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Se la politica si mette a irride
 
Se la politica si mette a irridere i poveri 
di Ninni Raimondi
 
Il reddito di cittadinanza voluto dai 5 stelle è una misura bislacca e mal impostata, che cerca peraltro furbescamente di ammiccare al tema (controverso, ma seriamente dibattuto da anni) del reddito universale quando si tratta, più modestamente, di un sussidio di disoccupazione.  
Fatta questa premessa, è politicamente più interessante osservare le reazioni che esso ha suscitato, perché testimoniano come, a destra e soprattutto a sinistra, si sia del tutto persa la grammatica stessa della questione sociale. 
Detto in altri termini, non solo la politica non sembra avere soluzioni per i “poveri”, ma appare sorpresa e spaesata alla sola notizia che essi esistano. Le ironie sulla gente che “prende soldi per stare sul divano” o i timori circa eventuali, nuove possibilità di truffare lo Stato grazie a misure come quella voluta dai grillini la dicono lunga, in tal senso. Ora, se la destra liberale ha sempre avuto una certa tendenza al darwinismo sociale (“i tuoi successi e i tuoi insuccessi sono solo una tua responsabilità e se sei povero è solo perché vuoi stare tutto il giorno sul divano”), quello che stupisce è il naufragio sociale e ideale della sinistra, che sembra invece aver del tutto interiorizzato quella fuffa alla “stay hungry stay foolish”, il mito del lavapiatti italiano a Londra, una falsa idea di dinamicità e intraprendenza messa artatamente in circolo dalle multinazionali ma rivestita di una patina “progressista”, umanitaria, empatica. 
In entrambi i casi, comunque, la povertà diventa un fenomeno incomprensibile, che scompare dai radar, e quando vi si presenta finisce per essere colpevolizzata essa stessa.  
Ora, a scanso di equivoci: una misura come il reddito di cittadinanza aiuterà davvero anche coloro che “vogliono solo stare sul divano”.  
E creerà davvero i presupposti per nuove truffe allo Stato.  
 
Ogni misura sociale lo fa.  
Le leggi a tutela degli invalidi sono del resto il presupposto necessario all’esistenza dei falsi invalidi.  
La presenza dello Stato crea sempre le condizioni per truffare lo Stato.  
Abolendo lo Stato sociale, certamente, si elimina questo rischio, basta imporre la legge della giungla: chi ha mai visto truffatori nella giungla?  
Ora, chi ha avuto a che fare per davvero con le famiglie in difficoltà, con le periferie difficili, con le esperienze di marginalità sapeva già benissimo che, per una famiglia dignitosa e sfortunata che vuole solo un aiuto per rimettersi in carreggiata, ce ne sono almeno un paio che intendono vivere di assistenzialismo, che puntano sulla furbizia e sul parassitismo.  
È una realtà conclamata da tempo ed era così anche quando i poveri erano il serbatoio di voti della Dc o del Pci. 
 
La soluzione a questo fenomeno non è, ovviamente, cessare gli aiuti, smantellare le garanzie, ma accompagnare una politica di saggi e mirati aiuti alle fasce deboli con una generale operazione di “nazionalizzazione delle masse”, mirando a sottrarre i cittadini da tali contesti disagiati per integrarli nella più ampia famiglia della nazione, fatta di diritti, ma anche di doveri e soprattutto di un più vasto disegno collettivo, di una prospettiva storica ambiziosa, di uno sforzo comunitario di cui ognuno si deve fare carico.  
 
Vasto programma, senza dubbio.  
Ma se la misura pensata dai grillini non ci si avvicina neanche, le reazioni che essa ha suscitato vanno decisamente nella direzione opposta, una direzione da alta borghesia ottocentesca.  
Una catastrofe programmatica che finirà per generare profondi cambiamenti nello scenario politico.  
 
Ai quali, stavolta sì, sarà divertente assistere dal divano. 
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