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Buonsenso e razzismo
 
Confondere buon senso e razzismo: così la sinistra deraglia sul caso Trenord 
di Ninni Raimondi
 
Stiamo annegando in un mare di cacca che è un misto di perenne ipocrisia e insensata correttezza politica. La puzza c’è ed è nauseante, ma proseguiamo indisturbati nella competizione folle di chi sbandiera con maggior vigore i propri falsi e stupidi buoni sentimenti. E siamo destinati a soccombere perché il nostro più temibile nemico siamo noi stessi, con la nostra viltà e con la nostra pochezza, coi nostri scarsi attributi e col nostro perenne timore. Perché è veramente fattibile dare torto alla capotreno Trenord che, sul treno Milano-Modena, ha intimato all’altoparlante di non cedere alle richieste dei questuanti presenti nei vagoni e che, sfogandosi, ha affermato che gli zingari dediti a tale attività hanno rotto i coglioni? A quanto pare risulta fattibile, nel senso che, oltre alla critica per il modo utilizzato dalla capotreno, molti campioni politically correct ne hanno chiesto l’immediato licenziamento per le esternazioni intrise di razzismo. E ci risiamo con le accuse campate per aria. E ci risiamo con l’arbitrario utilizzo di etichette appioppate con preoccupante disinvoltura e col solo fine di infangare l’altro. 
 
Gridano allo scandalo dalle colonne dei giornali impegnati gli stessi intellettuali altrettanto impegnati nell’erosione del buon senso.  
Sì, dall’altoparlante un dipendente non può dire ciò che vuole e coi toni che vuole, ma parlare di indagine interna che potrebbe risolversi anche nel licenziamento è francamente folle. E lo è non solo per la natura del gesto in sé che, ci pare evidente, non ha causato nocumento ad alcuno; ma lo è anche perché non esiste persona felice di viaggiare in treno ed essere molestato dal popolo di sfaccendati che riempie le stazioni d’Italia. Basta girare evitando taxi o auto blu per accorgersi che gli stranieri africani che viaggiano sui treni non sono in gran parte muniti di biglietto, e che però sono pronti e lesti nell’inscenare siparietti grotteschi non appena un controllore esige da parte loro il rispetto delle regole. Il vu’ cumprà, o come diavolo di scrive, che rientra dopo una giornata di vendite abusive di prodotti contraffatti è secondo voi provvisto di regolare biglietto per usufruire del trasporto ferroviario? E i rom questuanti che si trascinano spesso dietro i propri figli per sciogliere il nostro cuore di ghiaccio sono secondo voi un valore aggiunto per Trenord o le ferrovie dello Stato?  
È, la loro, un’opera di intrattenimento cui sarebbe sbagliato sottrarci?  
Ci pare di vivere nel mondo dei sogni, in una realtà ove, a fronte di lampanti situazioni di illegalità diffusa, si ritiene saggio reagire con pacche sulla spalla e sorrisoni a trentadue denti. 
 
Con la visione della vita come se fosse un perenne Erasmus, l’incontro con altri modi di vivere deve essere per forza accettato e considerato un passo avanti della nostra coscienza collettiva.  
Finiamo così per massacrare una signora, evidentemente esasperata, che dice ad un microfono esattamente quel che tutti noi pensiamo e archiviamo il nocciolo della questione, l’evento che continuamente si ripropone e che, nel caso di specie, ha trasformato molte stazioni d’Italia in delle no go zone.  
Quello che un tempo veniva chiamato innocentemente “zingaro” oggi deve essere chiamato “rom” poiché quel linguaggio duro potrebbe intaccare la sua sensibilità.  
Che poi molti di loro prosperino nella illegalità dei campi abusivi ove accade di tutto e che costoro oltretutto trattino i loro vicini come degli imbecilli da vessare continuamente, è doveroso farlo passare in secondo piano se non nasconderlo sotto il tappeto poiché questi sono i tempi della sostanza che soccombe difronte alla forma.  
Ah, ma sulla Rai ci sarà certamente un qualche talk in cui vengono intervistati tre, dico tre, ragazzi di etnia rom provvisti di bel faccino e di laurea in fisica nucleare.  
Vedete, dicono, questi sono i rom che voi tanto disprezzate e che si sentono ogni giorno di più ghettizzati e martoriati e minacciati.  
Mai avremmo pensato che, in effetti, non tutti i rom vivono nelle topaie e campano di illegalità: grazie mille signora Rai, merita pagare un canone per un servizio così impeccabile e intelligente.  
Saremmo tentati di dire al rom laureato che se si sente tirato in ballo quando parliamo della roba di cui sopra sono squisitamente affari suoi, ma evitiamo perché confidiamo nella sua arguzia e capacità di arrivarci da solo. 
 
E intanto la dipendente Trenord viene crocifissa dai paladini “degli altri mondi” mentre la marmaglia continua a rendere quelle stazioni luoghi-non-luoghi e il volenteroso che vuol filmare il degrado che imperversa nel campo rom della propria città deve stare attento non alle decine di auto clamorosamente smontate o alle montagne di rifiuti accatastati bensì a non fare riprese su suolo pubblico perché potrebbe vilipendere la dignità dell’altra cultura proveniente dall’altro mondo. 
 
Al di fuori di quel volenteroso, la signora Rai tuttalpiù riprende la cataste di monnezza e di auto clamorosamente smontate senza però affiancarvi i volti di chi prospera in quel lordume.  
È un servizi pubblico di un livello troppo alto per poter essere afferrato.  
È un servizio pubblico che insegna anzi ammaestra il popolo e le sue assurde pulsioni.  
Dalla blindatissima Capalbio, loro fanno suonare l’ora della ricreazione: la lezione riprenderà fra poco e tratterà la nostra imbecillità che ha condotto i rom a chiedere l' elemosina col neonato sotto braccio. 
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