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La Rivolta
 
La rivolta contro le élites: Dalla parte dei gilet gialli 
di Ninni Raimondi
 
Si sa bene, ormai.  
Finché a rivoltarsi sono le élites turbocapitalistiche, tutto va bene.  
La chiamano “democrazia”, che sempre più, in effetti, coincide con la dittatura dei mercati apolidi e – si tratta della stessa cosa – con l’autogoverno dei ceti egemonici della mondializzazione infelice. Rapine bancarie, bail in, detassazione dei signori della finanza, ipertassazione delle classi lavoratrici e dei ceti medi, salvataggi delle banche coi danari della collettività: tutto questo va bene, è democratico. 
Guai, però, se a rivoltarsi sono gli sconfitti della mondializzazione, le masse precarizzate e riplebeizzati dagli sciagurati processi della globalizzazione no border (delocalizzazioni, immigrazione di massa, concorrenza al ribasso per i lavoratori, ecc.).  
Processi che, per l’élite, sono le “chances” della mondializzazione. E che invece, per la massa damnata di chi tali processi li patisce sulla propria carne viva, sono le sciagure intollerabili del capitalismo planetarizzato. 
 
I gilet gialli, nell’area gallica, sono un eroico esempio di rivolta dal basso, di contestazione integrale del fanatismo economico globale chiamato ora capitalismo, ora libero scambio, ora mercato.  
Sia pure in assenza di una precisa progettualità e di una chiara coscienza dei propri obiettivi di lungo periodo, i gilet gialli hanno capito chi è il vero nemico: il turbocapitalismo classista e sans frontières, che in Francia trova la propria dramatis persona nel signor Macron, il prodotto in vitro dell’élite bancocratica Rothschild. 
In ciò, i gilet gialli rappresentano la nuova forma della contestazione al tempo del populismo.  
Se l’Italia è il laboratorio istituzionale del populismo, la Francia lo è sul piano della rivolta e dell’arte del dire-di-no. È, forse, inscritto nella sua gloriosa storia, dalla Rivoluzione francese alla Comune di Parigi.  
Anche in ciò si misura la maggiore credibilità dei gilet gialli gallici rispetto alle nostre risibili magliette rosse, che, dai loro sontuosi attici di Nuova York o dai loro fastosi palagi di Portofino, protestano sempre e solo in nome di istanze che non si oppongono al capitalismo globalizzato, ma che lo completano e contribuiscono a realizzarlo appieno. 
 
Una prova, tra le tante, circa la necessità di supportare i gillet gialli è la reazione del nostro tosco nichilista Renzi.  
Il quale – ça va sans dire – si schiera col potere contro i gillet gialli. Sempre dalla parte dei padroni, sempre contro il popolo sofferente: questo ormai il suo collaudato motto.  
 
Nihil novi sub sole.  
Da vent’anni a questa parte, non v’è battaglia, non v’è presa di posizione, non v’è scelta delle sinistre traditrici di Marx e Gramsci che non vada nella direzione opposta rispetto agli interessi delle classi dominate.  
Matteo Renzi, per parte sua, è un campione di questo modus operandi, che può con diritto intendersi come difesa permanente del rapporto di forza egemonico.  
 
Lunga vita ai gilet gialli, dunque.  
E che dalla Francia possa ancora una volta divampare il fuoco rivoluzionario della trasformazione. 
Licenza Creative Commons  9 Dicembre  2018
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