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La libertà di espressione, vitti
La libertà di espressione, vittima della censura in Internet 
di Ninni Raimondi
 
Il fatto che viviamo in un mondo dove la circolazione delle informazioni è ampiamente sotto il controllo di società private (e di governi molto influenzati da esse) è già di pe sé un elemento di accusa nei confronti della nostra civiltà. Anche se, per assurdo, nessun altro crimine fosse mai stato perpetrato in alcun posto e se il sistema di potere fosse generalmente benevolo verso i cittadini, un controllo e una diffusione dell’informazione concentrati in un pugno di mani private sarebbe già una ragione sufficiente perché si renda necessario ricostruire l’intera società su basi nuove. 
Un simile controllo è semplicemente troppo contrario ai principi di libertà di espressione e di libero accesso all’informazione, per essere tollerato dai popoli che amano la democrazia, la verità e aspirino ad una comunicazione razionale e senza impedimenti. Ma il peggio è che il controllo dell’informazione da parte di consorzi& miliardari è la condizione preliminare essenziale perché vengano incessantemente commessi questi crimini sistematici contro l’umanità. Se la gente sapesse tutto quello che succede, è poco probabile che lo tollererebbe a lungo. 
 
Nei fatti, è come se vivessimo in una farsa planetaria, vittime di un’intelligenza cosmica malevola dotata di un senso dell’humor perverso: organizzare la dissidenza politica, lottare per il progresso sociale e far conoscere meglio i crimini commessi dalle imprese e dai governi sembra un compito tanto necessario quanto impossibile. Perché, nel quotidiano, noi dipendiamo in gran parte dalle reti gestite e controllate da questi stessi criminali. Siamo alla mercé della loro buona volontà. I fornitori di servizi internet possono, a loro piacimento, rifiutarsi di fornire servizi a un individuo o a un gruppo ritenuti «pericolosi», sulla base di criteri oscuri; piattaforme mediatiche come Facebook e YouTube possono sospendere un utilizzatore se solo decidono che a loro non piace quello che dice, o se non rispetta un algoritmo misterioso, evolutivo e retroattivo; Google può sviare il traffico da alcuni siti web, come ha fatto recentemente per siti di sinistra come World Socialist Website, AlterNet, Democracy Now e CounterPunch.  
E le vittime di questa censura non dispongono, di fatto, di alcuno strumento di ricorso, se non quello di fare appello al pubblico perché faccia pressione sui censori. 
 
Facebook ha censurato un numero incalcolabile di utilizzatori che non meritavano tale misura, per esempio prendendo di mira in modo sproporzionato gli attivisti di colore, sospendendo la diffusione in diretta di immagini di poliziotti che sparano sui civili, sopprimendo temporaneamente la pagine in inglese di TeleSur e sopprimendo la pagine di VenezuelAnalysis fin quando le proteste pubbliche che tale misura ha suscitato non l’hanno costretto a fare marcia indietro – e da ultimo citiamo la soppressione del conto ufficiale Whatsapp del partito spagnolo Podemos, proprio alla vigilia delle elezioni… L’esercito di moderatori di Facebook censura costantemente dei messaggi individuali sulla base di un insieme di regole enunciate in 27 pagine, che prevedono la soppressione di quelli, per esempio, relativi alle atrocità indiane nel Cachemire, a Geronimo e Zapata quali eroi della «guerra dei 500 anni contro il colonialismo», o ancora ad una contro-manifestazione di sinistra per l’anniversario delle violenze a Charlottesville, in Virginia. 
La censura politica (che colpisce sia la destra che la sinistra) è incontrollabile: quest’anno centinaia di account e di pagine sono state soppresse col pretesto che sarebbero false o «non autentiche». O, come sempre, «estremiste». Molti di essi erano del tutto legittimi, appartenenti a persone vere che utilizzavano degli pseudonimi per ragioni di sicurezza, o scrivevano cose che vengono semplicemente considerate inaccettabili perché non conformi alle narrazioni ufficiali. Dopo avere soppresso decine di conti e di pagine «inautentiche» l’estate scorsa, Facebook ha dichiarato che i colpevoli avevano «cercato di attizzare le tensioni sociali e politiche negli Stati Uniti», e dichiarato che la loro attività era «simile, addirittura talvolta legata quelle degli account russi delle elezioni del 2016». In altri termini, è oramai vietato agli utilizzatori «di infiammare le tensioni» o di agire «allo stesso modo» degli account russi – vai a capire che cosa vuol dire. 
 
