Repubblica, ovvero dopo il passaggio dal sistema elettorale proporzionale ad un sistema tendenzialmente maggioritario implementato prima con la legge elettorale soprannominata Mattarellum e poi con il cosiddetto Porcellum, la politica italiana era organizzata in due coalizioni, cioè due raggruppamenti di partiti politici che si contendevano la maggioranza in Parlamento ed il governo del paese. Occorre evidenziare che nonostante il sistema dei partiti fosse caratterizzato dal bipolarismo, anche nella seconda repubblica le maggioranze ed i governi hanno dimostrato una forte instabilità, poiché sia la coalizione di centrodestra che quella di centrosinistra hanno sofferto di frequenti conflitti interni e di cambiamenti di assetto durante le legislature. 
 
L'avvento del tripolarismo 
A determinare un sistema dei partiti tripolare nella politica italiana è stata la rapida ascesa alle elezioni politiche del 2013 del Movimento 5 Stelle, assieme alla sua contrarietà ad ogni alleanza con altri partiti politici. In effetti, sarebbe più corretto riferirsi, invece che a tre poli, a due poli più un partito politico, nonostante il Movimento 5 Stelle si autodefinisca "movimento". 
Per inciso il Movimento 5 Stelle, pur presentando caratteristiche peculiari non assimilabili a quelle dei partiti tradizionali, non può essere considerato un "movimento" in senso stretto, essendo ormai una forza politica organizzata e quindi un partito politico a tutti gli effetti anche se conserva ancora un certo grado di trasversalità della sua base elettorale. 
Gli altri due poli, invece, sono composti da partiti politici in parte eredi ed in parte reduci della seconda repubblica e pur replicando la tradizionale contrapposizione centrodestra-centrosinistra presentano alcune caratteristiche nuove ed in evoluzione. 
Con le elezioni politiche del 2013 la politica italiana ha quindi dovuto fare i conti con un sistema dei partiti tripolare ed il primo impatto è stato traumatico. 
Infatti, oltre all'emergenza determinata dalla crisi economica, dopo le elezioni si era determinata una pericolosa situazione di incertezza per gli equilibri istituzionali, con il Parlamento in stallo ed il mandato del Presidente della Repubblica in scadenza, ovvero nell'impossibilità di sciogliere le camere per eventualmente indire nuove elezioni. Una situazione che ha messo a rischio le istituzioni democratiche, superata con alcune innovazioni sia sul piano istituzionale che politico: 
la nomina di una commissione di dieci saggi da parte del Presidente della Repubblica e le sue dimissioni anticipate; 
l'inedita rielezione di un Presidente della Repubblica Italiana dimissionario con l'affidamento di un secondo mandato a Giorgio Napolitano; 
la formazione di un governo delle larghe intese (il Governo Letta) tra forze politiche storicamente contrapposte; 
il ruolo anomalo assegnato ad un governo (il Governo Renzi) per forzare il Parlamento a varare le riforme istituzionali, poi bocciate dai cittadini con il referendum costituzionale 2016. 
La politica italiana, forse senza rendersi pienamente conto della crisi che attraversa il sistema parlamentare italiano, è in qualche modo riuscita attraverso soluzioni inedite a traghettare l'Italia fino alle prossime elezioni politiche che si terranno il 4 marzo 2018. 
Ma cosa potrebbe accadere con le elezioni politiche del 2018? Se lo chiedono innanzitutto gli stessi partiti politici che con qualche eccezione evitano di prendere posizione drastiche sulle alleanze e, considerando la situazione di incertezza, si preparano a competere con un sistema elettorale sostanzialmente proporzionale. 
 
