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Dalla Diciotti ai conti con la L
 
Dalla Diciotti ai conti della Lega: così la magistratura tenta l’assalto al governo 
di Ninni Raimondi
 
Il gelato non è stato apprezzato, a quanto pare. Milletrecento gelati, dei ventimila distribuiti nelle case di accoglienza e nelle mense dei poveri a Roma, erano stati fatti recapitare al centro Mondo Migliore di Rocca di Papa dove alloggiavano gli immigrati arrivati con la nave Diciotti.  
Cinquanta di essi – degli immigrati, s’intende, non dei gelati – hanno preferito tagliare la corda e abbandonare il Cas ove la Chiesa accoglie i bisognosi o presunti tali.  
Adesso gironzolano sul territorio italiano. Dalla Caritas italiana giungono voci confortanti: dicono che non è niente di strano perché quegli immigrati non erano tenuti in ostaggio. Giusto, ad oggi è il ministro dell’Interno sospettato di sequestro di persona. E in uno slancio di senso di responsabilità, alcuni esultano per lo spirito libero dei poco graditi ospiti, i quali pare vogliano recarsi verso il Nord Europa. Poveri illusi. 
Qualche cinica considerazione pare necessaria visto che di buonisti già siamo pieni.  
Gli sbarcati dalla nave Diciotti intenderebbero uscire dall’Italia recandosi altrove, magari in Germania.  
Nessuno li ha avvisati che dal confine italiano non usciranno mai poiché i paesi filantropi che ci bacchettano notte e giorno sono anche quelli con le frontiere più sprangate di tutti. La narrazione che arriva fino al centro dell’Africa non racconta però della condizione tesa in cui vive quest’Europa, in cui ognuno tira l’acqua al suo mulino e l’unico Stato membro che lo prende in tasca – ovvero si becca degli immigrati via mare – rimane l’Italia. La cinquantina di persone che ha abbandonato il Cas di Rocca di Papa rimbalzerà sui muri di un’Europa disunita. 
 
Ma l’aspetto più drammatico non è questo, bensì la bugia che ancora una volta ci è stata raccontata.  
Parevano disperati, moribondi, acciaccati e tutti profughi.  
La sfilata dei filantropi progressisti aveva proprio questo fine: intenerire noi carogne per farci aprire le porte a chi ne aveva bisogno e diritto.  
Tutto a un tratto, però, a questi benedetti disgraziati non è più interessato far studiare il proprio caso per tentare di essere riconosciuti come rifugiati. No, loro hanno abbandonato tutto interrompendo, o non facendo proprio iniziare, la trafila burocratica che poi porta al verdetto sul loro conto. E dunque, li abbiamo accolti per quale motivo? Quali erano le impellenti esigenze che ci hanno obbligato ad aprire il cuore alla loro causa? 
Ve lo dico io: Nessun motivo e nessuna esigenza.  
L’opposizione sciatta e becerotta ha infilzato, come al solito, il ministro Salvini con lo spillone dei buoni sentimenti e del famigerato razzismo con l’unico fine di mettere in bastoni tra le ruote a chi stava concludendo efficacemente una partita a braccio di ferro con i partner europei sulla questione delle questioni. Sappiamo, perché ce lo dicono numerosi dati, che chi arriva non fugge da niente di pericoloso e addirittura fa parte del ceto medio africano. Sappiamo, perché ce lo raccontano loro, che chi si imbarca ha solo voglia di star meglio e non, come ci viene ripetuto, di sopravvivere. E chiunque è a conoscenza dei rapporti tesi che ci legano agli Stati membri dell’Ue e che hanno prodotto barriere fisiche tra i paesi, impedendo di fatto a costoro di varcare i confini per cercar fortuna o ricongiungersi ai familiari. Ma i modaioli alla Fiano e gli chef con la stella dell’umanitarismo alla Rubio hanno il solo fine di boicottare ad oltranza per un odio ideologico che li rende ciechi e pericolosi, ignorando totalmente la questione centrale evidenziata dall’economista britannico Paul Collier, autorità mondiale sulle migrazioni: “Lavoro per il 90% con i governi africani e so che il loro incubo peggiore è che i giovani si innamorino della narrativa secondo la quale la loro unica speranza risiede nell’emigrazione”. Paesi come il Ghana, che ha un Pil in crescita del 9%, i cui governanti temono quest’effetto calamita più di qualsiasi altra catastrofe perché li sta privando delle loro migliori energie. 
 
