Questo Sito non ha fini di lucro, né periodicità di revisione. Le immagini, eventualmente tratte dal Web, sono di proprietà dei rispettivi Autori, quando indicato.  Proprietà letteraria riservata. Questo Sito non rappresenta una Testata Giornalistica in quanto viene aggiornato senza nessuna periodicità. Pertanto non può essere considerato, in alcun modo, un Prodotto Editoriale ai sensi e per gli effetti della Legge n.62 del 7 Marzo 2001.
 
 
Scarica il PDF della situazione
Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.
Interni
Esteri
Cultura
Parolatio
 
Architettura fascista, i ponti n
 
Architettura fascista: la solidità di ponti che non crollano e l’estetica di strutture magnifiche 
di Ninni Raimondi
 
A proposito del crollo del ponte d Genova 
Il binomio perfetto fra solidità e magnificenza.  
Fra l’apollineo della forma, della materia e il dionisiaco del dettaglio estetico, del forte impatto empatico.  
Questo e moltissimo altro, ci ha lasciato in eredità l’architettura fascista del Ventennio: tornata, in giorni di dettagliate e dolorose disquisizioni circa “autostrade e ponti”, agli onori della cronaca per inevitabili e fondatissimi confronti. 
 
Differenze abissali e su tutta la linea: l’architettura fascista, che nasce contestualmente al Razionalismo tedesco, si divide in due fasi.  
La prima, “razionalista”: con mire dichiaratamente propagandistiche. Miglior interprete fu Giuseppe Terragni, di Meda. “L’architettura, indice di civiltà, sorge limpida, elementare, perfetta quando è espressione di un popolo che seleziona, osserva e apprezza i risultati che, faticosamente rielaborati, rivelano i valori spirituali di tutte le genti”: così lo stesso Terragni definiva l’arte architettonica. La seconda fase, cosiddetta “monumentalista”, vide invece il romano Marcello Piacentini come miglior esponente, nonché suo ideologo. Cruciale questa fase nella diffusione dell’ideale di grandezza, magnificenza che Mussolini voleva diffonde e capillarmente instillare negli animi italiani. Ne nacquero edifici sempre più scenografici ed esteticamente ricercati: sublimi. L’opera di maggior spessore di Piacentini fu sicuramente il Palazzo di Giustizia a Milano, realizzato tra il 1932 ed il 1940. 
 
Ma sono i ponti, inevitabilmente, a rientrare nella discussione d’oggi.  
Come quello di Venezia: il Ponte della Libertà.  
L’unico a collegare il centro storico alla terraferma.  
Realizzato da Eugenio Miozzi (ingegnere bresciano) in soli 18 mesi, venne inaugurato il giorno della festa di San Marco, inizialmente col nome di “Ponte Littorio”.  
Maestose le statue equestri, in bronzo: disposte, perfettamente, in quattro gruppi.  
Altra opera importante e dal forte valore commemorativo è il Ponte della Vittoria a Verona.  
Per celebrare il trionfo di Vittorio Veneto, venne inaugurato il 4 novembre del 1929. Da Verona a Roma: Ponte Flaminio risponde “in toto” alla monumentalità tanto richiesta dal Duce.  
Uno dei ponti più settentrionali tra tutti quelli che attraversano il Tevere, il suo progetto venne affidato ad Armando Brasini e all’ingegnere Aristide Giannelli e costruito tra il 1938 ed il 1961.  
 
Realizzato con calcestruzzo rivestito di bianco travertino romano, il ponte conta scalinate che sopraelevano gli ampi marciapiedi laterali, dai quali svettano maestosi lampioni e scenografiche aquile: simbolo cardine della potenza militare dell’Impero Romano.  
Grazie all’architettura fascista, l’eredità del passato si incastona, perfettamente, nei luoghi e nei tempi del presente.  
Perché non esiste “futuro”, senza  “passato remoto”: con buona pace di Toscani e di tutti i progressisti dissidenti. 
Licenza Creative Commons  21 Agosto 2018
2013
2014
2015
2016
2017
2018