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Il Risiko di Trump
 
Il risiko di Trump 
di Ninni Raimondi
 
Il governo degli Stati Uniti è sempre più sul punto di lanciare un attacco militare contro il governo siriano di Bashar al-Assad con il pretesto del presunto attacco con armi chimiche che settimana scorsa avrebbe preso di mira la popolazione civile di Douma, alla periferia di Damasco.  
La nuova aggressione in Medio Oriente porterebbe a un livello senza precedenti la criminalità della classe dirigente americana, rischiando seriamente di innescare un conflitto su vasta scala con la Russia di Putin. 
La gravità della decisione che starebbe per prendere la Casa Bianca è resa evidente dal ripetersi degli avvertimenti lanciati a Washington da Mosca.  
A quelli pronunciati dall’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vassily Nebenzia, è seguito quello ancora più incisivo del rappresentante di Mosca in Libano, Alexander Zasypkin.  
In una dichiarazione citata dalla rete televisiva al-Manar, Zasypkin ha chiarito ai vertici politici e militari USA che la Russia intende sia abbattere i missili eventualmente lanciati su postazioni siriane sia colpire le installazioni da dove essi partiranno.  
Come se l’avviso non fosse sufficientemente chiaro, l’ambasciatore russo a Beirut ha ricordato che l’azione annunciata dal governo americano “porterà a una crisi di ampie proporzioni”. 
Se gli ultimi due decenni di guerre criminali americane lasciano poco spazio alla sorpresa o all’indignazione per gli imminenti piani in Siria, i fatti che stanno provocando l’ennesima crisi in Medio Oriente appaiono comunque sbalorditivi per la loro inconsistenza. 
Dal presidente Trump agli esponenti più importanti del suo gabinetto, dagli analisti riconducibili agli ambienti “neo-con” agli editoriali dei media ufficiali, tutti hanno in sostanza ammesso come non esistano prove di quanto accaduto settimana scorsa a Douma né delle responsabilità del possibile attacco con un agente chimico.  
Ciononostante, tutti sostengono e, anzi, sollecitano un intervento militare contro la Siria. 
 
Ancora più singolare è il totale disinteresse degli Stati Uniti ad attendere l’indagine sul campo, annunciata in queste ore, dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPCW).  
A riassumere l’attitudine americana è stato un membro del governo di Washington citato dal quotidiano degli Emirati Arabi, The National. Quest’ultimo ha definito “positiva” l’iniziativa dell’organo collegato all’ONU, ma comunque del tutto ininfluente sulle decisioni della Casa Bianca in merito alla possibile aggressione militare contro la Siria. 
In altre parole, Washington ammette apertamente di non avere il minimo interesse per la verità e quindi di volere semplicemente sfruttare la notizia del presunto attacco con armi chimiche per aggredire la Siria.  
Rispetto all’evidenza su cui si basa l’offensiva americana in preparazione, perciò, le menzogne che avevano giustificato l’invasione dell’Iraq del 2003 sembrano oggi quasi prove di ferro. 
Proprio la prospettiva di un’indagine indipendente, come quella dell’OPCW, rappresenta piuttosto un ulteriore motivo per intraprendere un attacco militare in tempi brevi.  
Come ha fatto notare mercoledì anche il governo russo, un bombardamento USA nelle prossime ore servirebbe al preciso scopo di prevenire e vanificare qualsiasi indagine in grado di smentire la versione promossa in Occidente dei fatti di Douma e, allo stesso tempo, di spazzare via eventuali prove dell’accaduto. 
La ricostruzione fatta dagli USA dell’attacco con armi chimiche è d’altra parte a rischio di crollare, malgrado gli sforzi della propaganda dei media ufficiali, perché, a differenza dei precedenti episodi di questo genere, la località interessata si trova in questo caso sotto il controllo delle forze di Assad e di quelle russe.  
Ciò crea dunque il rischio di far emergere elementi che smentiscono la versione ufficiale dei fatti, come ha peraltro già rilevato il governo di Mosca. 
 
