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La morte cala dall’alto: a 74 an
La morte cala dall’alto: A settantaquattro anni dal bombardamento di Dresda 
di Ninni Raimondi
 
Tra il 13 e il 15 febbraio del 1945 la flotta aerea del comando interalleato scaricò più di 7mila tonnellate di ordigni esplosivi e incendiari sulla città di Dresda, realizzando un bombardamento a tappeto che rase al suolo il centro storico della capitale sassone e che provocò un’apocalittica tempesta di fuoco.  
Sul numero esatto dei morti si è molto discusso e si continua a discutere: le cifre oscillano oggi tra le 25mila – come sembrerebbe emerso da una ricerca commissionata dalla stessa città di Dresda nel 2009 – e le 40mila vittime, come sostenuto dagli storici Jörg Friedrich e Ian Kershaw, il quale ultimo è oggi considerato tra i massimi esperti mondiali della Germania nazionalsocialista, nonché autore di una monumentale e celebre biografia di Adolf Hitler. 
 
I crimini alleati 
Si tratta ad ogni modo, com’è evidente, di numeri da apocalisse. Sebbene l’impatto distruttivo non differisca sensibilmente da quello di altri bombardamenti della seconda guerra mondiale (pensiamo ad esempio a Coventry e Amburgo, per tacere di Hiroshima e Nagasaki), tuttavia la distruzione di Dresda ha assunto un alto valore simbolico per due motivi: da una parte per la straordinaria bellezza artistica della città, soprannominata la «Firenze dell’Elba», centro meraviglioso dell’umanesimo barocco e, dall’altra, per la scarsissima valenza strategica dell’operazione. Si trattò cioè di bombardamenti indiscriminati volti quasi esclusivamente a sterminare la popolazione civile – composta peraltro da molti profughi – con lo scopo di creare terrore e arrendevolezza (nonostante la Germania fosse vicinissima alla sconfitta definitiva), senza che la città fosse però dotata di obiettivi militari e industriali di rilievo. Un massacro insensato, quindi, il quale scosse fortemente addirittura l’opinione pubblica delle potenze vincitrici. Non a caso, lo storico britannico Richard Overy, nel suo monumentale lavoro del 2013 The Bombing War: Europe 1939–1945, ha specificato come gli Alleati, con i loro bombardamenti terroristici, abbiano violato sistematicamente il diritto bellico allora vigente, perpetrando crimini di guerra che li hanno seriamente screditati da un punto di vista morale. 
Eppure in Germania, un Paese che intrattiene con il proprio passato un rapporto assai problematico, la ricezione dell’evento è tutt’oggi controversa.  
Si va, cioè, dal ricordo commosso dei sopravvissuti e degli ambienti patriottici all’apologia sfacciata e francamente idiota di «Bomber» Harris, la quale incontra spesso il consenso delle nutrite frange antinazionali degli antifascisti tedeschi.  
In più di 70 anni di «rieducazione» (il programma alleato di reeducation della popolazione post-1945, in tedesco Umerziehung), infatti, si è voluto chiaramente instillare nei giovani un vero e proprio Selbsthass, un odio di sé e della propria identità nazionale.  
Insomma, tutta la tradizione germanica, da Goethe a Fichte, da Novalis a Wagner, non poteva che condurre ad Auschwitz. È la nota tesi (tuttora controversa) di un presunto Sonderweg, cioè di un percorso politico-culturale della Germania considerato anomalo rispetto a quello delle altre nazioni europee. Per questo motivo, serpeggia sempre l’idea che la distruzione di Dresda, i tedeschi, se la siano in fondo meritata. 
 
Una memoria complicata 
Non si spiegherebbe altrimenti la nascita di un discutibile filone storiografico che mira a ridimensionare la tragedia di Dresda e il suo valore simbolico. Thomas Widera, storico dell’Istituto Hannah Arendt presso l’università della capitale sassone, sostiene ad esempio che i bombardamenti su Amburgo, Colonia e Coventry siano stati ben più catastrofici di quello su Dresda. Riemerge così l’auto-apologia di «Bomber» Harris, il quale giustificò l’apocalisse di Dresda come risposta a quella subita da Coventry (1940). Su questo va fatta però chiarezza: Coventry era sì una splendida città medievale, il cui centro storico fu distrutto in larga parte dai bombardieri tedeschi, che provocarono migliaia di morti, ma si trattava pur sempre di un obiettivo strategico assai rilevante, dato che pullulava di industrie nevralgiche per la produzione di armamenti. Senza contare che sembra oramai acclarato che il bombardamento della cittadina britannica abbia rappresentato una risposta agli attacchi aerei su Monaco di Baviera.    
Ma al di là del dibattito storiografico, è proprio la memoria in terra germanica di quella tempesta di fuoco che appare sensibilmente distorta.  
Si formano catene umane per sostenere gli ideali di pacifismo, si esibiscono rose bianche sul petto a significare la resistenza al nazionalsocialismo, si lanciano slogan come «Dresda colorata» e «Dresda per tutti» per ribadire il multiculturalismo e l’apertura della città.  
 
Che cosa tutto questo abbia a che fare con il ricordo del massacro deliberato e gratuito di decine di migliaia di tedeschi non è molto chiaro.  
Ma una cosa è certa: nonostante siano trascorsi settantaquattro anni da quei drammatici avvenimenti, il popolo tedesco non è ancora riuscito a far pace con sé stesso e con la sua storia. 
Licenza Creative Commons  15 Febbraio 2019
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