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Europee, il disastroso programma
Europee, il disastroso programma Pd sull’immigrazione: clandestini e porti aperti 
di Ninni Raimondi
 
“Berlusconi ancora una volta ha ingannato gli italiani: RADDOPPIATI GLI SBARCHI DEGLI IMMIGRATI CLANDESTINI”. Recitava così, perentoriamente, un manifesto elettorale del Pd risalente al lontano 2009. Esattamente dieci anni fa il partito dell’accoglienza e dell’integrazione, oggi schierato decisamente contro ogni discriminazione e contro la paura del diverso, nel furore della lotta contro il nemico di sempre, Silvio Berlusconi, non aveva remore nell’utilizzare il termine «clandestino» e nel prefigurare una temibile invasione di immigrati irregolari. Effettivamente allora le paure del Partito Democratico erano fondate: nel 2007 le richieste d’asilo erano state 13.310, mentre l’anno successivo erano più che raddoppiate, giungendo alla esorbitante quota di 31.723. Nulla a che vedere con i numeri davvero esigui registrati, ad esempio, nel 2016, quando le richieste d’asilo furono appena 123.600, o l’anno successivo, quando raggiunsero quota 130.119. 
Nel frattempo, nel giro di un decennio, il termine «clandestino», utilizzato con assoluta disinvoltura dal Pd in quel manifesto è stato dichiarato discriminatorio, offensivo e umiliante da una sentenza del tribunale di Milano, che nel 2017 ha condannato la Lega al risarcimento di 10 mila euro e al pagamento di spese processuali per un importo pari a €4.270. 
 
In dieci anni la sinistra progressista italiana è insomma passata dal servirsi delle ondate migratorie come di uno spauracchio da brandire per demonizzare ulteriormente il governo Berlusconi al considerare l’immigrazione una fondamentale risorsa per il nostro Paese. Tutto ciò sempre al netto di una propaganda piuttosto confusa in merito, visto che un giorno si criminalizza Salvini e quello successivo si elogia Minniti, il quale però non fu meno duro nei confronti delle Ong e concreto nella riduzione degli sbarchi (quantunque Salvini abbia, dati alla mano, fatto meglio del predecessore, sia guardando ai numeri degli arrivi sia considerando i morti in mare, notevolmente diminuiti). 
 
Il programma Pd per le europee: porte aperte a tutti 
Ma quali sono davvero le linee programmatiche del Pd in materia di immigrazione? Come intende affrontare queste sfide in ottica comunitaria, viste le prossime elezioni europee? 
Nel programma elettorale ufficiale la linea è chiarissima: porte aperte a tutti. Il primo obiettivo, per il Partito Democratico, è infatti la riforma del regolamento di Dublino, sulla base del testo approvato dal Parlamento nel 2017. Per carità, tutto è preferibile all’attuale stato delle cose e anche la riforma cui fa riferimento il Pd rappresenterebbe un passo in avanti, per quanto debole. 
Tutto ciò, tuttavia, presupporrebbe ancora una volta che chiunque sia libero di sbarcare, che chiunque possa presentare una richiesta e, nell’attesa di ricevere un responso, possa vivere da mantenuto alle spalle dei cittadini italiani ed europei. Oltre alla riforma del regolamento di Dublino, nel programma dem si parla solo di definire nuove vie legali della migrazione (senza specificare le categorie cui questi canali sarebbero destinati) e di politiche di integrazione. 
 
Non si parla di rimpatri 
Sorprende – o forse no – l’assenza di qualsiasi riferimento al capitolo dei rimpatri, una cui gestione a livello comunitario sarebbe senza ombra di dubbio più efficace: sarebbe l’Ue, e non i singoli Stati membri, a stipulare accordi di rimpatrio con tutti i Paesi africani, in modo da rispedire a casa in tempi brevissimi tutti gli irregolari attualmente presenti sul suolo europeo (con la prospettiva di azzerarli per sempre, derivante dall’azione congiunta di questa misura e di quella che prevederebbe l’esame delle richieste d’asilo nei Paesi d’origine). 
 
Infine, uno specifico capitolo del programma è dedicato alla creazione di «un nuovo partenariato Europa-Africa che promuova lo sviluppo e si dia il compito di sradicare la povertà in quel continente».  
Tradotto dal buonista al salviniano: aiutiamoli a casa loro.  
Finalmente lo hanno capito.  
Meglio tardi che mai.  
 
Sul franco CFA, comunque, silenzio imbarazzante. 
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