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Il Decreto Salvini è legge
 
Il DL Salvini è legge, ma senza il voto della fronda M5S. E gli immigrazionisti piangono 
di Ninni Raimondi
 
Il decreto Sicurezza, bandiera di Matteo Salvini, è legge. È stato approvato definitivamente ieri alla Camera con 369 sì e 99 no. A favore, oltre alla maggioranza Lega-M5S, hanno votato anche Forza Italia e Fratelli d’Italia. 
Nessuna esultanza però dai banchi pentastellati e 14 deputati non hanno partecipato al voto. Altri 22 invece risultavano in missione.  
Subito dopo il voto il leader della Lega ha stretto la mano al ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro, che gli era seduto accanto. “Sono contento, è una giornata memorabile. Sono felice e soddisfatto“, ha detto il vicepremier e ministro dell’Interno lasciando Montecitorio. 
Ma le tensioni nella maggioranza sono ancora forti.  
E il fatto che diversi parlamentari del M5S non abbbiano partecipato al voto conclama che tra i 5 Stelle non c’è affatto unità (e non solo sul fronte sicurezza e immigrazione). In queste settimane la fronda grillina guidata dal comandante di Marina Gregorio De Falco aveva annunciato battaglia minacciando di votare contro il provvedimento. Alla fine i frondisti si sono ritirati, ma continuano a far sentire la loro voce nel Movimento. 
 
A tal proposito, tra i 14 deputati pentastellati che che non hanno partecipato al voto finale sul dl Sicurezza, otto sono tra i 19 firmatari della lettera inviata al capogruppo Francesco D’Uva, nella quale esprimevano diversi dubbi e perplessità verso alcune norme del decreto, chiedendone la modifica. 
Sul fronte delle opposizioni, durante la dichiarazione di voto, i deputati del Partito Democratico avevano indossato delle maschere bianche sul volto, dopo che il capogruppo dem Graziano Delrio terminava la sua dichiarazione di voto dicendo: “Con questo provvedimento state creando degli invisibili senza volto”. 
Il presidente di turno dell’Aula, Fabio Rampelli (FdI), aveva subito ripreso i deputati Pd, chiedendo ai commessi di ritirare le maschere: “La Camera dei deputati non è avanspettacolo” aveva stigmatizzato. 
Ma soprattutto, come era prevedibile, contro il decreto Salvini si sono scatenati anche tutti gli altri che fino ad ora si sono arricchiti con il business dell’accoglienza, compresi i Comuni che gestiscono il sistema Sprar. Il presidente nazionale dell’Anci, Antonio Decaro, ha parlato di “passi indietro” perché “annullare la rete delle Sprar significa sconfessare l’accoglienza diffusa che in questi ultimi anni e anche negli ultimi mesi aveva permesso di evitare tensioni sociali all’interno del nostro Paese. Cancellare la protezione umanitaria non cancellerà quelle persone dal nostro territorio e creerà una serie di irregolari che poi ritroveremo nelle nostre comunità e sarà una responsabilità dei sindaci”. 
 
Tutti in coro a stracciarsi le vesti: Libera, Acli, Arci, Avviso Pubblico, Legambiente, persino i sindacati Cgil, Cisl e Uil si sono opposti al decreto e lunedì 26 hanno organizzato un presidio di protesta. “Destano grande preoccupazione – lamentano – le disposizioni relative alla protezione umanitaria e immigrazione. Questo decreto che si appresta a diventare legge non promuove dignità, ma la toglie, ad esempio alle persone che hanno intrapreso un percorso di integrazione, lavorano in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato e in caso di diniego perdono il lavoro e il diritto di permanere sul territorio italiano, incentivando in tal modo sfruttamento e lavoro irregolare”. 
Belle parole, per carità. Ma è una narrazione che purtroppo cozza con la realtà dei fatti.  
 
Il decreto in tal senso è soltanto il primo – comunque importante, sia chiaro – passo verso un cambio di rotta necessario per ripristinare la sicurezza in questo Paese, dove troppi irregolari e clandestini delinquono.  
Spesso peraltro restando impuniti proprio grazie a un sistema di protezione generalizzato che ora finalmente viene meno. 
Licenza Creative Commons  30 Novembre  2018
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