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lo sberleffo
 
La migliore arma contro i deliri buonisti? Lo sberleffo 
di Ninni Raimondi
 
“Navigare necesse est, vivere non est necesse”, diceva, secondo Plutarco, Pompeo ai suoi marinai intimoriti dal maltempo che imperversava e che gli aveva fatto passare la voglia di imbarcarsi. E noi dovremmo dire che navigare necesse est, soprattutto se contro corrente. Soprattutto se con l’alta marea, condizione difficile che, va da sé, saprà far emergere facendo affondare i vili.  
Oggi, le condizioni impervie sono quelle prodotte dal pensiero comune e medesimo, e l’anticonformismo è la zattera di salvataggio che ogni giorno si presenta disponibile per essere utilizzata. La vista sarà inizialmente poco confortevole per l’assenza di sicurezza e certezza, ma la direzione “altra”, la rotta “nuova” e le modalità dissacranti renderanno saporito un viaggio altrimenti melenso e già conosciuto. Solo chi batterà i sentieri più difficili e poco frequentati avrà la possibilità di rifiutare le mode del pensiero conforme.  
Solo chi guarderà oltre al facile consenso e all’applauso banale potrà ambire a riconoscimenti maggiori, a scrivere la storia di una nuova idea di vita che consiste nel ripudiare tutte le scuole di pensiero per poter rivoluzionare sé stessi e le proprie idee ogni qualvolta ne sorga la necessità. Le scie verranno lasciate solo da chi saprà uscire dal tracciato imposto dal pensiero corretto e medesimo, imponendosi l’uso del buon senso anziché quello del buoni sentimenti purchessia. 
Nuovi lidi e nuovi orizzonti si presentano di fronte a noi, distanti ma ben più allettanti rispetto al comodo dondolar del pensiero unico che induce al sonno dell’intelletto e alla pace dei sensi.  
Sensi di colpa, spesso, perché il buonismo imperversa come una furia scatenata avvelenando la coscienza collettiva con accuse di malvagità del tutto inesatte se non infondate. Ed è da qui che dobbiamo ripartire, dalla riscoperta del coraggio di definirsi cattivi di buon senso in un mondo di buoni senza cervello. Un elogio della cattiveria mi pare il manifesto migliore per scardinare l’ideologia dominate dei sorrisi e delle pacche sulle spalle. Henry Miller, ne “Il Tropico del Cancro”, scriveva che “ogni cosa si sopporta: sfacelo, umiliazione, miseria, guerra, delitto, nella fiducia che dalla mattina alla sera accada qualcosa, un miracolo, che renda sopportabile la vita”. E figuriamoci se, alla luce di ciò, possiamo permetterci di affrontare la vita medesima col sorriso ebete stampato sul volto. Elogiare la cattiveria significa elogiare il realismo.  
Elogiare il realismo significa affrontare i fatti per quelli che sono, abbandonando le utopie e i sogni irrealizzabili. È forse ciò che, più di ogni altra cosa, manca a questo paese: la forza della verità.  
Thomas Hobbes definiva la verità “l’inferno visto troppo tardi” e i signori buonisti non fanno altro che dargli ragione data la loro caparbietà nel volersi foderare gli occhi e le orecchie di prosciutto. Essi mancano di coraggio e di capacità, ed è per questo che si abbandonano al conformismo delle buone idee color arcobaleno. 
Chi vive di buoni sentimenti ha la presunzione di essere portatore della verità universale, degna quindi d’essere imposta a chiunque.  
Le idee, per altro banali, le partoriscono loro ma poi pretendono di attuarle coi soldi altrui, generalmente sfilati dalle nostre tasche tramite la favolosa imposizione fiscale che tanto per cambiare è buona a prescindere perché vi si celano dietro degli ottimi propositi.  
 
Aiutiamo i bisognosi, strillano i buonisti da mattina a sera.  
Aiutiamo la popolazione del meridione regalandogli denari ottenuti dalle tasse pagate da quella del settentrione, berciano da decenni a questa parte. Accogliamo e aiutiamo tutti gli immigrati che si riversano sulle nostre coste, possibilmente infischiandocene dei veri motivi che li hanno condotti qui, e ovviamente che sia lo Stato coi soldi pubblici – nostri, insomma – a mantenere quest’esercito di diseredati, suggeriscono i soliti imbonitori.  
Poi, quando loro si ritrovano a Capalbio d’estate in vacanza non vogliono un immigrato che sia uno neanche se pagati oro, e le loro manifestazioni splendide e lucenti durante le quali tutti mostrano sorrisi smaglianti si svolgono in quelle parti delle metropoli in cui il dramma dell’immigrazione consiste nello scarso vigore con cui il filippino lucida l’argenteria del padrone di casa.  
Come è noto, poi le magagne non se le sorbiscono loro, difatti gli immigrati vengono confinati nei quartieri periferici e popolari che si trasformano in ghetti e dai quali si odono le loro ramanzine provenienti dal centro città sulla necessità di dispensare amore e affetto a chiunque.  
Perché la caratteristica del buonista è che la sua follia vuol imporla a tutti noi.  
La libera scelta di fare ciò che vogliamo della nostra vita rimane un miraggio e se osiamo mettere in discussione la bontà del loro buonismo veniamo tacciati delle peggiori nefandezze. 
 
