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Mafia anni 90 
di Ninni Raimondi
 
I “buoni” erano “cattivi” e viceversa? 
 
La ricostruzione rovescia i teoremi: i Ros avevano attaccato frontalmente la mafia, la magistratura, persi Falcone e Borsellino, mollò la presa 
Da qualche giorno stiamo pubblicando sul “Dubbio” una ricostruzione dei fatti tragici che all’inizio degli anni 90 insanguinarono la Sicilia.  
Continueremo la settimana prossima. Sto realizzando questa ricostruzione, lavorando su documenti, sentenze, requisitorie, testimonianze, carte, atti giudiziari.  
Senza violare nessun segreto, senza fidarsi di nessun “uccellino”, senza fonti riservate e coperte, senza basarsi su supposizioni prive di prove. 
Generalmente l’informazione giudiziaria funziona in un altro modo: non perde tempo a seguire i processi e a verificare le carte, ma “suppone”; e di solito più che supporre prende per buone le supposizioni delle Procure.  
Qual'è la novità che emerge da questa ricostruzione?  
E’ abbastanza sconvolgente.  
Ci fa capire che probabilmente la verità è più o meno l’opposto di quello che sin qui si è fatto credere. 
Vediamo.  
Recentemente il processo di Palermo (quello sulla presunta trattativa stato-mafia) ha stabilito che un gruppo di carabinieri dei Ros tradì lo Stato e lavorò, insieme alla mafia, per minacciarlo e ricattarlo.  
Con l’aiuto di Dell’Utri. 
Se le cose davvero stessero così, sarebbe una cosa gravissima.  
Un vero e proprio tradimento da parte di un settore molto prestigioso dei carabinieri. 
Finora, però, non è stata mostrata una sola prova che avvalori questa ipotesi, tranne la testimonianza di un mafioso pentito (Brusca) che in cambio della sua testimonianza ha ottenuto le attenuanti e quindi la prescrizione e quindi l’assoluzione.  
C’è da fidarsi di Brusca, senza un riscontro, senza una carta, un fatto, un documento?  
Aspettiamo le motivazioni della sentenza e vediamo se esce fuori qualcosa.  
Per ora, zero. 
 
La nostra ricostruzione però giunge a una conclusione del tutto opposta: i carabinieri “traditori” non erano affatto traditori, ma erano investigatori molto competenti che avevano scoperchiato (tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei 90) un gigantesco giro di reati, compiuti per assegnare in modo illegittimo a mafiosi e imprenditori una quantità mostruosa di appalti. 
La descrizione di questi delitti, e le prove, erano contenute in un dossier chiamato “mafia appalti”, che fu consegnato dai Ros alla magistratura. E precisamente al sostituto procuratore Falcone che iniziò le indagini e giudicò clamorose le scoperte dei carabinieri.  
Poi Falcone fu chiamato a Roma e il dossier passò ad altri sostituti procuratori. Lo stesso Falcone chiese a Borsellino di occuparsi lui personalmente di quel dossier, perché solo di lui si fidava e perché il dossier conteneva verità scioccanti.  
Ma prima che il Procuratore Giammanco si decidesse a consegnare il dossier a Borsellino, successero tre cose: fu ucciso Falcone, fu ucciso Borsellino e, nel frattempo, i sostituti procuratori che avevano in mano il dossier chiesero ( e rapidissimamente ottennero) che fosse archiviato.  
In una parola sola: insabbiarono.  
Questi sostituti procuratori erano Roberto Scarpinato, attuale Procuratore generale di Palermo e Guido Lo Forte.  
E visto che nel frattempo Borsellino e Falcone erano morti, nessuno più mise le mani su quei documenti i quali contenevano nomi, circostanze, collegamenti, con una tale precisione (e di una tale gravità) che probabilmente avrebbero creato un vero e proprio cataclisma.  
Sulla mafia, ma anche sulla politica.  
Non solo su quella siciliana, perché le imprese coinvolte operavano su tutto il territorio nazionale e anche gli appalti non erano solo siciliani ma erano sparsi in ogni regione italiana. 
 
Ora le questioni aperte sono tre. 
La prima riguarda l’uccisione di Borsellino. In questi anni spesso si è detto che la sua morte è avvenuta perché si opponeva alla trattativa stato mafia. Poi si è detto che stava indagando su Berlusconi. Ora si capisce con una certa sicurezza che non era così. Borsellino non stava indagando su nessuna trattativa né su Berlusconi, ma voleva occuparsi di questo dossier, e negli scandali contenuti in questo dossier non c’era trattativa né c’era ombra di Berlusconi o di Dell’Utri. Dunque tutta la ricostruzione, soprattutto giornalistica ( ma presente massicciamente anche nelle requisitorie dei Pm al processo di Palermo) è infondata. 
 
La seconda questione riguarda i Ros.  
È chiaro che i Ros del generale Mori non solo non trattarono con la mafia, ma avevano una strategia del tutto opposta: quella di andare a scontrarsi frontalmente sia con la mafia sia con quei settori della politica e dell’imprenditoria che con la mafia facevano affari. 
 
La terza questione è la più inquietante.  
Cosa successe in alcuni settori della magistratura di Palermo? Perché insabbiarono una inchiesta che era una vera bomba atomica e che conteneva i presupposti per annientare Cosa Nostra? C’è un collegamento tra questa decisione di insabbiare e di disinnescare quella inchiesta e il clamoroso depistaggio, seguito dalla magistratura, innescato dal falso pentito Scarantino ( primo processo Borsellino)? E ancora: il processo Stato mafia è in qualche modo figlio di questi clamorosi abbagli? 
Come si può notare, la terza questione è formata da domande. Chi può rispondere a queste domande? La magistratura è in grado di fornirci almeno qualche lume? 
 
Licenza Creative Commons  8 Maggio 2018
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