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Da “Memento audere semper” ad “A
Da “Memento audere semper” ad “Arma la tua anima”: i motti come lezioni senza tempo 
di Ninni Raimondi
 
Precisi, efficaci: come la freccetta che mira, centrando il bersaglio. I motti, per definizione, sono frasi molto brevi volte a descrivere lo spirito, ad offrire un monito, a sintetizzare una filosofia che sia votata all’azione. Nel mondo militare, i motti sono anche “grido di battaglia”. Tatuaggi sulla pelle, prima ancora nello spirito. Così, il passato ci restituisce delle perle di saggezza: da incastonare, accuratamente, nel presente. Per farle poi proprie. 
La tradizione vuole che siano in latino ma non esiste un diktat perentorio: il motto (come si vedrà) può essere pure estrapolato da un testo di canzone. Fra i più celebri ed amati, si ricordano i “motti dannunziani”. Gettonatissimo e mai fuori moda: “Memento audere semper” (“Ricorda di osare sempre”). Nasce con l’acronimo “MAS”: omaggio al motoscafo armato silurante (in uso nella  prima e seconda guerra mondiale) per poi diventare un’espressione assai versatile: declinata, anche, in ambito sportivo.  
 
Partorito come grido di battaglia, D’Annunzio lo coniò in occasione della “Beffa di Buccari”: memorabile impresa militare del 1918, cui egli stesso prese parte. Il motoscafo anti sommergibile “MAS ’96”, è attualmente conservato nel Vittoriale degli italiani (casa museo sita nei pressi di Brescia, a Gardone Riviera), dove visse il poeta. Fu sempre lui a chiedere all’illustratore Adolfo De Carolis un disegno, che desse enfasi al motto già espressivo. Ed ecco, un braccio che emerge dai flutti, stringendo una corona di quercia. Una sorta di logo, stampato su molti piccoli oggetti e usato come intestazione della sua carta da lettera. La finalità del “memento” dannunziano, era l’invito all’agire. Rifacendosi al “superuomo” teorizzato da Nietzsche: mosso da  volontà indomita, contro un nichilismo sonnacchioso e pavido. Coraggio, dunque. E disprezzo del pericolo: “Osare l’inosabile”, direbbe il Vate (in virtù, anche, dell’insegnamento di Schopenhauer). “Il mondo come volontà e rappresentazione”, dimostra che l’uomo veda attraverso la sua volontà. 
Negli anni a venire, specie nel decennio del ’70, il motto venne massicciamente adottato da militanti d’estrema destra. Ma non fu il solo: “Più alto e più oltre” e “Sufficit animus – basta il coraggio”, tra i più gettonati. Anche “Semper adamas” è uno fra i più famosi: essere “sempre  adamantino”, forte come il diamante. E pure “con venti contrari“: di questi tempi, incoraggiamento quanto mai opportuno. Non tutti i motti hanno una matrice sicura: le attribuzioni sono spesso molteplici ma ciò non ne compromette il valore. 
 
La lista prosegue: da “Usque ad finem” (“fino alla fine” combattere, frase usata da Gladiatori e Legionari in epoca Romana) a “Flectar ne frangar“: “mi pieghierò ma non mi spezzerò”, a difesa di un’integrità morale oggi carente. Ci sono poi “La vita per la Patria” e “Amor patriae nostra lex“: emblema del patriottismo più puro. Conosciuta è anche “Audaces fortuna iuvat” (“la fortuna aiuta gli audaci”): declinabile, oggi, come virtù nell’essere dissidenti. Audace è infatti opporsi alle logiche a senso unico: di pensiero e ideologia, di massificazione e narrazione ipocrita. “Per aspera ad astra” (“dalle asperità alle stelle”) è invece invito alla resilienza: la capacità di affrontare un dolore o sconfitta, per raggiungere il traguardo. “Ad maiora“, quindi: cioè “a successi più grandi”. E “Più avanti ancora” (come diceva Filippo Corridoni), per non fermarsi e porsi obiettivi, sempre migliori: una lezione valida tuttora.  Per progredire, però, per crescere e affrontare la vita: “Arma la tua anima“. Stavolta è dal testo degli Ultima Frontiera (“Anime armate”) che si estrapola un motto prezioso e importante.  
 
La forza spirituale, come arma per la vita.  
I motti non sono quindi semplici frasi.  
Ma insegnamenti, senza tempo.  
Un’eredità da mettere in pratica: perché “verba volant, facta manent” (“le parole volano, ma i fatti rimangono”). 
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