Pensate alla cifra di morti ammazzati che le ideologie ritenute buone e sane hanno fatto durante la storia dell’uomo.  
Oppure limitatevi a riflettere sul numero delle vittime del marxismo-leninismo-maoismo: milioni e milioni, e le motivazione erano sempre farcite di ottimi propositi. Mai che uno di questi criminali efferati si svegliasse una mattina e ammettesse a sé stesso e al popolo oppresso che, in realtà, lui era una canaglia della peggior specie e i suoi propositi meri sogni realizzabili soltanto tramite morte e miseria.  
Mai una volta che i fan sfegatati dei più grandi criminali della storia abbiano ammesso la follia insita nel giustificare crimini e nefandezze sulla base dei buoni sentimenti che le hanno generate. Mai. Il buonismo ci viene imposto, e poi lo dobbiamo digerire solo perché bello all’apparenza. Il principio di realtà va a farsi friggere per lasciare il posto all’utopia più idiota e senza costrutto.  
I buonisti si rendono odiosi perché pensano di sapere quale sia il bene per tutti noi.  
Poi, tendenzialmente, più salvadanai svuotano nel tentativo di concretizzare i loro desideri e più accresce la loro fama di buonisti. Non ho mai visto un buonista fare il bene altrui con la propria pecunia.  
Di parole tante, di fatti pochi.  
Allora tocca al bischero contribuente, che tanto buono magari non sarebbe, lasciare che lo Stato gli frughi in tasca per appagare le voglie d’immortalità dei filantropi coi quattrini degli altri. Pensate a un buono per eccellenza: San Francesco d’Assisi.  
Ebbene lui non sarebbe mai stato uno dei buoni più famosi al mondo se non avesse avuto alle spalle un padre che preferiva il guadagno alle opere di carità. Perché è anche il caso di aggiungere che tutto si muove da questo, dalla presenza di cattivi che danno la possibilità ad altri di ergersi ad eroi. La verità è che la cattiveria e il cinismo rappresentano la vera benzina di questo mondo.  
Già nel 1776, Smith diceva una cosa indubbiamente vera e che torna utile anche ai giorni d’oggi: non è l’affetto, non sono i buoni sentimenti che il macellaio prova nei nostri confronti che ci renderanno appagati dal servizio da lui offerto; sarà solo il suo cinismo, la sua bieca volontà di trarre il famigerato profitto dal suo lavoro che lo obbligherà ad offrire un servizio e dei prodotti accattivanti e utili per noi consumatori.  
Ecco un esempio di come la presunta cattiveria sia d’impulso per il benessere collettivo. 
Oggi, pensate voi, i buonisti che campano di soldi pubblici fanno grande pubblicità alle tasse che almeno teoricamente dovrebbero servire per garantire dei servizi alla collettività.  
Che poi queste tasse si siano trasformate in uno strozzinaggio legalizzato e che dei famosi servizi la collettività non goda affatto, sono quisquilie: l’essenziale è che dietro a tutto ciò ci siano i buoni sentimenti di coloro che amano le tasse con lo stipendio garantito dalle tasse stesse. E se l’imprenditore medio-piccolo si lamenta dell’eccessivo prelievo fiscale si attacchi al tram (che non passa mai): se il suo margine di profitto si assottiglia un po’ è un bene perché lui è l’egoista che vuol tutto per sé e niente per gli altri. E chi avrebbe il coraggio di contraddirli?  
Chi avrebbe il coraggio di schierarsi contro questa cascata di insensatezze pericolose?  
Noi sì, a dir la verità, ma noi facciamo parte di quell’esigua minoranza che ha compreso che l’elogio della cattiveria è la base per un nuovo umanesimo non utopico e non buonista, bensì realista.  
 
L’umanità non è buona e di prove ve ne sono talmente tante che non è possibile citarne alcuna: guardate un telegiornale o leggete un giornale qualsiasi, verrete invasi da un numero impressionante di notizie orribili e sconvolgenti.  
E il punto è questo: essere buonisti in un mondo di cattivi è, oltre che da stupidi, da irresponsabili.  
Propagandare, poi, questo modo di vivere elevandolo ad ideologia dominante è da pazzi.  
Coi cattivi, bontà loro, sappiamo come regolarci.  
Essi si presentano così come sono, brutti e stronzi, dunque ognuno di noi adotta le misure necessarie che ritiene più opportune.  
Coi buonisti invece la faccenda si complica perché è un’impresa cogliere la pericolosità delle loro buone intenzioni sin dall’inizio, sin da quando si limitano a sbandierare il loro amore universale.  
Ecco, l’unico modo che abbiamo per farli cadere in trappola è prenderli per i fondelli.  
Così, magari, un po’ di sana cattiveria emerge anche in loro. 
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