Mentre i giornali occidentali continuano a dare pressoché per certo l’episodio di Douma della settimana scorsa, è fondamentale ricordare come le “prove” presentate finora si basino su immagini e filmati realizzati e distribuiti da almeno due organizzazioni che di indipendente hanno poco o nulla. Esse sono i cosiddetti “Caschi Bianchi” e la “Società Medica Siriano-Americana”, entrambe finanziate dai governi occidentali e attive soltanto nelle aree controllate dai “ribelli”, con i quali operano a stretto contatto e senza particolari scrupoli per le loro eventuali inclinazioni fondamentaliste. 
Il totale disinteresse degli USA per la legalità internazionale è stato confermato anche nel corso della sessione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di martedì, dedicata alla Siria. Tre risoluzioni, di cui una presentata da Washington e una da Mosca, sono state prevedibilmente bocciate, ma nel suo intervento, l’ambasciatrice americana, Nikki Haley, ha chiarito che il suo paese “risponderà” all’attacco attribuito al regime di Assad anche senza l’autorizzazione ONU e indipendentemente dai veti, del tutto legittimi, di Russia e Cina. 
Sull’iniziativa da prendere riguardo alla Siria sembrano comunque esserci o esserci state divisioni all’interno dell’amministrazione Trump.  
Tuttavia, le pressioni a cui la Casa Bianca è esposta per cercare di ostacolare l’espansione dell’influenza russa e iraniana in Medio Oriente hanno con ogni probabilità convinto il presidente ad agire. 
Il probabile imminente attacco contro il regime di Assad è stato anticipato da un “tweet” scritto mercoledì da Trump in risposta agli avvertimenti russi.  
Con un messaggio che ha mostrato tutto il degrado e l’irresponsabilità dell’intero apparato di potere americano, Trump ha invitato Mosca a “prepararsi” per l’arrivo sulla Siria di missili “belli, nuovi e intelligenti”. 
Il fattore di rischio principale relativo agli eventi di queste ore, e che deve avere rappresentato il dilemma maggiore per i vertici politici e militari di Washington, è appunto la possibile reazione della Russia a un attacco americano.  
La risposta di Mosca dipenderà in buona parte dall’entità dell’operazione che Trump finirà per autorizzare.  
Un’altra incursione limitata e, in larga misura, simbolica come quella dell’aprile 2017 potrebbe in teoria avere conseguenze relativamente limitate. 
La realtà odierna è però profondamente cambiata rispetto a dodici mesi fa e ciò lo ha confermato proprio la retorica aggressiva di Mosca.  
L’amministrazione Trump si trova d’altra parte con le spalle al muro, vista sia la sostanziale inutilità per gli interessi USA di un raid militare circoscritto come quello dello scorso anno sia la necessità della Casa Bianca di districarsi in qualche modo dalla sempre più profonda crisi che l’avvolge sul fronte domestico. 
 
Il cerchio attorno alla Casa Bianca si sta sempre più stringendo, com’è apparso chiaro anche dagli ultimi sviluppi del “Russiagate”. Lunedì, infatti, con un’operazione straordinaria l’FBI ha perquisito gli uffici dell’avvocato personale di Trump, Michael Cohen, requisendo documenti relativi anche alla corrispondenza privata e di fatto inviolabile tra legale e assistito. 
La minaccia alla sopravvivenza stessa della presidenza Trump è legata in qualche modo proprio alla politica estera USA, visto che gli oppositori interni del presidente spingono da tempo per un’azione più incisiva contro la Russia con il ricatto dell’impeachment o di una possibile incriminazione.  
L’intervento in Siria risponde perciò a queste pressioni, manifestatesi, tra l’altro, in una lunga serie di recenti analisi ed editoriali apparsi sui principali media d’oltreoceano. 
L’aspetto più inquietante che ha accomunato questi commenti è l’esortazione, fatta alla Casa Bianca, di procedere con un’operazione militare che non sia limitata come le precedenti, ma che dia un messaggio chiaro ad Assad e ai suoi alleati e che si accompagni a una strategia di ampio respiro riguardo la situazione in Siria. 
Quello che viene richiesto a Trump è in sostanza niente meno che un piano d’azione che riaffermi la posizione di dominio degli Stati Uniti in Medio Oriente, anche se ciò comporta, viste le dinamiche degli ultimi anni, il rischio concreto di provocare un conflitto diretto con la seconda potenza nucleare del pianeta. 
Che lo spettacolo a cui si sta assistendo in questi giorni in Siria sia un irresponsabile gioco di provocazioni o preannunci una nuova intensificazione del conflitto, è difficile non rilevare il passaggio a un livello qualitativamente diverso dello scontro in atto tra USA e Russia.  
Con il governo americano e i suoi alleati in Occidente sempre più disperati e in profonda crisi di legittimità sul fronte interno, gli eventi di queste ore sembrano così avvicinare l’umanità a un catastrofico conflitto globale come mai è accaduto negli ultimi decenni. 
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