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Di Maio e la manina
 
Di Maio e la “manina” 
di Ninni Raimondi
 
A rischiare grosso in queste ore non è solo il governo, dopo il delirio di Luigi Di Maio a Porta a porta, sulla manina nel Def e le accuse neanche tanto velate ai leghisti di aver fregato i grillini sulla pace fiscale.  
I rapporti tra Matteo Salvini e Di Maio non sono mai stati così tesi, serve che i "tamburi di guerra" dell'appuntamento grillino questo weekend smettano di rullare perché si possa solo immaginare di rimettere tutti a un tavolo e trovare una pezza grande quanto una casa per coprire la figuraccia che si sta consumando. 
 
E mentre lo spread e i mercati salgono sulle montagne russe, a far tremare i polsi del leader leghista e di quello grillino arrivano le cifre dei sondaggi.  
Le notizie peggiori arrivano da una dei massimi esperti in tema di rilevazioni, Alessandra Ghisleri, che avverte i personaggi al governo su quanto "la sceneggiata della 'manina' è costata ai 5 Stelle e al Carroccio un punto a testa".  
Dopo mesi passati a sorpassi e controsorpassi, con il consenso sempre in salita, il primo stop arriva nel momento di massima tensione nel governo.  
Non un bel segnale, a pochi mesi da una cruciale finestra elettorale. 
 
Il capo del M5S ha cercato di bloccare il decreto fiscale dicendo clamorosamente che il testo era stato manipolato, ma si è subito scoperto che non era vero. 
Proviamo a capirci qualcosa. 
 
Mercoledì sera un tentativo da parte del ministro del Lavoro Luigi Di Maio di bloccare la pace fiscale, una norma non particolarmente gradita al Movimento 5 Stelle, si è trasformato in un bizzarro e imbarazzante teatrino che ha messo in crisi le relazioni interne alla maggioranza.  
Secondo Di Maio – capo del partito di maggioranza relativa in Parlamento e al governo – qualcuno avrebbe manomesso il testo del decreto fiscale e ampliato di nascosto le maglie del condono, subito prima che il testo venisse spedito al Presidente della Repubblica.  
Di Maio ha rivolto questa accusa gravissima durante Porta a Porta e ha aggiunto che avrebbe presentato una denuncia in Procura. Anche se non è stata nominata esplicitamente, la Lega, per cui una pace fiscale, la più ampia possibile, è un punto irrinunciabile, è stata immediatamente tra i primi sospettati. 
Nei minuti immediatamente successivi alla dichiarazione di Di Maio, la sua ricostruzione è stata fortemente smentita da tutte le persone e gli enti coinvolti e nel corso della giornata di ieri e di oggi anche dai suoi alleati della Lega.   
La presidenza della Repubblica ha detto addirittura di non aver ricevuto alcun decreto.  
Dirigenti dei ministeri e sottosegretari hanno smentito qualsiasi modifica del decreto affermando che il testo in circolazione corrisponde a quello uscito dal Consiglio dei Ministri.  
Persino fonti vicine alla presidenza del Consiglio e quindi in teoria alleate del Movimento 5 Stelle, hanno detto che l’intera vicenda è frutto di un equivoco. 
 
Quello che è certo è che le dichiarazioni fatte ieri da Di Maio non erano estemporanee, ma erano state pensate per tempo.  
Intorno alle 20.00, mentre stava registrando una puntata del talk show Porta a Porta, Di Maio ha attaccato il provvedimento contenuto nel cosiddetto “decreto fiscale”, sostenendo:  
"All’articolo 9 del decreto fiscale c’è una parte che non avevamo concordato nel Consiglio dei ministri. Una sorta di scudo fiscale per i capitali all’estero e una non punibilità per chi evade", per poi aggiungere in tono allusivo:  
 
"Non so se è stata una manina politica o una manina tecnica, in ogni caso domattina si deposita subito una denuncia alla Procura della Repubblica perché non è possibile che vada al Quirinale un testo manipolato". 
 
