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Adriano Visconti, l’asso dell’Ae
 
Adriano Visconti, l’asso dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana, assassinato dai partigiani 
di Ninni Raimondi
 
 
Repubblica Sociale Italiana: Gli eroi da ricordare! 
Adriano Visconti, l’asso dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana, assassinato dai partigiani 
di Ninni Raimondi 
 
Il 29 aprile 1945, il Maggiore Pilota Adriano Visconti, comandante del 1° Gruppo caccia "Asso di Bastoni" e il suo aiutante di campo, S. Ten. Valerio Stefanini, vengono assassinati dai partigiani nella caserma del "Savoia Cavalleria", a via Vincenzo Monti, a Milano.  
Alla fine delle ostilità, Visconti aveva radunato a Gallarate il suo reparto e aveva concluso un accordo con vari rappresentanti del CLNAI che prevedeva la messa in libertà di sottufficiali e avieri e la consegna degli ufficiali alle autorità militari alleate.  
Una volta giunti a Milano, Visconti viene prelevato con la scusa di un interrogatorio, ma il S. Ten. Stefanini, insospettito, insiste per accompagnarlo.  
Raggiunto il piazzale, i partigiani sparano a tradimento due raffiche di mitra alle loro spalle: Stefanini, nel tentativo di difendere il suo comandante, si getta in avanti e viene falciato; Visconti, ferito, è finito con due colpi di pistola.  
 
La brigata garibaldina "Redi", che ha trasformato la caserma in un mattatoio, dove si scannano centinaia di italiane e di italiani, è agli ordini del comandante "Iso", alias Aldo Aniasi, che sarà sindaco di Milano, deputato e ministro. 
 
Adriano Visconti di Lampugnano, è stato, senza ombra di dubbio, l’Asso indiscusso dell’Aviazione italiana nella Seconda guerra mondiale, con 26 abbattimenti certi e 18 probabili. Per "Asso" non si deve intendere un generico appellativo dato a un pilota per le sue capacità – come comunemente si pensa – ma rappresenta una qualifica che si ottiene soltanto dopo essere stato accreditato dell’abbattimento di cinque aerei nemici in combattimento ravvicinato.  
La grande abilità di Visconti viene poi esaltata dal fatto che volava e combatteva su aerei nettamente inferiori rispetto ai più veloci, meglio corazzati e armati Spitfire, Mustang, P-40, e soltanto nelle fasi finali del conflitto ha potuto disporre di velivoli più moderni come il Macchi M.C. 205 Veltro ed il Messerschmitt Bf 109 G-10. 
Al National Air and Space Museum, a Washington Dc, nella sala dedicata gli Assi della Seconda guerra mondiale, divisi per nazione, è conservata una sua foto, assieme a quella di Franco Bordoni-Bisleri, con a fianco il numero degli abbattimenti. La selezione è il risultato del lavoro di una commissione internazionale di piloti che non ha avuto dubbi su chi far cadere la scelta per la parte italiana. Nelle graduatorie della nostra Aeronautica, invece, Visconti non figura. Nelle cerimonie non viene mai ricordato, sembra quasi che non sia mai esistito, malgrado la sua partecipazione ininterrotta al conflitto, dal giorno dell’entrata in guerra dell’Italia alla sua conclusione. Per le sue capacità, per il suo coraggio, per il suo spirito di sacrificio, dovrebbe essere ricordato, onorato e portato come esempio alle nuove generazioni. Purtroppo, la sua adesione alla Rsi ha provocato la damnatio memoriae e su di lui si è calato un assordante silenzio. 
 
Nato a Tripoli l’11 novembre 1915 da una famiglia lombarda, allievo del corso Rex in Accademia Aeronautica, nel 1936 consegue il brevetto di pilota militare.  
Nel giugno del 1940, allo scoppio della guerra, Visconti viene trasferito con il suo reparto in Africa settentrionale, presso l’aeroporto di Tobruk, dove combatte volando sui Breda Ba.65 e sui Caproni Ca.310.  
Durante il periodo giugno-dicembre 1940 viene decorato con due medaglie di argento al valor militare e una medaglia di bronzo per numerosissime azioni di spezzonamento e mitragliamento contro mezzi corazzati nemici e per la sua attiva partecipazione alla battaglia aeronavale del 14-15 giugno 1942. Dal gennaio 1941 Visconti è in forza alla 76ª Squadriglia del 54º Stormo Caccia Terrestre e il 29 aprile 1943, nel corso dell’ultimo grande scontro prima della caduta della Tunisia, l’allora Ten. Visconti guida dodici Macchi M.C.202, del 7° Gruppo, all’attacco di sessanta tra Supermarine Spitfire e Curtiss P-40. Visconti abbatte un P-40, mentre altri quattro vengono accreditati ad altri piloti del suo Stormo. 
Il 20 maggio 1943 viene dislocato in Sardegna, nell’aeroporto di Decimomannu, alla 310ma Squadriglia Autonoma Caccia Aerofotografica, ma è ormai considerato un Asso per l’abbattimento individuale di 19 apparecchi nemici (tra cui ben 4 Spitfire e un Curtiss P-40) nei cieli della Libia, di Malta e della Tunisia.  
È proprio a Decimomannu che Visconti si trova l’8 settembre con soli tre velivoli Macchi M.C.205 da aero-ricognizione, tre piloti e nove specialisti, rimasti senza ordini in seguito alla precipitosa fuga del re, del governo e dei vertici militari.  
 