La nuova legge elettorale 
La situazione di incertezza rende arduo avanzare ipotesi sugli scenari politici futuri, poiché la politica italiana non solo non è riuscita a riformare l'organizzazione del Parlamento ma ha addirittura fatto dei passi indietro sulla legge elettorale, passando da un sistema elettorale tendenzialmente maggioritario ad un sistema tendenzialmente proporzionale. 
Poiché la legge elettorale incide profondamente sulla governabilità e sulla rappresentatività del Parlamento, il sistema elettorale con il quale si andrà a votare alle elezioni politiche del 2018 costituisce un fattore determinante, da prendere in considerazione non solo per le conseguenze post-elettorali ma anche per le scelte pre-elettorali dei partiti politici. 
Mentre le elezioni politiche del 2013 si sono tenute con il cosiddetto Porcellum, dopo che la Corte Costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità dello stesso Porcellum (rimasto in vigore solamente per il Senato) e dell'Italicum (approvato nel maggio 2015 solamente per l'elezione della Camera dei deputati) configurando due sistemi sostanzialmente proporzionali ma molto diversi l'uno dall'altro, il Parlamento agli sgoccioli della XVII legislatura (il 26 ottobre 2017) è riuscito ad approvare una nuova legge elettorale soprannominata Rosatellum bis. 
Con l'approvazione del Rosatellum è stata ripristinata l'omogeneità dei sistemi elettorali tra Camera e Senato e riaffermate le prerogative costituzionali del Parlamento, ma i partiti politici italiani, probabilmente a causa della forte situazione di incertezza, hanno optato per un sistema elettorale sostanzialmente proporzionale. 
 
Tripolarismo e governabilità 
La politica italiana si trova ad affrontare due ordini di problemi generati dall'attuale sistema dei partiti tripolare. 
Il primo ordine di problemi è che nel contesto della forma di governo parlamentare italiana un sistema dei partiti tripolare amplifica il problema della governabilità, aumentando esponenzialmente il rischio che dopo le elezioni politiche del 2018 non si riesca a formare una maggioranza parlamentare e quindi un governo, determinando quindi una nuova crisi istituzionale o, molto probabilmente, la ripetizione delle elezioni. 
Il secondo ordine di problemi riguarda la sopravvivenza del tripolarismo, cioè la politica italiana si interroga su quanto a lungo questo sistema tripolare possa durare, considerando che: 
si tratta di un sistema dei partiti tripolare nato da poco; 
il terzo polo è in realtà costituito da un unico partito in continuo cambiamento; 
anche i due poli tradizionali sono in evoluzione e le scelte dei partiti che ne fanno parte potrebbero accelerare o ritardare la dissoluzione o la fusione ovvero la riconfigurazione dei poli politici. 
Per quanto riguarda il primo ordine di problemi che attiene la governabilità, la politica italiana non sembra essere intenzionata a porre in essere delle contromisure, sia perché ha sostanzialmente dimostrato di esserne incapace, sia perché con il referendum costituzionale 2016 il percorso delle riforme istituzionali forzate dal Governo è stato interrotto non dal Parlamento, ma dai cittadini e quindi la bocciatura popolare della riforma costituzionale del 2016 costituisce un alibi di ferro per non fare nulla. 
Inoltre, i partiti politici hanno ricevuto segnali contrastanti dalle elezioni politiche francesi e dalle elezioni amministrative italiane, sebbene queste ultime siano sempre meno indicative delle tendenze in atto a livello nazionale. In Francia, la vittoria di Macron ha confermato la tendenza dell'elettorato a polarizzarsi su due piattaforme politiche principali, quella dei riformisti moderati e quella delle forze politiche più radicali, a discapito della classica contrapposizione tra destra e sinistra. Le elezioni amministrative italiane, soprattuto in Sicilia e nonostante la forte presenza del Movimento 5 Stelle, hanno invece rinvigorito la tradizionale contrapposizione tra centrosinistra e centrodestra, con quest'ultimo risultato vincente in virtù della sua capacità di formare una coalizione elettorale più inclusiva. Tuttavia, il sistema elettorale utilizzato per le elezioni regionali ha decisamente favorito questo schema. 
 
