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Quarant’anni fa sbarcava in Ital
Quarant’anni fa sbarcava in Italia Capitan Harlock. Icona dei “fascisti immaginari” 
di Ninni Raimondi
 
Era il 9 aprile 1979, esattamente 40 anni fa, quando sull’allora Rete2 – oggi Rai2 – in Italia si sentì per la prima volta la sigla scritta da Luigi Albertelli e cantata da “La Banda dei Bucanieri” di Vince Tempera che ben presto sarebbe diventata una delle più famose, amate e cantate sigle di cartoni animati di sempre. Era la canzone su “un pirata tutto nero che per casa ha solo il ciel” e il cui “teschio è una bandiera che vuol dire libertà”. Capitan Harlock, l’iconico pirata spaziale creato nel 1977 dal maestro mangaka Leiji Matsumoto, approdava per la prima volta sulle nostre televisioni. 
Inutile ricordare qui le gesta del più famoso bucaniere dello spazio, protagonista di quattro serie animate (a quella trasmessa nel ’79 seguì SSX – Rotta verso l’infinito del 1983 ma trasmessa in Italia solo negli anni ’90, l’incompleta L’Anello dei Nibelunghi arrivata da noi nei primi anni del nuovo millennio e Endless Odyssey del 2002, distribuita solo in Home Video), un lungometraggio animato (il celeberrimo L’Arcadia della mia Giovinezza, che avrebbe fatto da pilot alla seconda serie animata) e infine un film di animazione CGI 3D diretto da Shinji Aramaki nel 2013. 
 
Il pirata spaziale e la destra radicale 
Quello che sarebbe diventato il personaggio più famoso e amato di Matsumoto ben presto assurse a simbolo per almeno tre generazioni di militanti della cosiddetta destra radicale. La ciurma di uomini liberi trattati da criminali in patria che decide comunque di lottare per essa e per riportarvi la giustizia, un governo corrotto gestito da burocrati devirilizzati che narcotizza il proprio popolo con trasmissioni televisive mentre permette un’invasione straniera pur di garantirsi il successo elettorale. E poi la lotta degli ultimi popoli liberi contro un dominio che vuole livellare e schiavizzare la galassia: tutti elementi che ricordavano da molto vicino le battaglie quotidiane di una certa gioventù e che fecero vibrare i cuori di chi per anni era stato costretto a rimanere ancorato a un’iconografia di fate, elfi e maghi per sognare un mondo diverso dalla troppo oscura realtà e che invece proprio da e con Harlock avrebbero rinnovato un intero immaginario pop fatto di azione, slancio al futuro e sfida alle stelle. 
L’immagine del pirata spaziale è talmente presente nella simbologia della destra radicale che a sinistra si è cercato più volte di fare “controinformazione”, tacciando i perfidi fascisti di mal comprendere e mistificare la storia e le idee di un personaggio. E così abbiamo avuto le letture di un Harlock “anarchico” che combatte solo sotto la sua bandiera e quindi solo per i suoi ideali personali, ma che non ha patria se non il cielo stellato senza confini. Peccato che la patria Harlock ce l’abbia ben chiara, che nonostante solchi i cieli infiniti egli sappia sempre da dove viene e per chi combattere, tanto da rifiutare più volte di accasarsi altrove, financo in paradisi galattici – addio ius soli – proprio perché sa che il suo scopo ultimo è tornare a casa e combattere per la sua salvezza. 
 
La lotta contro l’invasore straniero 
Peccato che pur di combattere per la sua patria egli scelga l’esilio proprio per salvare la sua Terra, il suo popolo, la sua famiglia e i suoi cari a prescindere dal governo che la guida. Peccato che egli diventi un esempio per tutti quelli che per comodità o tornaconto avevano smesso di combattere contro l’invasore straniero, magari anche collaborando con esso e cedendo alla sua cultura, e che proprio dopo aver affrontato Harlock tornano a combattere o addirittura a morire per la battaglia che avevano abbandonato. 
C’è poi la famosa “scena del Messerschmitt” che compare nel lungometraggio L’Arcadia della mia Giovinezza, che mostra l’antenato di Harlock – Phantom Harlock II – pilotare un caccia tedesco con tanto di croce di ferro e croce uncinata nei cieli della Seconda Guerra Mondiale. Una scena che ovviamente ha solleticato l’immaginario di molti giovani “a destra” e che la sinistra ha cercato orwellianamente di riscrivere. “L’antenato di Harlock combatte su un aereo tedesco solo perché è l’unico mezzo disponibile per volare, certa ingenua destra estrema lo ha amato senza ragione” scrisse Il Manifesto qualche anno fa, forte della prima bislacca traduzione italiana in cui Harlock affermava di “volare da solo” e di utilizzare quell’aereo perché era “l’unico che aveva trovato”. Traduzione che risultava palesemente errata anche a una prima occhiata fugace, visto che nella scena successiva Harlock avrebbe comandato una squadriglia di altri Messerschmitt nazisti. 
La cosa divertente di quell’articolo fu che servì a lanciare la “nuova edizione restaurata” del lungometraggio, che disgraziatamente però ci donò anche il doppiaggio con traduzione corretta in cui Harlock, alla domanda sul perché volasse con un aereo con Croce di Ferro, rispondeva secco “Per rettitudine e riconoscenza verso la mia Nazione”. E il Manifesto e fautori vari della lettura anarchica muti. 
 
