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Le pensioni d’oro
 
Le pensioni d'oro 
di Ninni Raimondi
 
Nel tentativo di racimolare coperture per le pensioni di cittadinanza, Luigi Di Maio ha annunciato che il taglio a quelle d’oro sarà molto più consistente del previsto: “Ci prendiamo un miliardo”.  
Un gettito quasi sette volte superiore a quello stimato giovedì dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, che valuta in meno di 150 milioni la somma ricavabile. 
Per rendere sensata la cifra fornita dal leader del M5S, bisogna supporre che negli ultimi giorni l’intervento sia stato esteso agli assegni superiori ai 3.500 euro netti al mese, cioè mille euro in meno rispetto alla soglia prevista finora. 
Al momento, però, l’altezza del limite oltre il quale scatta il taglio è l’ultimo dei problemi.  
La vera questione è che il provvedimento rischia di essere illegittimo per almeno tre motivi.  
I primi due riguardano la scelta di spostare il taglio alle pensioni d’oro dal disegno di legge ad hoc già depositato alla Camera al decreto fiscale collegato alla manovra che sarà approvato oggi in Consiglio dei ministri. In teoria, il Presidente della Repubblica potrebbe contestare l’incoerenza della misura rispetto al provvedimento in cui è inserita e la mancanza dei requisiti di “necessità e urgenza” stabiliti dalla Costituzione per i decreti legge, che entrano in vigore prima del vaglio parlamentare. 
 
La terza questione è la più rilevante.  
Il contratto di governo gialloverde prevede un ricalcolo contributivo per adeguare le pensioni d’oro ai contributi realmente versati.  
Anche il titolo del Ddl e le parole pronunciate fino a ieri da Di Maio presentano l’intervento in questo modo. Peccato che nel testo ci sia scritto tutt’altro. 
In realtà, la misura non prevede affatto un ricalcolo degli assegni con il metodo contributivo, ma un taglio secco, permanente e retroattivo da modulare sulla base dell’età nella quale si è andati in pensione. 
Le stime parlano di un calo medio del 3% lordo (pari all’1-2% netto, a seconda dei casi) per ogni anno di anticipo del pensionamento rispetto all’età prevista dalle regole attuali.  
In pratica, a seconda degli anni di anticipo rispetto ai 67 anni, chi andrà in pensione con un assegno “d’oro” nel 2019 potrà perdere dal 2 al 14% netto della quota eccedente 4.500 (o 3.500) euro.  
Per chi è già in pensione, invece, il ricalcolo avviene applicando al contrario il meccanismo della speranza di vita: per chi ad esempio ha smesso di lavorare nel 2000, l’età di riferimento in base a cui calcolare l’anticipo non è 67 anni, ma 65. 
 
Ci sono anche due effetti paradossali.  
Primo: docenti universitari e magistrati, che lavorano fino a 70 anni, non subiranno alcuna penalizzazione anche se le loro pensioni sono più che dorate.  
Secondo: 4.700 delle persone che saranno incoraggiate ad andare in pensione anticipata grazie alla quota 100 (il principale intervento sulla previdenza che confluirà in manovra) sarebbero poi penalizzate per averlo fatto, perché avrebbero diritto a un assegno “d’oro”. 
D’altra parte, con ogni probabilità i pensionati ricchi e ricchissimi avranno poco di cui preoccuparsi.  
Lo tsunami di ricorsi in arrivo dopo l’approvazione della norma sarà verosimilmente accolto dalla Corte Costituzionale e quindi lo Stato dovrà restituire ogni euro tagliato. 
Questa almeno è l’opinione di Cesare Pinelli, docente di diritto costituzionale all'Università La Sapienza di Roma: «Nel 2000 - spiega il Professore in un’intervista di tre mesi fa a La Repubblica - la Consulta ha stabilito che eventuali tagli alle pensioni devono essere "interventi di carattere eccezionale, transitorio e non arbitrario”», come il contributo di solidarietà introdotto nel 2014 dal governo Letta, che «aveva una durata prefissata».  
Il taglio voluto da Di Maio, invece, sarebbe permanente e perciò violerebbe «il principio di affidamento: non si possono ledere i diritti sui quali un cittadino aveva fatto affidamento in forza di norme in vigore».  
 
I famosi diritti acquisiti. 
Tutto ciò è noto anche ad Alberto Brambilla, guru delle pensioni in quota Lega, che al Corriere della Sera spiega come il taglio voluto dai grillini dipenda da «età di pensionamento fittizie applicate ex post».  
Ad esempio: «Uno è andato in pensione legittimamente a 58 anni, ma la proposta dice che in base a una tabella costruita non si sa come doveva andarci a 63 anni e quindi l’assegno viene tagliato.  
Un’operazione senza senso.  
Il taglio può arrivare a superare il 20%».  
 
Brambilla propone quindi una riedizione del contributo di solidarietà, ma probabilmente non sarà ascoltato.  
 
Ormai la strada appare segnata.  
E non rimane che attendere la stagione dei ricorsi. 
Licenza Creative Commons  18 Ottobre 2018
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