Probabilmente la speranza recondita dei due poli politici tradizionali è che il terzo polo in ordine di tempo, cioè il Movimento 5 Stelle, imploda, sfaldando così il tripolarismo. Questa sembra, tuttavia, una speranza vana che non tiene conto né dei mutamenti in atto nella società italiana, né dell'atteggiamento di alcune forze politiche pronte a contendersi l'elettorato del Movimento 5 Stelle, né dei sondaggi che danno il Movimento 5 Stelle in crescita nonostante gli errori e le inadeguatezze finora dimostrate. 
Ma che il Movimento 5 Stelle goda di piena salute dal punto di vista dei consensi non significa necessariamente che il tripolarismo sia destinato a sopravvivere. Potrebbe anche significare che lo schema politico bipolare basato sulla contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra, ovvero lo schema ereditato dalla classica contrapposizione tra destra e sinistra, non rappresenti più le esigenze politiche della moderna società italiana, ovvero non sia più in grado di esprimere indirizzi politici coerenti con le aspettative della maggior parte dei cittadini, e non goda più della fiducia degli elettori. 
Infatti, sono ormai molti i segnali deboli che sembrano confermare il prevalere di nuove forme di contrapposizione politica all'interno della società occidentale, non ultimi i risultati elettorali di alcuni paesi europei e degli Stati Uniti dove la contrapposizione è ormai tra forze politiche progressiste (riformatrici) e forze politiche anti-establishment (che abbracciano radicalismi di diversa natura). 
In tal caso, il ritorno ad un sistema dei partiti bipolare potrebbe concretizzarsi con una riconfigurazione del bipolarismo, sia attraverso un inedito attivismo sul fronte delle strategie politiche da parte degli attuali partiti politici, sia attraverso una contrapposizione reale sul piano delle proposte politiche e dei programmi elettorali. 
Se così fosse, la volontà di alcuni partiti politici di restare ancorati alla tradizionale contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra, ovvero la volontà di tenere in vita artificiosamente la contrapposizione destra-sinistra pur in presenza di un terzo incomodo (il Movimento 5 Stelle) che ne mina le basi, non farebbe altro che prolungare l'esistenza di un sistema dei partiti tripolare destinato invece ad estinguersi lentamente ma inesorabilmente quando gli elettori ne decreteranno la marginalità attraverso ripetute elezioni. 
Tuttavia, l'Italia può permettersi una transizione lenta verso una nuova forma di bipolarismo, basata sulla contrapposizione tra le nuove piattaforme politiche che si vanno affermando nella società occidentale? Probabilmente no, poiché il primo ordine di problemi che attiene la governabilità rischia di far precipitare il paese in una fase di immobilismo, o peggio di paralisi istituzionale, che aggraverà irrimediabilmente i problemi del paese, mentre le forze politiche riformatrici e moderate rischiano di essere messe all'angolo. 
 
Durante la XVII legislatura della Repubblica italiana si sono alternati tre governi guidati, in successione, da Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Tutti e tre i Presidenti del consiglio sono stati espressi dal Partito Democratico. Per questa ragione, una parte dell'opinione pubblica potrebbe pensare che il PD abbia governato autonomamente il paese negli ultimi 5 anni. Non è cosi. 
 
