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L’Italia dovrebbe sostenere la S
 
Ecco perché l’Italia dovrebbe sostenere la Siria di Assad 
di Ninni Raimondi
 
La Siria non ci riguarda, se la vedano americani e russi  
Noi abbiamo ben altri problemi da risolvere e in ogni caso chi volete che interpelli l’Italia, non abbiamo alcuna voce in capitolo.  
E poi parliamoci chiaro, perché dovremmo immischiarci negli affari di una nazione araba, al massimo limitiamoci a offrire il nostro sostegno agli Stati Uniti, anzi no alla Russia di Putin.  
Facciamo così, evitiamo proprio di esporci che è meglio, correremmo come al solito di fare la nostra, solita, figuraccia da cioccolattai.  
E’ questa una litania ricorrente, degna del miglior spirito fatalista e disincantato dei tempi.  
E’ al contempo però la visione più ottusa e insensata nei confronti della questione siriana.  
Ci sono infatti almeno quattro motivi fondamentali per cui non è ammissibile che l’Italia stia a guardare, che ci impongono anzi una presa di posizione chiara a sostegno della Siria di Assad. Ecco quali. 
 
Questione economica 
Il 15 novembre 2011 l’Unione Europea ha vietato ai paesi membri di importare e trasportare greggio e prodotti petroliferi siriani. L’Italia aderisce supinamente alle restrizioni imposte, senza considerare minimamente il contraccolpo in termini economici.  
Siamo infatti la principale vittima sacrificale e non ci limitiamo a subire il colpo inferto, da bravi autolesionisti pensiamo bene di scavarci la fossa. Fino a sette anni fa infatti l’Italia esportava giornalmente 110.521 barili di petrolio dalla Siria, raffinati da Eni, Saras e Italiana Energia e Servizi Spa.  
Al greggio giornaliero che arrivava nei nostri porti si aggiungevano prodotti bituminosi e altri derivati per un valore di circa 1,04 miliardi all’anno. Il 9 maggio 2011, il Consiglio dell’Unione Europea, con la Decisione 2011/273/PESC dà il via all’embargo nei confronti della Siria.  
All’articolo 4 del documento si invitano i paesi membri a “(congelare) tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti, posseduti, detenuti o controllati dai responsabili della repressione violenta contro la popolazione civile in Siria e dalle persone fisiche o giuridiche o dalle entità ad essi associate, elencati nell’allegato.” Il Consiglio dell’Ue ha prolungato anche quest’anno le sanzioni.  
Oltre all’assurdo rinnovo dell’embargo nei confronti di chi da anni combatte il terrorismo che colpisce ripetutamente anche in Europa, in questa estensione punitiva c’è una palese ingerenza negli affari interni di una Nazione indipendente unita al tentativo di danneggiarne economicamente i cittadini stessi. In barba quindi al diritto internazionale e a ben vedere ai diritti umani stessi che la Ue pretende poi di considerare inalienabili.  
Restando però all’importanza delle relazioni tra Italia e Siria, forniamo qualche dato per comprendere quanto stupidamente ci siamo giocati. Fino al 2011 eravamo il terzo partner commerciale al mondo della Repubblica araba siriana, subito dopo Cina e Arabia Saudita.  
L’interscambio tra Italia e Siria equivaleva nel 2010 a 2,3 miliardi annui, aumentato di ben 102,7 punti rispetto al 2009.  
A guadagnarci in particolare eravamo proprio noi, grazie alle esportazioni nei settori del lusso e dell’agroalimentare.  
Secondo i dati Ice le importazioni italiane vero la Siria nel 2010 riguardavano per il 42,5% prodotti derivati dalla raffinazione del petrolio, per un valore totale di 532 milioni di euro e un incremento del flusso, rispetto al 2009, del 391,3%.  
Sette anni fa poi l’export italiano in Siria riguardava anche altri importanti materiali: prodotti chimici (73,9 milioni di euro), apparecchiature elettriche (52 milioni di euro) e prodotti della metallurgia (39,5 milioni di euro).  
Soffermandosi però sulle importazioni di greggio dalla Siria fino al 2010 qualcuno obietterà che si trattava di somme risibili, considerando che principalmente l’Italia si riforniva tramite l’Eni dalla Libia (23% dell’import totale, secondo i dati dell’Unione Petrolifera e del Ministero dello Sviluppo Economico).  
Peccato però che a partire dal 2011 questa percentuale si è azzerata e se a questo dato sommiamo il totale delle importazioni di greggio proveniente dalla Siria (3.2% del totale sempre secondo l’Unione Petrolifera), abbiamo perso in meno di sette anni circa un quarto delle nostre forniture di greggio storiche.  
Il tutto con due semplici mosse da seppuku economico: avallare la guerra alla Libia e aderire alle sanzioni alla Siria, facendolo tra l’altro tra i primi con la “tempestiva” chiusura dell’ambasciata italiana a Damasco. 
 
