Servizio  
 
 
 
Questo Sito non ha fini di lucro, né periodicità di revisione. Le immagini, eventualmente tratte dal Web, sono di proprietà dei rispettivi Autori, quando indicato.  Proprietà letteraria riservata. Questo Sito non rappresenta una Testata Giornalistica in quanto viene aggiornato senza nessuna periodicità. Pertanto non può essere considerato, in alcun modo, un Prodotto Editoriale ai sensi e per gli effetti della Legge n.62 del 7 Marzo 2001.
 
 
Scarica il PDF della situazione
Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.
Interni
Esteri
Cultura
Il parolaio
 
La Stampa nel mirino
 
Usa: La stampa nel mirino 
di Ninni Raimondi
 
Secondo quanto riportato nei giorni scorsi da una piccola parte della stampa americana, il governo degli Stati Uniti starebbe preparando la creazione di un enorme database per monitorare le attività di centinaia di migliaia di pubblicazioni e di singoli giornalisti virtualmente in tutto il mondo.  
La notizia solleva gravissime preoccupazioni per la libertà di stampa e si aggiunge a una serie di altre iniziative allarmanti già prese in questo ambito dall’amministrazione Trump, nel quadro di un deterioramento generalizzato del clima democratico americano in atto almeno dagli ultimi due decenni. 
Le implicazioni del progetto allo studio contrastano con lo scarsissimo rilievo dato alla notizia sia dal governo sia dai principali media d’oltreoceano.  
Il pubblico ha potuto infatti conoscere il piano di creazione della banca dati relativa alle attività giornalistiche solo grazie all’agenzia di stampa Bloomberg, la quale aveva notato un “post”, datato 3 aprile, su un sito web governativo che elenca le “opportunità di business” con l’amministrazione pubblica. 
Senza alcun annuncio ufficiale e come se si trattasse di un qualsiasi appalto federale, il dipartimento per la Sicurezza Interna, da cui è partita l’iniziativa, informava cioè di essere alla ricerca di un “contractor” privato in grado di fornire assistenza per “Servizi di Monitoraggio dei Media”.  
Questo progetto ha a che fare con il controllo di oltre 290 mila fonti di informazione e social media a livello globale in più di 100 lingue diverse. 
L’appaltatore scelto avrà accesso “24 ore su 24” a un database della Sicurezza Interna protetto da password che raccoglie informazioni su “giornalisti, direttori, corrispondenti, ‘media influencer’ e blogger”, allo scopo di “identificare qualsiasi informazione” relativa allo stesso dipartimento del governo o a determinati “eventi specifici”.  
Il compito della compagnia che si assicurerà l’appalto sarà quello di “fornire informazioni di contatto e di ogni altro genere” sui giornalisti in tutto il mondo, “incluso il materiale pubblicato” in futuro e quello prodotto nel passato. 
Questa definizione è abbastanza ampia da comprendere in sostanza qualsiasi cosa venga scritta o trasmessa dai media di qualsiasi genere in qualsiasi parte del mondo.  
In maniera inquietante, gli stessi termini usati dal governo richiamano quelli contenuti nei documenti dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale (NSA), rivelati qualche anno fa da Edward Snowden, e che descrivevano le attività di sorveglianza e di raccolta di informazioni elettroniche di virtualmente tutta la popolazione del pianeta.  
Il database della stampa sarà d’altra parte sotto il controllo della sezione del dipartimento per la Sicurezza Interna che si occupa di sicurezza informatica e comunicazioni elettroniche. 
Una precisazione, in particolare, rivela se ce ne fosse bisogno la natura del progetto governativo in fase di lancio.  
Tra le informazioni da raccogliere sui giornalisti ci sono cioè anche le loro “opinioni” e i loro “sentimenti”, in riferimento soprattutto a inclinazioni e a eventuali simpatie politiche, ma anche a rapporti famigliari e personali. 
 