Di Maio ha concluso dicendo che il Movimento 5 Stelle non avrebbe votato un provvedimento scritto in quella maniera. Contemporaneamente, a testimoniare il fatto che l’attacco era stato preparato, sulla pagina Facebook del ministro del Lavoro è comparso un post che riprendeva quasi parola per parola la dichiarazione fatta durante la registrazione. 
La notizia è finita immediatamente sulle prime pagine di tutti i giornali online e decine di giornalisti hanno iniziato a telefonare ai loro contatti al governo, nei ministeri e alla presidenza della Repubblica, che secondo Di Maio aveva ricevuto il testo proprio in quelle ore.  
Proprio la Presidenza della Repubblica è stata la prima a rispondere e a smentire ufficialmente le accuse di Di Maio: 
"In riferimento a numerose richieste da parte degli organi di stampa, l’ufficio stampa della Presidenza della Repubblica precisa che il testo del decreto legge in materia fiscale, per la firma del Presidente della Repubblica, non è ancora pervenuto al Quirinale". 
 
La smentita del Quirinale è stata letta a Di Maio, da Bruno Vespa in diretta televisiva e Di Maio ha reagito così: 
"Non hanno avuto nessun testo? Mo' adesso vediamo; magari s'è perso per strada". 
 
A questo punto è necessario fare una parentesi per spiegare come funziona l’approvazione dei decreti.  
Come abbiamo visto, il provvedimento fiscale è contenuto nel decreto che – come tutti i decreti legge – è una legge che viene approvata direttamente dal governo ed entra in vigore non appena viene firmata dal presidente della Repubblica e pubblicata nella Gazzetta ufficiale (il Parlamento a quel punto ha 60 giorni per confermarlo – dopo averlo eventualmente modificato – prima che decada automaticamente).  
Per una cattiva abitudine, ormai divenuta tradizione, è raro che il Consiglio dei Ministri approvi il testo vero e proprio del decreto legge.  
Molto più spesso, invece, approva una serie di linee guida politiche più o meno vaghe. 
A quel punto, mentre il presidente del Consiglio e i Ministri vanno in conferenza stampa a spiegare il decreto ai giornalisti, i tecnici si affrettano a scrivere effettivamente il testo decreto.  
Nel caso di decreti particolarmente complessi, come è il decreto fiscale, possono passare diversi giorni tra l’approvazione del decreto e la sua scrittura.  
Soltanto quando la scrittura del decreto viene terminata, il decreto passa per un controllo finale alla Ragioneria Generale dello Stato e al Dipartimento per gli Affari Giuridici e Legislativi.  
A questo punto il testo torna all’ufficio del Presidente del Consiglio, che lo invia al Presidente della Repubblica per la firma. 
 
Bene! 
Il decreto fiscale è stato approvato lunedì 15 ottobre e da allora è in mano ai tecnici che lo stanno ultimando.  
Ieri sera il Quirinale ha quindi confermato una cosa che sapevano già tutti gli addetti ai lavori: Cioè che il decreto fiscale non era ancora arrivato alla fase in cui viene ultimato e spedito al presidente della Repubblica (e se anche lo fosse stato, a spedirlo non sarebbe stato certamente un qualche misterioso ufficio, come ha detto Di Maio, ma il Presidente del Consiglio in persona). 
Ieri – e così oggi – siamo ancora nella cosiddetta fase delle “bozze”, quella in cui i vari uffici dei ministeri stanno ancora terminando di scrivere il provvedimento e le sue varie versioni vengono fatte circolare tra gli esperti e i giornalisti.  
Il giornalista dell’HuffPost Pietro Salvatori ha scritto che solo negli ultimi giorni gli sono arrivate, addirittura, quattro differenti bozze di decreto fiscale e tutt'e quattro differenti tra loro. 
 
Quello che eventualmente non è piaciuto a Di Maio, quindi, non è il documento definitivo – secondo lui modificato di nascosto "con la manina" dopo la sua approvazione – ma una delle diverse bozze di lavoro circolate in questi giorni, probabilmente una delle ultime a essere prodotta nel pomeriggio di mercoledì.  
Rimane da capire se quella bozza sia stata modificata in maniera inappropriata, rispetto all’accordo politico raggiunto al Consiglio dei Ministri di lunedì.  
Secondo tutte le fonti raccolte dai giornali nelle ultime ore, la risposta è no.  
Il Corriere della Sera scrive addirittura che l’articolo 9 non sarebbe cambiato "rispetto al testo che Conte aveva emendato di suo pugno". 
Le accuse di Di Maio, quindi, possono essere il frutto di un gigantesco equivoco o di una “tempesta in un bicchiere d’acqua”, come hanno detto ai giornali, fonti della Presidenza del Consiglio, nel tentativo di risolvere l’incidente.  
Oppure possono essere il modo scelto da Di Maio per schierarsi contro il decreto, sgradito ad elettori e dirigenti del Movimento 5 Stelle.  
Questa seconda lettura è quella più diffusa.  
Alcuni, come l’autore del decreto fiscale, il sottosegretario leghista Massimo Bitonci, sono stati espliciti nello spiegare le accuse del Movimento 5 Stelle:  
"Quando hanno visto che il loro elettorato non prendeva bene la norma hanno pensato di fare un po’ di casino".  
 