Almeno siamo ancora autorizzati a condividere foto di gatti e di bebè. 
Ma la vittima principale di questo maccartismo rampante è stata ovviamente la causa palestinese, e più in generale tutti quelli che si oppongono alla lunga e insaziabile orgia sanguinaria perpetrata da Israele. Che sia su Twitter, YouTube, Facebook o altre piattaforme, le persone, personalità o gruppi che resistono a Israele si vedono regolarmente negare il loro diritto di parola. Il ramo armato di Hamas non ha il diritto di creare un account di Twitter, mentre l’esercito israeliano sì. Facebook blocca tanto spesso i gruppi palestinesi, compreso al Fatah, che pure è riconosciuto sulla scena internazionale, e i principali media della Cisgiordania – che questi hanno creato un proprio hashtag, #FBcensorsPalestine. Tenuto conto che queste reti sociali, che hanno un monopolio quasi mondiale, sono un mezzo essenziale per raggiungere una audience o divulgare un messaggio, una simile censura ha effetti particolarmente devastanti. 
Uno scandalo recente riguarda la repressione della voce del Segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Da un anno, YouTube ha sospeso un canale riconosciuto che diffondeva e traduceva da 5 anni i discorsi di Hassan Nasrallah, e di altri leader "anti-USA" (Putin, Assad, ecc.), in francese e in inglese. Il canale Sayed Hasan, che contava più di 400 video, aveva 10.000 abbonati e aveva ricevuto più di sei milioni di visite, diventava sempre più popolare. Il pretesto cui è ricorso YouTube per sospenderlo è stata «una violazione delle regole concernenti il contenuto grafico o violento».  
Più precisamente, tre estratti di discorsi di Nasrallah sono stati giudicati offensivi: il primo video era intitolato «Daesh è l’alleato di Israele e ha come obiettivo La Mecca e Medina», il secondo "Libereremo Al-Qods (Gerusalemme) e tutta la Palestina", e il terzo "La prossima guerra muterà il volto della regione".  
Sarebbe difficile affermare che questi discorsi contenessero asserzioni particolarmente «grafiche o violente», trattandosi solo di analisi politiche convincenti e di inviti a resistere contro uno Stato vicino particolarmente brutale e violento. 
 
Il proprietario del canale ha poi creato una pagina Facebook per pubblicare identici contenuti, Le Cri des Peuples, che conta a oggi più di 9.000 abbonati, e una versione in inglese dal nome Resistance News Uniltered. Un anno dopo quest’ultima è stata soppressa a sua volta. Senza alcuna spiegazione. Contava più di 6.000 abbonati e forniva un servizio importante, traducendo i discorsi di un analista politico molto perspicace. Norman Finkelstein ha pubblicato una dichiarazione di sostegno verso il traduttore denunciando questa censura di Nasrallah: 
" E’ scandaloso che i discorsi di Hassan Nasrallah siano censurati da Youtube. Qualsiasi cosa si pensi della sua politica, non c’è alcun dubbio che Nasrallah sia uno degli osservatori politici più sagaci e più seri che vi siano oggi nel mondo. I leader israeliani scrutano attentamente ogni parola di Nasrallah. Perché questa possibilità deve essere negata al grande pubblico? Non ci si può impedire di chiedersi se i discorsi di Nasrallah siano censurati solo perché essi non corrispondono allo stereotipo del leader arabo degenerato, ignorante e fanfarone. Sembra che media e reti sociali occidentali non siano ancora pronti ad ascoltare un leader arabo degno tanto nella sua persona che nella sua mente ". 
Oltre alle due pagine Facebook (la versione inglese sta per essere ricreata), si possono trovare le traduzioni di Sayed Hasan in francese su Vimeo e sul suo blog sayed7asan.blogspot.fr, e in inglese su Dailymotion e sul suo blog resistancenewsunfiltered.blogspot.com. Si può aiutare il lavoro volontario del traduttore trilingue attraverso il suo account Paypal. 
Il New York Times ha scritto che «le agenzie di sicurezza israeliane sorvegliano Facebook e segnalano i messaggi che considerano un incitamento all’odio. Facebook ha soppresso la maggior parte dei messaggi segnalati». Di fatto, il 90%. Nel frattempo, come nota Glenn Greenwald, «gli Israeliani godono della piena libertà di pubblicare tutto quello che vogliono sui Palestinesi», ivi compresi appelli al genocidio e le celebrazioni più oltraggiose della tortura e dell’uccisione di bambini palestinesi. 
Tutto ciò è perfettamente prevedibile, giacché i potenti dell’economia cooperano sempre coi potenti della politica per censurare i dissidenti. Imprese come Facebook e Google (che possiede YouTube), saranno sempre inclini a compiacere il governo degli Stati Uniti e i suoi alleati. Questo fatto costituisce però un danno terribile per la libertà di espressione, un vero e proprio proto-fascismo, al quale bisogna resistere con la stessa energia che se fosse un crimine contro l’umanità che viene dissimulato da simili collaborazioni. 
 
Solo inondando Google, Facebook, Twitter e gli altri di proteste, avremo la possibilità di far ascoltare voci necessarie come quella di Hassan Nasrallah. Il nostro obiettivo ultimo dovrà essere quello di eliminare queste stesse società e di restituire alla collettività le infrastrutture mediatiche che esse posseggono, ma per raggiungere tale obiettivo, dobbiamo continuare a creare falle nei blackout di queste società, per far passare un po’ di luce. 
Licenza Creative Commons  17 Maggio 2019
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