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Votazioni europee: Il punto dell
Votazioni europee: Il punto della situazione 
di Ninni Raimondi
 
Sovranisti in crescita in Europa. Ma nel Parlamento Ue non cambieranno niente 
Le elezioni europee segnano l’avanzata dei sovranisti-populisti, soprattutto nel Regno Unito, in Francia e in Italia, in grado di intercettare l’euroscetticismo diffuso nei Paesi Ue, in netta contrapposizione con i partiti europeisti. Ma in termini numerici questa crescita non basta a modificare l’assetto dell’Europarlamento. In Francia, il Rassemblement National di Marine Le Pen è il primo partito (23%), così come il Brexit Party di Nigel Farage (32%) lo è in Gran Bretagna (ma questo poco inciderà nel Parlamento Ue, visto che appena passerà la Brexit, i seggi britannici verranno eliminati). In Italia, la Lega di Matteo Salvini è al 34%. In Polonia la lista nazionalista Diritto e giustizia è la prima forza con il 42% dei suffragi, davanti ai centristi (39%) e ai socialdemocratici (6%). In Germania la Cdu-Csu resta in testa (pur registrando il peggior risultato della storia) con il 28,9% dei voti davanti ai Verdi (che incassano il 20,6%) e a Spd (centrosinistra) al 15,5%. Risultato non lontano da quello spagnolo, dove il Partito socialista (Psoe) è dato al 33%, il Partito popolare al 20% e Ciudadanos (centristi) al 12%. Il partito sovranista Vox è al 6%. 
 
Europarlamento in stallo 
Il gruppo Europa delle Nazioni e della Libertà, a cui appartengono la Lega e Rassemblement National, sale a 71 seggi, mentre il gruppo dei 5 Stelle e di Farage, Europa della Libertà e della Democrazia diretta, ottiene 44 seggi. Ma gli equilibri nell’Europarlamento non cambiano, perché il Partito popolare ha 179 seggi, 150 i socialisti, 108 i liberali, 68 i Verdi (che segnano una crescita notevole, ma non in Italia), 38 la Gue, gruppo di estrema sinistra. Ancora 36 deputati non hanno una collocazione dentro i partiti politici. In generale, anche a causa dell’avanzata sovranista-euroscettica, l’Europarlamento è in stallo, salvo alleanze improbabili. Sì, perché la maggioranza politica che dovrà “eleggere” il prossimo presidente della Commissione europea, e poi dare la fiducia a tutto il suo esecutivo, deve raccogliere almeno 376 voti, la metà più uno dei 751 seggi dell’Europarlamento. Andando a vedere le possibili alleanze, abbiamo da una parte, il Ppe e i Socialisti che da soli, per la prima volta, non hanno più la maggioranza assoluta; dall’altra, niente maggioranza neanche con un’improbabile alleanza di tutte le formazioni della destra conservatrice, populista o sovranista (Enf, Ecr, Efdd) e del Ppe (avrebbero 351 voti). Scenario plausibile appare un accordo tra il vecchio blocco di maggioranza Ppe-Socialisti e i liberali dell’Alde e di En Marche di Macron (437 voti). 
 