Analizzando la composizione dei governi che si sono succeduti nel corso della legislatura si apprende che esponenti di altri partiti hanno fatto parte della compagine governativa con ruoli tutt'altro che secondari. Considerando le scissioni e i cambi di denominazione dei partiti, hanno fatto parte dei suddetti governi esponenti del Popolo della libertà, di Scelta Civica, del Nuovo Centrodestra, di Democrazia Solidale, dei Popolari per l'Italia, dell'Unione di Centro, dei Radicali italiani, del Partito Socialista Italiano, di Alternativa Popolare, dei Centristi per l'Europa. 
In effetti, la formazione di governi composti da un solo partito è stata un fenomeno marginale nel sistema politico italiano (solamente la Democrazia Cristiana è stata in grado di varare dei governi monocolore), poiché di norma nell'esecutivo confluiscono i rappresentanti designati dai principali partiti che compongono la maggioranza parlamentare. 
Assegnando al termine "governare" un'accezione ampia, ovvero intendendo non l'azione di governo dell'organo costituzionale dello Stato titolare del potere esecutivo ma l'azione di governo complessiva del paese, occorre constatare che la Costituzione assegna questa responsabilità al Parlamento e specificatamente alla maggioranza parlamentare, avendo lo Stato italiano adottato la forma di governo parlamentare. 
Le responabilità di governo della maggioranza parlamentare si sostanziano, sia nella formazione e nel sostegno al Governo attraverso il meccanismo del voto di fiducia, sia nell'approvazione delle leggi ordinarie che costituiscono lo strumento giuridico principale per governare il paese, essendo gli altri strumenti normativi, come ad esempio i decreti e gli atti amministrativi, fonti secondarie che non possono contrastare con le leggi ordinarie (che a loro volta non possono contrastare con le leggi costituzionali). 
La Costituzione, infatti, pone dei limiti stringenti al potere legislativo del Governo sancendo all'art. 76 che "L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti." e all'art. 77 che "Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti." 
Per rispondere alla domanda su chi abbia governato l'Italia durante la XVII legislatura bisogna quindi ripercorrere le vicende della maggioranza parlamentare e dei partiti che ne hanno fatto parte. 
Sommariamente hanno fatto parte della maggioranza parlamentare che ha sostenuto il governo Letta (aprile 2013 - febbraio 2014): il Partito Democratico, Scelta Civica, il Popolo della Libertà, l'Unione di Centro e Grande Sud con l'appoggio esterno del Partito Socialista Italiano, del Centro Democratico, Südtiroler Volkspartei e altri partiti minori (PATT, USEI, MAIE, UV, UpT). Dopo la scissione del Popolo della Libertà, che ha generato la rinascita di Forza Italia e la nascita del Nuovo Centrodestra, e la scissione di Scelta Civica che ha generato la nascita dei Popolari per l'Italia, nel mese di novembre 2013 Forza Italia e Grande Sud hanno ritirato il loro appoggio al governo mentre sono entrati nella maggioranza il Nuovo CentroDestra e i Popolari per l'Italia. 
Sempre sommariamente, hanno fatto parte della maggioranza parlamentare che ha sostenuto il governo Renzi (febbraio 2014 - dicembre 2016): il Partito Democratico, il Nuovo CentroDestra, l'Unione di Centro, Scelta Civica, il Partito Socialista Italiano, Democrazia Solidale (costituita da parlamentari fuoriusciti da SC e altri) e il Centro Democratico con l'appoggio esterno del gruppo ALA di Denis Verdini (fuoriuscito da FI), Südtiroler Volkspartei, Italia dei Valori e altri partiti minori (PATT, UpT, USEI, UV, ApI, MAIE). 
Infine, hanno fatto parte della maggioranza parlamentare che ha sostenuto il governo Gentiloni (dicembre 2016 - oggi): il Partito Democratico ridimensionato dalla scissione del 25 febbraio 2017 di Articolo 1 - Mdp, Alternativa Popolare (ex Nuovo CentroDestra), i Centristi per l'Europa, il Partito Socialista Italiano, i Civici e Innovatori (ex Scelta Civica), Democrazia Solidale e Centro Democratico con l'appoggio esterno del gruppo ALA-Scelta Civica-MAIE, Südtiroler Volkspartei, Italia dei Valori e altri partiti minori (PATT, SA, UV, UpT, USEI, Mod, LC, LPP). 
 
