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Notevolissimo fu l’impegno della
Notevolissimo fu l’impegno della G.N.R. nelle regioni orientali 
di Ninni Raimondi
Il giorno del ricordo: Istria 
 
Qui i reparti della Milizia ebbero una storia particolare.  
Si trattava di 7 legioni che i tedeschi avrebbero voluto prendere sotto il loro diretto controllo e che furono denominate, in luogo di M.V.S.N., prima: “Comando VI^ Zona Camicie Nere”, poi “Ispettorato Regionale G.N.R. Venezia Giulia”, infine “Comando Generale Milizia Difesa Territoriale”.  
Le comandava il Gen. Di Pasquale, con sede a Trieste che cercò in tutti i modi di mantenere l’indipendenza dai tedeschi. Successivamente il comando fu assunto dal Col. Sommavilla che organizzò una vera e propria Divisione, forte di 10000 uomini e 5 reggimenti con comandi a Trieste (1° Rgt già legione “San Giusto”), Pola (2° Rgt già legione “Istria”), Fiume (3° Rgt “D’Annunzio”), Gorizia (4° Rgt. “Isonzo”), Udine ( 5° Rgt. “Tagliamento” ). 
 
Il 2° Reggimento "Istria", comandato da Libero Sauro, ebbe un ruolo fondamentale nel difendere le popolazioni italiane della zona, in questo aiutato anche dalla X° Mas, e nel mantenere l'ordine pubblico con l'appoggio dei carabinieri.  
Nel dicembre 1944, il comandante Borghese effettuò un’ispezione di tutti i reparti dislocati nella Venezia Giulia per constatare di persona la situazione sia dal punto di vista militare, sia da quello dei rapporti con la popolazione e con le autorità germaniche: il 10 dicembre si recò a Trieste, ed il giorno seguente visitò il comando del battaglione "San Giusto"; quindi proseguì per Pola, nonostante la proibizione del Gauleiter Rainer di muoversi da Trieste, dove visitò la compagnia "Nazario Sauro", comandata dal tenente di vascello Baccarini e la locale base dei sommergibili CB; il 13 dicembre arrivò a Fiume.  
Qui fu raggiunto dall’ordine di arresto da parte della Marina germanica, al quale si doveva procedere, se necessario, anche con l’uso della forza. Il tentativo di arresto di Borghese, che viene definito da Sergio Nesi, testimone oculare della scena, come "patetico e umoristico insieme", non ebbe luogo per il duro atteggiamento del comandante e per il buon senso degli ufficiali germanici locali. 
 
A Trieste e in Istria l’occupazione slava iniziò il 1° maggio 1945. Tito mise gli Alleati di fronte al fatto compiuto "liberando" Trieste prima delle truppe neozelandesi, che agli ordini del generale Freyberg entrarono nella città il 2 maggio, e soprattutto ancor prima della liberazione di Zagabria e Lubiana.  
L’interesse primario di Tito era evidentemente quello di ottenere degli ingrandimenti territoriali più che la sconfitta del nemico comune. I poteri della città furono assunti dal comando militare jugoslavo e per Trieste iniziarono quarantacinque giorni di occupazione slava, con il ripetersi degli eccidi già perpetrati dopo 1’8 settembre 1943 in Istria.  
A Trieste però, dopo il fallimento dei tentativi per predisporre un fronte patriottico anti-slavo, non ci fu alcuna resistenza italiana.  
Il 28 aprile il generale Esposito ordinò al battaglione della X "San Giusto", composto da circa 200 uomini e comandato dal capitano di corvetta Ezzo Chicca, di concentrarsi nella caserma di Montebello. Qui, il 30 aprile, il battaglione venne sciolto. Alcuni dei suoi marò ripiegarono su Venezia, altri tornarono nelle loro case ed altri ancora collaborarono con il locale Cln per mantenere l’ordine pubblico. 
A Pola la X era presente con la compagnia "Nazario Sauro", composta da circa 300 effettivi, comandata dal capitano di corvetta Baccarini e la squadriglia "Longobardo" dei sommergibili CB/CM del tenente di vascello De Siervo.  
Il Comando Marina (Maricoser Pola) con un organico di quasi cento uomini era agli ordini del capitano di fregata Marchini. Nella vicina isola di Brioni c’era la Base Est dei mezzi d’assalto comandata, dopo che il tenente di vascello Nesi era stato fatto prigioniero nel corso dell’incursione su Ancona del 14 aprile, dal sottotenente di vascello Cavallo. Con il precipitare degli eventi, gli effettivi della Base Est si trasferirono a Pola.  
Le altre forze italiane erano costituite da una compagnia del 2° Reggimento "Istria" della M.D.T. al comando del capitano Carlo Bacchetta, da un centinaio di genieri e da altri reparti minori. In tutto 1.200 uomini, mentre le forze tedesche ne contavano 6.000. 
 
Il comando germanico ordinò che il grosso delle sue forze fosse evacuato dalla città, ritenuta ormai indifendibile, lasciando solo dei presidi esterni. Una colonna mista italogermanica, tra cui il 6° battaglione Genio Artieri del maggiore Covatta, partì alla volta di Trieste scontrandosi presso Pisino con i reparti jugoslavi.  
A Pola l’ammiraglio Bauer diede l’ordine di smantellare le difese antiaeree, di minare il porto ed i principali edifici militari e pubblici.  
I comandanti Baccarini e Bacchetta lo convinsero a risparmiare la città ed a cedere loro il comando della piazza.  
Baccarini assunse formalmente il compito di far mantenere l’ordine pubblico ed i tedeschi disattivarono le mine. A Pola rimanevano, oltre ai capisaldi germanici, gli esigui reparti della X ed il capitano Bacchetta con 12 suoi militi.  
Gli italiani cercarono anche di prendere contatti con i comandi slavi per concordare senza spargimento di sangue la cessione della città. La trattativa, intrapresa dal capitano di fregata Marchini, si protrasse con una certa lentezza nella speranza che da un momento all’altro gli Alleati occupassero la zona.  
Ma questo non avvenne e le unità della X rimasero praticamente annientate durante la disperata resistenza alle truppe titine durata fino al 6 maggio. I combattimenti tedeschi continuarono sino all’8 maggio, ultimo nucleo di resistenza germanica della Wehrmacht, assieme ai difensori di Berlino, a deporre le armi in Europa.  
L’ammiraglio tedesco che firmò la resa venne subito dopo fucilato insieme ad un gruppo di suoi ufficiali e a una decina di italiani della Decima Mas.  
I superstiti furono pochissimi, molti i deportati dei quali non si seppe più nulla, tra cui tutto il personale medico dell’Ospedale Marina di Pola.  
 
Della Base Est si salvarono solo tre marinai su cinquanta, che tornarono dalla prigionia nel 1947. Il comandante Baccarini fu tenuto per mesi legato dentro una cisterna, fin quando perse denti e capelli e arrivò sull’orlo della pazzia.  
Fu consegnato alla frontiera italiana il 1° novembre 1949.  
 
Alcuni elementi del Comando Marina riuscirono invece ad imbarcarsi su due sommergibili (il C.B.l9 e il C.M.l) che raggiunsero rispettivamente Venezia ed Ancona, così come una trentina di uomini della Scuola Sommozzatori di Portorose, comandata dal tenente Moscatelli, poterono riparare a Venezia. 
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