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Il volo su Vienna
 
Il volo su Vienna: quando D’Annunzio insegnò al mondo l’eroismo italiano 
di Ninni Raimondi
 
"Viennesi! Imparate a conoscere gli italiani.  
Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate.  
Noi vi lanciamo un saluto a tre colori: i colori della libertà!".  
 
È il 9 agosto 1918: uno stormo di Ansaldo SVA dell’87a squadriglia "La Serenissima" si alza in volo dal campo di San Pelagio (Padova), diretto a Vienna.  
A guidarli un biplano biposto con a bordo Gabriele D’Annunzio e Natale Palli.  
Gli Ansaldo SVA sono aerei da ricognizione e bombardamento, ma questa volta non portano bombe.  
Quello progettato da D’Annunzio – divenuto celebre come "volo su Vienna" – sarà infatti un atto bellico del tutto incruento, di un’enorme potenza estetica, che vedrà lanciati sulla capitale asburgica decine di migliaia di volantini inneggianti all’Italia e che invitavano la popolazione viennese alla resa. 
Solo un visionario come D’Annunzio poteva progettare un’impresa simile.  
 
Fervente interventista, aveva infiammato l’Italia con i suoi discorsi e le sue invettive ma, poeta d’azione, non era certo rimasto seduto nei salotti della borghesia italiana a discutere di guerra mentre al fronte combattevano le migliori generazioni del nostro Paese.  
Al contrario, già cinquantaduenne, aveva chiesto e ottenuto di potersi arruolare come ufficiale nei Lancieri di Novara, reggimento che accoglieva i primi piloti impegnati nel conflitto.  
Una volta ottenuto il brevetto d’aviatore, D’Annunzio non si fece certo remore a progettare azioni dimostrative, partecipandovi in prima persona. Promosso maggiore, nel 1918 assunse il comando della Squadriglia Aeroplani, «La Serenissima». Così poté finalmente dare vita al progetto cui stava lavorando da ben più di un anno: volare su Vienna. 
Un’impresa non facile, la sua: un volo di più di mille km, in pieno territorio nemico, con tutta una serie di difficoltà che, inizialmente, avevano indotto il Comando supremo a negare il consenso. È solo dopo le vibranti perorazioni di D’Annunzio, infatti, che viene dato, dopo una serie di collaudi, il via libero definitivo a quello che dovrà essere un volo con «carattere strettamente politico e dimostrativo; è quindi vietato di recare qualsiasi offesa alla città.  
Con questo raid, l’ala d’Italia affermerà la sua potenza incontrastata sul cielo della capitale nemica». È fatta. D’Annunzio convoca i suoi piloti più fidati, in un clima misto di eccitazione e drammaticità, e chiede loro di aderire a quello che non è solo un semplice giuramento, ma un atto fondativo per una delle più belle imprese della storia d’Italia: "Se non arriverò su Vienna, io non tornerò indietro. Se non arriverete su Vienna, voi non tornerete indietro. Questo è il mio comando. Questo è il vostro giuramento. I motori sono in moto. Bisogna andare. Ma io vi assicuro che arriveremo. Anche attraverso l’inferno. Alalà!".  
Sono undici gli aerei che si alzano in volo e sette riescono a raggiungere il cielo di Vienna lanciando, tra lo spavento e lo stupore della popolazione, decine di migliaia di volantini: cinquantamila in italiano, contenenti un testo di D’Annunzio, altri trecentocinquantamila invece riportanti anche in tedesco uno scritto, divenuto ormai famoso, del giornalista Ugo Ojetti. 
 
Un volo folle, quello di D’Annunzio, che sancisce nuovamente il primato del genio italiano e che dà all’Italia e al suo esercito un nuovo slancio rinnovandone lo spirito guerriero. D’Annunzio dimostra così all’Italia e al mondo intero che è possibile non abdicare all’azione e osare, osare temerariamente con quell’atteggiamento irrequieto di chi non può e non vuole rimanere ingabbiato nel ruolo riservato ai poeti da quei salotti borghesi che non concepiscono la sovrapposizione dei ruoli di poeta e combattente politico. Oggi, a distanza di cent’anni, verrebbe da chiedersi dove sono ora i nostri D’Annunzio e quello spirito eroico che ha reso grande, nei secoli, il nostro Paese. Verrebbe anche da chiedersi come sia possibile che la Repubblica italiana non abbia fatto nulla per celebrare questa impresa, "nulla per quell’uomo – lamenta Giordano Bruno Guerri, presidente della fondazione “Il Vittoriale degli Italiani” – che resuscitò persino nel nemico l’immagine dell’eroe italiano".  
 
Nessuna sorpresa per una nazione che è diventata, a partire dai suoi rappresentanti, l’ombra di se stessa.  
Sta a noi dunque il coraggio di raccogliere il testimone e rinnovarne lo spirito.  
Anche attraverso l’inferno. 
Licenza Creative Commons  9 Agosto 2018
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