Questione militare 
Una guerra contro la Siria avrebbe pesanti conseguenze sulla situazione politica e militare nel confinante Libano, situazione già di per sé instabile e storicamente esplosiva.  
Questo perché in Siria vi è una forte presenza di Hezbollah, che è oggi fondamentale per garantire la tenuta di entrambe le nazioni mediorientali. Il contraccolpo che subirebbe il Paese dei cedri coinvolgerebbe pesantemente anche l’esercito italiano.  
Lo ha ben evidenziato il generale Marco Bertolini, interpellato stamani da Il Giornale: “Spero che non ci sia nessuna rappresaglia (in Siria, ndr) perché sarebbe un’azione sciagurata per tutti noi. Il Libano sarebbe il primo paese a pagare le conseguenze di un intervento e se il Libano scoppia, rischiano anche i nostri 1.100 uomini dispiegati con i caschi blu”.  
Eppure la questione che più salta agli occhi è il solito allineamento del governo italiano, pur di non entrare in contrasto con Bruxelles e con gli Stati Uniti, cosa a cui sovente non rinunciano altri Stati membri Ue che dimostrano così, almeno in determinate occasioni, di voler mantenere una seppur minima sovranità. Le sanzioni alla Siria quindi non attengono soltanto a una questione di immagine e di guerra al terrorismo, hanno specifiche conseguenze sul piano militare e della sicurezza nazionale.  
Prova ne sono i movimenti della Francia, che dopo averci minato e “fregato” la Libia, bypassa senza grossi problemi le decisioni Ue pur di ritagliarsi un ruolo di primo piano in Medio Oriente. Lo fa attaccando direttamente Assad e supportando i curdi, ma soprattutto condizionando le decisioni degli altri Paesi europei (Germania esclusa). 
 
Italiani in Siria 
Sempre fino al 2011 nella Nazione mediorientale, di cui appunto eravamo il primo partner commerciale europeo, vivevano 40 mila italiani. Lavoravano quasi tutti per aziende tricolori, in particolare nei suddetti settori.  
Adesso a causa delle sanzioni non abbiamo più neppure una compagnia di navigazione che trasporta merci in Siria, sono tutte fallite e anche per inviare farmaci (quelli chiaramente che non subiscono l’embargo economico, e tra questi ve ne sono anche di antitumorali) dobbiamo affidarci a compagnie turche.  
E a proposito di Turchia, continuiamo a regalare al “buon samaritano” Erdogan ogni anno, sempre grazie alle decisioni Ue che sottoscriviamo senza indugio, miliardi di euro per non far arrivare immigrati siriani in Italia.  
Questo perché le sanzioni imposte a Damasco ci impediscono di aiutare direttamente la Nazione da cui questi immigrati provengono.  
Finanziamo in pratica un ricatto che ci vincola alle arbitrarie decisioni di un presidente turco, della cui affidabilità non è neppure il caso di parlare.  
Ecco quindi il risultato che l’Italia ottiene dall’embargo rinnovato alla Siria: tracollo delle esportazioni e delle importazioni, perdite di privilegi economici guadagnati negli anni, coltello alla gola puntato dalla Turchia che continua a svenarci, perdita di credibilità nei confronti dei Paesi arabi storicamente nostri partner.  
Un disastro che addirittura ci vantiamo di continuare a compiere. 
 
Questione culturale 
La città siriana di Homs diede i natali a un’intera dinastia di imperatori romani grazie a Giulia Donna, natia dell’allora Emesa, che sposò il proconsole romano Settimio Severo, divenuto imperatore sei anni più tardi.  
Adesso è una città spettrale, con interi quartieri completamente distrutti.  
Gran parte degli abitanti oggi vive nei campi profughi allestiti dal governo che ora ha realizzato un progetto di ricostruzione, un’operazione inevitabilmente improba volta a far tornare quasi 700 mila persone nella loro città.  
Ci troviamo a pochi chilometri dal Krak dei Cavalieri, massima fortezza crociata riconquistata dalle truppe governative e a 120 km da Palmira. Già, Palmira.  
Dalle terme di Diocleziano al teatro romano, dalla via colonnata all’arco di trionfo.  
Un patrimonio dell’umanità in parte distrutto dalla furia iconoclasta dei terroristi, che ci ricorda ogni giorno il nostro passato glorioso.  
E ci riporta la mente un po’ più a sud, sempre in Siria, dove ancora i tagliagole controllano un’altra perla di Roma dimenticata e oggi misconosciuta, eppure anch’essa patrimonio mondiale dell’umanità: Bosra.  
Lì ancora il teatro romano è intatto, così come il decumano massimo. E proprio lì, forse più che in ogni altro luogo, servirebbe far capire al mondo che l’Italia non è morta.  
Sarebbe l’unica guerra degna, l’unica guerra che dovremmo scatenare senza indugio. 
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