Ancora, ogni argomento di ricerca potrà prevedere un numero illimitato di informazioni, mentre tra le oltre 100 lingue straniere considerate, solo quelle parlate in Medio Oriente, più il russo e il cinese, sono citate esplicitamente, a dimostrazione dell’utilità del progetto anche per gli obiettivi strategici del governo americano. 
La spiegazione fornita dal dipartimento per la Sicurezza Interna per il programma di sorveglianza dei media è stata sufficientemente vaga da non avere in pratica alcun significato, visto che risponderebbe a una “necessità cruciale di incorporare queste funzioni [di raccolta informazioni] nei progetti [del dipartimento stesso], in modo da raggiungere in maniera più efficace i partner federali, statali, locali, tribali e privati”. 
Più comprensibile, anche se ugualmente difficile da collegare all’attività giornalistica nel mondo, appare invece l’esigenza di “proteggere e rafforzare le infrastrutture fisiche e informatiche del paese”.  
Quest’ultima frase potrebbe riferirsi alle presunte interferenze russe nel processo elettorale americano, in primo luogo attraverso attività considerate sospette sui social network. In tal caso, l’iniziativa dell’amministrazione Trump è ancora più preoccupante, dal momento che la caccia alle streghe in atto contro Mosca ha tra gli obiettivi principali quello di criminalizzare qualsiasi voce critica nei confronti della propaganda del governo e dei media ufficiali. 
Già il fatto che il progetto sul monitoraggio dei media rientri nelle attività del dipartimento per la Sicurezza Interna (DHS) deve essere motivo di allarme.  
Questo ministero era stato creato all’indomani degli attacchi dell’11 settembre dall’amministrazione Bush e fu dotato di ampi poteri repressivi, da impiegare ufficialmente per combattere la “guerra al terrore” sul fronte domestico. Oggi, il dipartimento presiede anche al controllo delle frontiere, nel quadro della battaglia contro l’immigrazione “illegale” condotta dalla Casa Bianca, e del Servizio Segreto USA, ovvero l’agenzia che si occupa della protezione delle principali cariche politiche americane. 
La notizia del database dei giornalisti è a ben vedere l’evoluzione del giro di vite sulla libertà di stampa in atto da tempo nella presunta patria della democrazia e della libertà di parola.  
Il trattamento riservato a Julian Assange, Chelsea Manning e Edward Snowden durante l’amministrazione Obama la dice lunga sull’impegno del governo americano nel perseguire giornalisti e fonti di informazione che rivelano crimini ed eccessi dell’apparato dello stato. 
Nell’era Trump questo processo appare poi ancora più evidente.  
Secondo il Comitato per la Protezione dei Giornalisti, nel solo 2017 ben 34 appartenenti a questa categoria sono stati arrestati negli Stati Uniti per varie ragioni, mentre 44 sono stati quelli aggrediti, spesso dalle forze dell’ordine. Molti dei giornalisti fermati stavano raccontando manifestazioni di protesta, in molti casi dirette contro agenti di polizia responsabili di omicidi di individui disarmati e inoffensivi. 
Giornalisti soprattutto stranieri, inoltre, sono sempre più trattenuti temporaneamente dalle autorità aeroportuali negli Stati Uniti che li sottopongono a interrogatori sulla loro attività professionale e sui social network o, a seconda della loro provenienza, ne ostacolano l’ingresso nel paese sulla base delle misure anti-democratiche dell’amministrazione Trump dirette contro i cittadini di determinati paesi a maggioranza musulmana. 
 
Come accennato in precedenza, la notizia sull’archivio giornalistico in preparazione al dipartimento per la Sicurezza Interna USA ha trovato poco spazio sulla stampa “mainstream” americana.  
Solo alcuni dei principali media ne hanno parlato, ma tra questi non figurano i giornali “liberal” maggiormente impegnati nella farsa della battaglia contro le “fake news”, come il New York Times e il Washington Post. 
Entrambi sono d’altra parte abituati da tempo ad assecondare la linea ufficiale degli organi dello stato, così che, per queste e altre testate americane, una notizia sulla preparazione di una campagna di schedatura di massa dei giornalisti e di chiunque sia attivo sui social network potrebbe risultare degna di essere pubblicata, e condannata in maniera ferma, solo se dovesse riguardare “regimi autoritari” come quello russo di Vladimir Putin. 
Licenza Creative Commons  19 Aprile  2018
2013
2014
2015
2016
2017
2018