Però i sondaggi premiano Salvini, c’è poco da fare. E allora si rende necessario un colpo di spugna su di lui e sul partito che ha fatto risuscitare.  
Vi è da sempre una parte delle procure della Repubblica militante e oltranzista, così, visto che l’accusa di sequestro di persona dovrà passare dal vaglio del Senato, il Tribunale del riesame di Milano ha accolto il ricorso della procura di Genova confermando il sequestro dei famosi 49 milioni di euro.  
Il punto è che la Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo ha deciso, con sentenza del 28 giugno 2018, che un provvedimento di confisca applicato a chi non era parte del processo viola l’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Oltre ciò, la Cassazione evidenzia che un sequestro ai danni di una persona giuridica è legittimo quando il profitto sia rimasto nella disponibilità della stessa, aggiungendo che tali profitti devono essere riconducibile al reato tributario. Ebbene, sui conti della Lega, dopo l’esecuzione dei precedenti sequestri, vi sono 5.618.000 euro, di cui circa 4.788.000 derivanti da erogazioni liberali e donazioni e i rimanenti 730.000 circa provenienti dal 2×1000. Eppure, nonostante questo, la sinistra avversa alla Lega cavalca il cavallo di battaglia delle ruberie dell’era Bossi per infangare Salvini e il partito, opponendo al suo programma la militanza oltranzista e faziosa. È un metodo caro alla sinistra che come una piovra ha allungato i suoi tentacoli ovunque potesse, magistratura e scuola in primis, mandando sul campo di battaglia magistrati e professori che godendo di fin troppa libertà sovrappongo le loro idee personali a quello che è il loro ruolo pubblico.  
A noi resta la sola possibilità di raccontare la verità. 
 
“Più immigrazione significa più delinquenza, i numeri sono chiari. Essere riuscito a ridurre di molto sbarchi e arrivi, nonostante minacce e denunce, è per me motivo di orgoglio”.  
 
Parola del ministro dell’Interno Matteo Salvini, dati del Viminale alla mano.  
Nell’ultima settimana, in effetti, la polizia ha arrestato 528 persone. Di questi più della metà (285) sono immigrati. Non solo. Nello stesso periodo gli agenti hanno denunciato 2.478 persone. Anche in questo caso oltre il 50% (1.300) sono immigrati. Ecco perché il decreto immigrazione con “disposizioni urgenti in materia di rilascio di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario nonché in materia di protezione internazionale, di immigrazione e di cittadinanza” è così urgente.  
Anche per spostare finalmente i soldi dall’accoglienza ai rimpatri. Il decreto, a tal proposito, abroga di fatto “l’istituto del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari” introducendo “una tipizzazione delle tipologie di tutela complementare”. 
Il decreto prevede anche “misure necessarie ed urgenti per assicurare l’effettività dei provvedimenti di rimpatrio di coloro che non hanno titolo a soggiornare nel territorio nazionale, con nuove disposizioni in materia di trattenimento”.  
Queste le coperture finanziarie: 500mila euro per l’anno 2018 e 1,5 milioni per ciascuno degli anni 2019 e 2020 saranno destinati al Fondo rimpatri istituito presso il Viminale. 
Giro di vite per gli immigrati che commettono reati.  
Arriva “l’istituto della revoca della cittadinanza italiana concessa ai cittadini stranieri che rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale, avendo riportato condanne per gravi reati commessi con finalità di terrorismo o eversione“.  
L’intervento normativo “che mira a consentirne l’allontanamento dal territorio nazionale, altrimenti precluso dall’acquisizione dello status di cittadino italiano, si rende necessario ed urgente nell’ambito delle politiche di prevenzione della minaccia terroristica anche connessa al fenomeno dei cosiddetti foreign fighters”, spiega il Viminale. 
Il provvedimento fortemente voluto da Salvini introduce anche norme più severe per la concessione della cittadinanza alla luce “dell’accresciuta minaccia terroristica internazionale e dei preoccupanti fenomeni di contraffazione dei documenti dei Paesi d’origine prodotti dai richiedenti”. 
 
“Fermezza e coerenza stanno pagando – spiega il vicepremier in un’intervista al Corriere della Sera – dai giorni della Diciotti dalla Libia non arriva nulla“. Stando ai calcoli del Viminale, la linea dura dei porti chiusi paga eccome: lo stop ai maxi sbarchi permetterà al contribuente italiano di risparmiare un miliardo e 200 milioni in costi di accoglienza. “Il problema oggi – avverte il leader leghista – sono semmai le barchette con 12-15 persone che arrivano in Sicilia dalla Tunisia, e per questo ho già scritto a Tunisi, o dall’Algeria alla Sardegna”. Ecco perché bisogna concentrarsi maggiormente sulle espulsioni e sui permessi facili che vengono dati, troppo a cuor leggero, dalle commissioni territoriali e dalle Questure. L’idea è, appunto, quella di eliminare la possibilità di “valutare la sussistenza dei ‘gravi motivi di carattere umanitario’ e dei ‘seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano’”. 
Il decreto sulla sicurezza dovrebbe essere presentato nei prossimi giorni al Consiglio dei ministri.  
“Non so chi c’era prima di me, come passava il suo tempo…”, commenta il leader leghista, intenzionato a “moltiplicare” le espulsioni. 
 