Decide di rientrare a Guidonia per mettere in salvo gli aerei, ma sorge il problema degli specialisti che, da buon comandante, non ha alcuna intenzione di abbandonare. Con i caccia monoposto è impensabile trasportarli, ma Visconti non si perde d’animo: ordina di smantellare le apparecchiature superflue in modo da permettere a due uomini di sistemarsi nella fusoliera, seduti uno di fronte all’altro con le ginocchia incastrate. Viene asportato anche il seggiolino assieme al paracadute, per fare più spazio al pilota che siederà in grembo al terzo uomo. I tre piloti, Visconti, il sottotenente Giovanni Sajeva e il sergente Domenico Laiolo completano l’approntamento dei tre velivoli e, alle prime luci dell’alba, decollano lungo la direttrice Decimomannu-Olbia-Bastia-Isola d’Elba-Civitavecchia-Roma-Guidonia, con volo a bassa quota. Giungono senza intoppi a Guidonia, ma l’atterraggio avviene con non poche difficoltà: i molti piloti che hanno assistito si stupiscono, considerando l’apparente semplicità della manovra, ma quando vedono venire fuori tutte quelle persone, si precipitano a complimentarsi.  
È il 9 settembre 1943 e Adriano Visconti, già popolare per il suo curriculum di valoroso pilota, vede accresciuta la sua notorietà per l’audacissima "fuga" dalla Sardegna. 
 
Adriano Visconti aderisce quindi alla Repubblica Sociale Italiana e partecipa attivamente alla costituzione dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana, inizialmente come comandante della 1° Squadriglia, successivamente – promosso maggiore per merito di guerra – del 1° Gruppo caccia "Asso di Bastoni".  
Combatte, in una lotta impari, per contrastare lo strapotere dell’aviazione americana e per difendere il Nord dai devastanti bombardamenti che i "liberatori" riversano non soltanto sui complessi industriali, ma anche sulla martoriata popolazione civile, arrivando ad abbassarsi per mitragliare anche singole persone in strada.  
Questi bombardamenti – che causano la morte di sessantaquattromila civili, tra anziani, donne e bambini, tra i quali duecento alunni della scuola elementare del quartiere Gorla di Milano, colpita il 20 ottobre 1944 – sono finalizzati a sfiancare e demoralizzare la popolazione e costringere le autorità alla resa incondizionata. 
Le azioni contro le formazioni di bombardieri sono quotidiane, i caccia di scorta sono in numero infinitamente superiore a quelli italiani. I piloti non godono di un momento di riposo e la stanchezza e lo stress ne minano il fisico e il morale. Eppure, nessuno si tira indietro.  
 
Visconti, abbattuto due volte e menomato per i postumi delle ferite, il 19 aprile 1945 compie l’ultima missione tirando giù il B-24 del capitano Walter Sutton che, catturato illeso con il suo equipaggio, ha parole di ammirazione per i coraggiosi piloti italiani.  
Ad Adriano Visconti sono state conferite 6 medaglie d’argento, 2 medaglie di bronzo, la Croce di Ferro tedesca di 1a e 2a Classe, 2 promozioni per merito di guerra.  
Ha pagato con la vita, per mano di traditori e vigliacchi, la sua generosità e il suo amore per l’Italia e per gli italiani che ha difeso fino all’ultimo istante della sua vita.  
Al momento del suo assassinio aveva 29 anni.  
Ora riposa in pace nel cimitero Musocco di Milano, Campo X, detto Campo dell’Onore, con Valerio Stefanini e altre centinaia di generosi figli della Repubblica Sociale Italiana trucidati in quei tragici giorni d'infamia. 
 
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