Una sceneggiata napoletana, aggiungeremmo noi. 
Anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, sempre della Lega, ha fatto commenti simili.  
Altri leghisti, che hanno preferito restare anonimi, hanno usato toni molto più duri.  
Anche Franco Bechis, un giornalista vicino al governo, ha scritto che le accuse di Di Maio sono probabilmente frutto di una strategia consapevole, un teatrino appunto. 
 
Nelle prossime ore si capiranno con maggiore chiarezza le conseguenze politiche della vicenda.  
Mercoledì sera, quando era stato informato che il decreto non era mai arrivato al Quirinale, Di Maio ha risposto che allora c’era ancora tempo per “stralciarlo”, che di fatto significa eliminare il condono dal decreto fiscale, una proposta che sarà con ogni probabilità osteggiata con forza dalla Lega.  
Il presidente del Consiglio Conte, che si trovava a Bruxelles per un vertice europeo, ha detto che la questione sarà risolta oggi, venerdì, quando tornerà in Italia e provvederà a rileggere il testo “articolo per articolo”. 
 
Il segretario della Lega Matteo Salvini ha commentato l’episodio nel pomeriggio di ieri, lasciando intendere che per lui non esiste alcuna questione da risolvere:  
"Quale manina?", ha chiesto ad alcuni giornalisti, per poi spiegare che non intende partecipare ad alcun nuovo Consiglio dei ministri nei prossimi giorni:  
"Io vado avanti come sul tunnel del Brennero, è inutile fare buchi e poi fermarsi. Non ci sono regie occulte, invasioni degli alieni o scie chimiche. Questo è un Governo che non ha timidezze, problemi o complotti contro. In Cdm c'erano tutti, non solo io. Non possiamo rifare Cdm ogni quarto d'ora, non possiamo ricominciare tutto daccapo". 
 
Conclusioni- 
Mai avrei pensato di rimpiangere Andreotti, Craxi e compagnia cantante. 
Oppure quel sano immobilismo di Letta! 
Oppure Gentiloni, perfino. 
 
Faccio un esempio con Letta 
Stiamo veramente paragonando, in qualsiasi modo, un professore della Sant'Anna Pisa e dell'HEC di Parigi a un ex bibitaro che nel curriculum ha solo un vago progetto di e-commerce e la fondazione di un'associazione studentesca? 
E' da aggiungere che nel curriculum di Giggetto appare anche: "Ministro del lavoro e dello sviluppo economico della Repubblica Italiana e vice-Presidente del Consiglio dei Ministri". 
Lo è diventato, però, grazie alle competenze che possiamo ammirare nel suo curriculum, no?  
Letta, da parte sua, diventò Ministro delle Politiche Comunitarie dopo una laurea in Scienze Politiche ottenuta col 110 e lode, seguita da una specializzazione in Diritto delle Comunità Europee alla Sant'Anna di Pisa e da un'esperienza come segretario del Comitato Euro del Ministero del Tesoro.  
Stessa cosa di Giggino?  
Lode alla meritocrazia e alla competenza.  
Questi sono i risultati per aver messo al Ministero del Lavoro un ex bibitaro fuori corso.  
Terminata questa eccellente esperienza di governo (sei mesi) le Università se lo contenderanno a suon di cattedre prestigiose (Cattedre in teatro e recitazione, dove è particolarmente versato). 
 
Come sarebbe stato bello poter ascoltare le spiegazioni delle manovre e dei provvedimenti da Spadolini, Goria, o dallo stesso Andreotti.  
Ovvero persone che: 
A. Parlavano la nostra lingua con disinvoltura 
B. Sapevano di cosa parlavano 
 
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