Lega e Movimento 5 Stelle sono ai ferri corti sul fronte giustizia.  
Se da un lato il ministro dell’Interno Matteo Salvini prosegue con i suoi attacchi alla magistratura sul caso Diciotti e sul sequestro dei fondi della Lega, il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio e quello della Giustizia Alfonso Bonafade si smarcano e anzi condannano in i toni dell’alleato di governo.  
Tanto che alla fine il leader della Lega è costretto a smorzare i toni: “Non c’è nessun golpe giudiziario, ci sono delle inchieste. Spero che facciano bene e facciano in fretta. Rispetto il lavoro di tutti“. Così il titolare del Viminale, rispondendo ad una domanda sulle inchieste della magistratura. “Non mi tolgono il sonno – aggiunge Salvini arrivando a Cernobbio per il Forum Ambrosetti – vado avanti a lavorare per fare quello che gli italiani mi chiedono di fare”. 
 
Lo scontro in seno all’alleanza di governo è stato duro.  
“Quando si dice che ci sono magistrati di destra e sinistra stiamo riportando il Paese alla seconda Repubblica. Non scateniamo questa guerra con la magistratura…“. Così il vicepremier Di Maio. A scatenare l’ira dei grillini il video nel quale ieri sera il vicepremier Salvini ha annunciato in diretta Facebook l’apertura di un’indagine a suo carico per sequestro di persona aggravato nel caso Diciotti. Busta gialla della Procura di Palermo in mano, il titolare del Viminale ha svelato in una diretta sul social il contenuto della missiva, per poi lanciare la stoccata ai giudici: “Siamo davanti alla certificazione che un organo dello Stato indaga su un altro organo dello Stato. Con la piccolissima differenza – sottolinea il leader leghista – che io pieno di limiti e difetti, sono stato eletto dai cittadini; altri non sono stati eletti da nessuno e non rispondono a nessuno“. 
Salvini poi precisa di non essere né “preoccupato” né “terrorizzato” e che, spiega, ha “zero tempo da passare con gli avvocati per questa vicenda e per quella di Genova. Io sono pagato per garantire la sicurezza dei cittadini, questo continuerò a fare, senza farmi togliere il sonno”. Concetto del resto sottolineato nel finale del video, quando Salvini affigge al muro del suo studio al ministero la comunicazione della Procura: “L’appendo come una medaglietta… Vado avanti”, promette. 
Il video del leader leghista se da un lato ha raccolto numerosi consensi online, dall’altro ha gelato gli alleati di governo. “Un ministro – spiega il Guardasigilli Bonafede – può ovviamente ritenere che un magistrato stia sbagliando nei suoi confronti” ma rievocare “politicizzazioni o dire che un magistrato sbaglia perché sia una toga di destra o di sinistra è fuori dal tempo. Sinceramente, non credo che Salvini abbia nostalgia di quando la Lega governava con Berlusconi. E siccome sta scrivendo insieme a noi il cambiamento del nostro Paese, non può pensare di far tornare l’Italia alla seconda Repubblica”. 
 
Opinione condivisa dal vicepremier Luigi Di Maio, che pur capendo come per la Lega sia “un momento difficile”, chiede al collega leghista di non scatenare “una guerra” con i giudici: “Non ritengo giusto che non si rispetti la magistratura.  
Ci vuole rispetto”, afferma il pentastellato, per poi richiamare Salvini all’ordine: “Non scateniamo questa guerra con la magistratura o i cittadini ci diranno ‘state combattendo o state governando?'”. 
 
Nel bel mezzo dello scontro al governo, coglie la palla al balzo l’Associazione nazionale magistrati, che ieri in una nota ha definito le dichiarazioni del ministro dell’Interno “un chiaro stravolgimento dei principi costituzionali“. L’Anm giudica infatti “completamente errato, al di là di ogni valutazione di merito che non spetta all’Anm, sostenere che i magistrati non possono svolgere indagini nei confronti di chi è stato eletto.  
Così come appare fuori luogo sostenere che taluni magistrati svolgono le proprie indagini anche sulla base di orientamenti politici”. 
Ricordando come la magistratura agisca “sulla base delle prerogative conferite dalla Costituzione e dalle leggi, prerogative che tutti, anche i membri del governo, devono tutelare e rispettare”, i magistrati rivendicano quindi “l’autonomia della magistratura e l’imparzialità di ogni singolo magistrato” come “patrimonio indefettibile della nostra democrazia e dello Stato di diritto, principi sui quali non possono e non devono esserci flessioni o arretramenti”, mentre auspicano che “tutti, soprattutto coloro che svolgono incarichi istituzionali, abbiano la stessa sensibilità e rispettino il lavoro della magistratura, senza tentare di delegittimarla”. 
 
Insomma, nella sua battaglia contro la magistratura politicizzata (è dell’altro ieri la sentenza a orologeria sul sequestro dei fondi della Lega) Salvini appare da solo (al netto del suo alleato non di governo, ma di coalizione, quel Cav che è stato a lungo il bersaglio preferito dalle toghe rosse).  
Ecco perché il leader del Carroccio preferisce abbassare i toni. 
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