|
Questo Sito non ha fini di lucro, né periodicità di revisione. Le immagini, eventualmente tratte dal Web, sono di proprietà dei rispettivi Autori, quando indicato. Proprietà letteraria riservata. Questo Sito non rappresenta una Testata Giornalistica in quanto viene aggiornato senza nessuna periodicità. Pertanto non può essere considerato, in alcun modo, un Prodotto Editoriale ai sensi e per gli effetti della Legge n.62 del 7 Marzo 2001.
|
|
Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.
|
Fondato e diretto, nel 2003, da Ninni Raimondi
|
Si avvisano i lettori che questo sito si serve dei cookie per fornire servizi e per effettuare analisi statistiche completamente anonime. Pertanto proseguendo con la navigazione si presta il consenso all' uso dei cookie..
|
|
Un viaggio nel tempo, lungo la storia della lingua italiana. Come già visto in precedenza, molti termini del gergo quotidiano li dobbiamo al genio creativo di Gabriele D’Annunzio: scudetto, fusoliera, automobile ed il marchio Saiwa, per esempio, sono solo alcune delle sue invenzioni linguistiche.
Ma precursore del Vate fu “il padre della lingua italiana” Dante Alighieri, coniando espressioni di cui ci si serve ancora oggi.
Estrapolate soprattutto dal magnum opus La Divina Commedia, ecco i sei esempi più popolari e frequenti.
Un patrimonio prezioso
“Galeotto fu” è l’espressione esemplificativa tratta dal canto V della Divina Commedia, che narra le vicissitudini amorose di Paolo e Francesca: gli “amanti impossibili”.
Anche “Belpaese” fu coniato da Dante. Sinonimo di Italia, così la definì nell’ottantesimo verso del penultimo canto dell’Inferno: “Bel paese là dove il sì suona”.
“Stai fresco” è, inaspettatamente, pure un’invenzione Dantesca. Espressione gergale che sta per “aspetta e spera”, rintracciabile nel verso 117 del XXXIII canto dell’Inferno che così recita: “I peccatori stanno freschi”, rievocando le acque ghiacciate del lago Cocito.
“Non mi tange” è invece meno frequente ma tuttora usata: estrapolata dalle parole di Beatrice, oggi sta per “non mi interessa”. Ben più diffusa è l’espressione “senza infamia e senza lode“: presente nel canto III dell’Inferno e riferita agli ignavi. Coloro che mai hanno agito e mai hanno osato, contrapponendosi nettamente al Memento audere semper di Dannunziana memoria.
La suddetta frase, oggi equivale al “nulla di che”, esprimendo sostanziale indifferenza. Infine, troviamo “il gran rifiuto“: nel canto III, espressione proverbiale per descrivere la decisione di Celestino V di non proseguire il suo papato. Nel linguaggio quotidiano, si tratta di una frase versatile, adattabile ai più svariati contesti.
“Vassene ‘l tempo e l’uom non se n’avvede”, scriveva lo stesso Dante.
Il tempo passa e l’uomo non se ne accorge: ma il patrimonio linguistico da lui ereditato, resta preziosamente presente.
| |