Come si intuisce già dalla semplice elencazione dei partiti che hanno sostenuto le suddette maggioranze parlamentari, nel corso della XVII legislatura si sono verificate, sia nella Camera dei deputati che in Senato, sostanziali mutazioni delle forze politiche rispetto a quelle originariamente elette in Parlamento, sebbene il quadro politico complessivo scaturito dalle elezioni del 2013 sia rimasto pressappoco lo stesso. 
Considerando anche i movimenti avvenuti tra le fila dell'opposione, tra scissioni, cambi di denominazione, fondazione di nuovi partiti e cambi di casacca dei parlamentari molte forze politiche presenti in Parlamento hanno perso qualsiasi legame con i partiti originariamente votati dagli elettori nel 2013. 
Infatti, sebbene le candidature al Parlamento siano presentate dai partiti politici, i regolamenti parlamentari consentono ai senatori e ai deputati di formare gruppi parlamentari sconnessi dai partiti che li hanno fatti eleggere. Questi regolamenti hanno favorito una scomposizione, ricomposizione e proliferazione senza precedenti dei gruppi parlamentari. 
Tuttavia, l'assenza di legami diretti tra gruppi parlamentari e partiti politici indebolisce i principi alla base della democrazia rappresentativa, disorienta gli elettori e favorisce sia la deresponsabilizzazione dei parlamentari nei confronti dei partiti che li hanno candidati al Parlamento, sia degli stessi partiti politici nei confronti degli elettori. 
Infatti, durante la XVII legislatura numerose forze politiche nate in Parlamento e mai sottoposte al vaglio degli elettori hanno condizionato le dinamiche parlamentari spesso in maniera determinante. 
Una conferma dell'indebolimento della rappresentanza democratica e del ruolo che la Costituzione assegna ai partiti politici può essere rilevato anche nelle liste presentate per le prossime elezioni politiche del 4 marzo 2018. Come evidenziato da Salvatore Curreri , già si prefigura un uso strumentale dei simboli e delle alleanze da parte di alcune forze politiche il cui solo intento è di conquistare seggi in Parlamento, complici gli stessi partiti e coalizioni in cerca di voti. 
Il proliferare di liste che raccolgono diversi simboli al proprio interno sarebbe, infatti, una conseguenza del nuovo regolamento emanato dal Senato della Repubblica per tentare di porre un freno alla costituzione di gruppi parlamentari scollegati dai partiti politici effettivamente eletti in Parlamento. L'efficacia di questo nuovo regolamento del Senato è quindi tutta da verificare mentre il regolamento della Camera dei deputati non è cambiato affatto. 
Eppure, la formazione di gruppi parlamentari coerenti con i partiti votati dagli elettori non solo servirebbe a garantire la qualità della rappresentanza democratica e l'affidabilità dei parlamentari e dei partiti, ma anche a tutelare la solidità e la coesione della maggioranza parlamentare. Quanto più una maggioranza è coesa e omogenea tanto più è in grado di varare leggi organiche e formare governi stabili. 
 
Per tutte queste ragioni, la frenesia che alcuni partiti hanno di andare al Governo senza preoccuparsi della coesione, della omogeneità o finanche della effettiva esistenza di una solida maggioranza parlamentare dovrebbe destare qualche sospetto, o quantomeno essere considerata una ingenuità in particolare di quelle forze politiche il cui obiettivo dichiarato è cambiare radicalmente il paese attraverso la promulgazione di leggi innovative. 
Quindi e molto probabilmente, arriveremo a un nulla di fatto dove, il Presidente della Repubblica, dovrà prendere l'unica decisione coraggiosa da prendere: Optare per un governo “neutrale” e forte dei partiti, gli darebbero la fiducia restando in carica fino a dicembre, altrimenti dovrebbe andare al voto, da dimissionario, in estate o in autunno. 
 
Governare efficacemente un paese che adotta la forma di governo parlamentare, il bicameralismo perfetto, un sistema elettorale sostanzialmente proporzionale e regolamenti di Camera e Senato non mirati a responsabilizzare i parlamentari e i partiti politici è già di per sè un'impresa difficile. Se a queste tare si aggiungono i conflitti d'interesse, le inadeguatezze, le incompetenze, trasversalmente presenti in buona parte della classe politica italiana e nei partiti, l'impresa diventa veramente ardua.  
E purtroppo è così indipendentemente da chi dovesse vincere, o non perdere, le prossime elezioni politiche per il rinnovo del Parlamento. 
Il Presidente della Repubblica potrebbe indicare un nuovo governo “neutrale” dove i partiti darebbero una fiducia di scopo. Potrebbe, ad esempio, rimanere  in carica fino a dicembre, oppure se dimissionario, portarci a nuove consultazioni in estate o in autunno. 
 
Sic transit gloria mundi 
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