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Dal muro al barcone: Christoph B
Dal muro al barcone: Christoph Büchel, l’artista che sta sfregiando la Biennale 
di Ninni Raimondi
 
La Biennale di Venezia è pronta a ospitare il relitto del peschereccio libico inabissatosi il 18 aprile 2015 nel Canale di Sicilia causando oltre 700 vittime.  
La macabra installazione sarà esposta alla 58/a Mostra d’Arte, firmata da Ralph Rugoff. 
Si possono già facilmente immaginare le due tipologie di visitatori che scruteranno questa “opera” di pessimo gusto e controversa finalità: da una parte avremo le coppie in stile Alberto Sordi in “Le vacanze intelligenti” deambulare sfinite attorno al barcone fingendo interesse per ciò che critici, giornali e telegiornali gli han detto essere arte.  
Dall’altra, coppie impostate per l’occasione con colli alti in lana nonostante il caldo lagunare, occhiali tondi neri e mocassini pronti a scattarsi selfie con espressione fintamente contrita a cui abbinare qualche frase di circostanza strappalacrime e like. Questo è lo stato della pseudo arte contemporanea e grossomodo il pubblico a cui è destinata. 
 
Chi è Christoph Büchel 
L’ideatore del progetto in questione è lo svizzero Christoph Büchel, lo stesso “artista” contemporaneo che quattro anni fa allestì sempre a Venezia per il padiglione islandese la dibattuta moschea nella chiesa della Misericordia, poi bloccata dalle autorità. 
Il tutto appare e inevitabilmente diventa appannaggio della propaganda no border, pro globalizzazione e apologia di immigrazione clandestina. Il linguaggio espressivo di Büchel non può che ispirare questo. Va però ricordato che lo stesso artista svizzero, residente in Islanda, lanciò l’anno scorso una campagna per far riconoscere come opera nazionale il muro di Trump sul confine col Messico.  
Il muro ha per Büchel un significativo valore storico e culturale, e sarebbe una vera e propria opera di land art. 
Tuttavia, le sue provocazioni non conoscono ideologia. Ecco perché in meno di un anno lo svizzero è passato dalla celebrazione del muro all’esposizione della clandestinità. I riflettori vengono puntati su un mezzo di illegalità e morte. Si può tranquillamente asserire che dietro al subdolo giochetto dell’arte c’è chi tenta di trasformare le tragedie dell’Africa e del mediterraneo in cultura pop. L’opera – barcone esposta alla Biennale si intitola «Barca Nostra», ma cosa c’è di nostro in tutto questo? Cosa vuole comunicarci l’autore? Che forse è colpa di noi Italiani o di tutta l’Europa se migliaia di Africani muoiono nel mediterraneo? Il proposito è impietosire gli animi e spingerci a voler ospitare coattamente tutto il terzo mondo in Europa? 
 
La città di Tintoretto, Tiziano e Canaletto è passata in una manciata di secoli da capitale dell’arte a ricettacolo di stranezze di dubbio gusto e fine. A questo punto si potrebbe chiedere al curatore Rugoff perché non esibire allora la valigia dove erano stati messi i resti di Pamela, il piccone usato da Kabobo o le macerie dei paesi terremotati.  
Qui allora l’indignazione e la censura della politica e della stampa giungerebbero puntuali senza ombra di dubbio. 
Dopotutto, nella Venezia luna park, tra un ponte di Calatrava e un teatro liberty trasformato in discount, si sentiva proprio la mancanza dell’ennesimo simulacro alla dea immigrazione. 
Licenza Creative Commons  11 maggio 2019
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