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Un esempio senza tempo
 
Un esempio senza tempo: 48 anni fa il Seppuku di Yukio Mishima 
di Ninni Raimondi
 
“La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre”. Così recitava l’ultimo messaggio di Yukio Mishima: definitivo addio al suo Giappone, alla sua stessa vita.  
Una morte non da vile, da pavido o sconfitto. Esattamente il contrario: Mishima Sensei (il Maestro, degno di tale definizione) praticò su di sè il Seppuku, suicidio d’onore nella pratica Samurai. 
Inutile dire che per i giapponesi e il mondo tutto, Kimitake Hiraoka (il vero nome di Yukio Mishima) divenne un eroe.  
Come tutti i patrioti feriti, umiliati da quello “straniero” che ogni giorno stuprava il proprio Paese: denudandolo dei suoi usi, privandolo dei suoi costumi.  
Mishima eccelse in tutto: regista, scrittore, attore, artista marziale. Ossessivo nella cura del corpo, maniacale nella rappresentazione di quella “carne” della quale parlò, diffusamente, in “Confessioni di una maschera”.  
Libro trasgressivo, a tratti cruento: una dichiarazione, non troppo velata, della sua omosessualità. 
 
Ma è del Mishima nazionalista del quale, oggi, è bene ricordarsene. Mosso da quel “fervido sentimento di devozione alla Patria” che, tuttora, caratterizza virtuosamente il Paese del Sol Levante. Yukio Mishima e patriottismo sono dunque “akai ito”: il “filo rosso del destino”, che unisce indissolubilmente due vite, due percorsi, due esistenze. Discorso che vale per lo stesso Giappone: radicato da sempre, nel fertile terreno della propria cultura. 
I giapponesi identificano tuttora la resa agli americani come il momento più basso della loro storia.  
Furono molti a togliersi la vita, dopo la seconda guerra mondiale: troppo umiliante piegarsi al volere altrui.  
“Meglio morire con onore”, pensarono in tanti.  
Emulando Mishima e non solo.  
L’ultimo a praticare il Seppuku è stato il judoka Isao Inokuma: il 28 settembre 2001. 
 
Quattro anni prima della sua morte, Yukio Mishima diresse ed interpretò un cortometraggio dal titolo “Patriottismo: un rito di amore e di morte”.  
Sempre lui, nelle vesti dell’ufficiale Takeyama, si toglie la vita pur di non schierarsi contro i propri commilitoni.  
Devozione, fedeltà ed estrema coerenza, legittimano così un fortissimo “credo” patriota. Conservatore, il Giappone, lo è tuttora: il Paese del “kawaii, totemo kawaii” (“carino, troppo carino”), combatte da lottatore di sumo contro immigrazione e multiculturalismo.  
Dati alla mano, il modello nipponico è virtuoso e produttivo.  
Un esempio da seguire, pur considerandone limiti e zone d’ombra: primo fra tutti, il fenomeno del “Karoshi” (morte per eccesso di lavoro).  
Il patriottismo, oggi più che mai, è un’esigenza e dovere morale. Perché “è un fatto ben noto che riconosciamo la nostra Madre Patria quando siamo sul punto di perderla”: e le parole di Albert Camus, devono suonare come monito costante.  
Esattamente come Yukio Mishima: un esempio senza tempo. 
Licenza Creative Commons  30 Novembre 2018
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