Matsumoto un uomo libero 
D’altra parte basta vedere le altre opere di Matsumoto per notare che il mangaka, sopravvissuto quasi per caso al genocidio nucleare, non abbia una visione propriamente allineata e politically correct sul secondo conflitto mondiale. Ma non ci sono solo questi elementi che ci hanno fatto amare oltre ogni limite il pirata spaziale di Leiji Matsumoto. In qualche modo Harlock è il culmine di tutto quello che amiamo oltre che una grandiosa sintesi tra Europa e Giappone, della loro cultura e di ciò che li ha resi grandi. 
Anche se, ovviamente, i media mainstream hanno dato risalto solo al messaggio “pacifista” di Matsumoto lanciato nell’ultimo Lucca Comics in cui era ospite d’onore, tutti dimenticano come il mangaka abbia dichiarato di aver avuto come fonte di ispirazione il bushido e gli insegnamenti di Miyamoto Musashi, il più famoso samurai della storia vissuto a cavallo tra XVI e XVII secolo. E che se la guerra è terribile perché le è preferibile l’armonia, è dovere di ognuno lottare fino alla fine, rialzarsi da ogni caduta, insegnare ai giovani la lealtà e che “non devono vergognarsi di versare lacrime, poiché l’unica cosa di cui vergognarsi è arrendersi”, come dimostrano tutti i suoi personaggi che, sognando la pace, combattono anche fino alla morte quando è necessario. 
 
Sintesi tra Europa e Giappone 
Ma come dicevamo in Harlock c’è anche tanta anima europea. Matsumoto ha più volte detto di amare la cultura dell’Europa e di essere stato grandemente influenzato da essa. Oltre al suo film culto che tanto lo segnò da ragazzo, Marianne de ma jeunesse che ha dato il titolo all’Arcadia della mia Giovinezza, che ha donato agli Harlock la patria germanica di Heiligenstadt e che ha dato l’impronta a tutti i personaggi femminili del mangaka, disegnati con le sembianze della bellissima attrice Marianne Hold, non si può non notare l’influenza wagneriana in tutta l’epopea cosmica del pirata spaziale. Oltre alla saga de L’Anello dei Nibelunghi in cui i riferimenti alla Tetralogia sono evidenti, l’Harlock monocolo, con corvo sulla spalla, consigliato da una donna-spirito eterea che solca i cieli conducendo la sua “caccia selvaggia” non può non ricordare il Padre degli Dei di Asgard. 
Ma è evidente anche l’influenza della cultura classica, che va dal nome della nave-casa di Harlock, Arcadia, fino alla missione di riportare il Fuoco Sacro a casa, nella propria Origine, per ricostruire la Civiltà come accade nel finale di SSX (in un’altra opera di Matsumoto, Corazzata Yamato 2199, addirittura per accendere il Fuoco servirà la memoria viva di tutti i membri dell’equipaggio caduti in battaglia, e l’associazione con i Penati e con Enea diventa davvero folgorante). E poi la guerra alle Mazoniane e ai Noo come lotta contro i propri istinti bassi, animali, emotivi per potersi ergere in una vita eroica, il sacrificio commovente dei molti personaggi “secondari” della saga, il funerale spaziale ai propri combattenti, la figura poetica di Tochiro Oyama che sublima se stesso nella sua opera diventando l’anima stessa dell’intero equipaggio, il voler andare sempre e comunque oltre, anche quando si sembra essere giunti alla fine, per superare sempre se stessi e arrivare perfino a superare la propria umanità. 
 
La sinistra contro l’eroismo guerriero 
Harlock è letteralmente saturo di scene, parole, immagini, simboli, azioni che anche se non compresi razionalmente muovono il cuore di certi giovani ed eternamente giovani accordandoli alle frequenze ancestrali del Mito, della Tradizione e dell’Eroismo. 
Oggi celebriamo i 40 anni della “manifestazione” di Harlock in Italia e quindi, in qualche modo, del ritorno di certi principi che quasi inconsciamente ci sono pervenuti da quello schermo, da quella sigla, da quella cicatrice sotto la benda. 
 
Proprio pochi mesi prima della messa in onda della prima puntata, l’allora parlamentare comunista di Democrazia Proletaria Silverio Corvisieri, membro della Vigilanza Rai, si era scagliato contro l’importazione dei cartoni animati giapponesi, lanciando dalle pagine di Repubblica un anatema contro la pericolosità di messaggi intrinseci alle opere nipponiche come “l’eroismo guerriero”. “Si celebra dai teleschermi, con molta efficacia spettacolare, l’orgia della violenza annientatrice, il culto della delega al grande combattente, la religione delle macchine elettroniche, il rifiuto viscerale del diverso” scriveva. Poco dopo fu niente meno che Nilde Iotti a bollare gli anime come pericolosi e antidemocratici. Ormai 40 anni dopo, Harlock può forse segnare un’altra vittoria sulla fusoliera del Messerschmitt del suo antenato: aver realizzato gli incubi dei censori del salafismo nostrano. 
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