Il voto Paese per Paese 
Ecco come è andato il voto nei 28 Paesi membri, ordinati in base al numero di seggi. 
Germania (96 seggi) La Cdu-Csu (centrodestra) in testa con il 28,9% dei voti davanti ai Verdi (20,6%) e a Spd (centrosinistra) al 15,5%. I sovranisti di AfD si attestano all’11%, 
Francia (74 seggi) Il Rassemblement national lepenista sopra il 23% rispetto alla lista di Macron Lrem che raccoglie il 22% e gli ecologisti di Eelv sono al 13%. Les Republicains (centrodestra) sono all’8%. 
Italia (73 seggi) Lega primo partito, oltre il 34%, davanti al Pd attorno al 22% e a M5s attorno al 17%. 
Regno Unito (73 seggi) Il Partito della Brexit di Nigel Farage in testa al 32% davanti ai liberaldemocratici e ai laburisti (entrambi al 19%). De profundis per i Tory di Theresa May, che crollano all’8%, i Verdi all’11%. 
Spagna (54 seggi) Il Partito socialista (Psoe) al 33%, il Partito popolare al 20% e Ciudadanos (centristi) al 12%. Il partito sovranista Vox è al 6%. 
Polonia (51 seggi) La lista sovranista Diritto e giustizia è la prima forza con il 42% dei voti, davanti ai centristi (39%) e ai socialdemocratici (6%). 
Romania (32 seggi) La lista conservatrice è al 26% alla pari con i socialdemocratici. Centristi al 24%. 
Olanda (26 seggi) Laburisti (sinistra) in testa con il 18% davanti al Partito populare per la libertà e la democrazia (centro) con il 15% e i conservatori (12%). 
Belgio (21 seggi) Il partito conservatore è in testa con il 13% davanti al partito sovranista Vlaams Belang (11%) e il Partito socialista al 10,46%. 
Ungheria (21 seggi) Il partito populista Fidesz del premier Viktor Orban ha stravinto con il 52% contro 16% della Coalizione democratica (sinistra). Il partito centrista Momentum e’ al 10% davanti ai socialisti (7%) e al partito di estrema destra Jobbk (6%). 
Grecia (21 seggi) Nuova democrazia (centrodestra) è al 33% davanti a Syriza (centrosinistra) al 24% e al Movimento per il cambiamento (7%). Alexis Tsipras, premier e leader di Syriza, ha annunciato che si terranno a fine giugno delle elezioni anticipate. 
Portogallo (21 seggi) Il Partito socialista avanti con il 32% davanti ai socialdemocratici (22%) e al Blocco di sinistra al 10,5. 
Repubblica Ceca (21 seggi) Il partito di sinistra è avanti con il 27% davanti ai conservatori (14%) e al Partito dei pirati (13%). 
Svezia (20 seggi) Socialdemocratici primo partito al 25,%, davanti ai Moderati (conservatori) al 17%. I sovranisti sono al 17%, i Verdi al 9,5%. 
Austria (18 seggi) Il Partito popolare (destra) prima forza al 34% davanti ai socialdemocratici (23%) e al partito sovranista Fpo (17%). 
Bulgaria (17 seggi) Il partito conservatore è in testa con il 31% davanti al Partito socialista (24,33%) e al Movimento dei diritti e delle libertà (centro) al 13%. 
Danimarca (13 seggi) I socialdemocratici arrivano primi con il 22,8% dei consensi, davanti ai centristi, fermi al 20,5% e la formazione sovranista, che supera appena il 13%. 
Finlandia (13 seggi) Vincitori sono i conservatori della Coalizione nazionale, anche se con il 20,7% risultano comunque in calo rispetto al 2014. A guadagnare di più è la Lega verde, che con il 15,9% segna un risultato storico. Terzi, i socialdemocratici con il 14,7%, seguiti dai sovranisti dei Veri finlandesi, al 14%. 
Slovacchia (13 seggi) Centristi primi con il 20,1% dei voti, davanti ai socialdemocratici, fermi al 15,7%, mentre il partito sovranista arriva al 12%. 
Croazia (11 seggi) Buona affermazione dei conservatori con il 23,04% a netta distanza dai socialisti fermi al 17,9%) e alla lista indipendente di Kolakusic (8,09%). 
Irlanda (11 seggi) I conservatori di Fine Gael conquistano il 29%, staccando i centristi del Fianna Fail al 15% e l’Alleanza indipendente, anch’essa al 15%. Stesso risultato per gli ecologisti, mentre la sinistra del Sinn Fein si ferma al 13%. 
Lituania (11 seggi) In testa ci sono i conservatori dell’Unione della patria con 17,41%, seguiti dai socialdemocratici al 16,9%. Il partito populista al potere l’Unione dei Verdi e Contadini lituani (Lvzs), è terzo al 13,5%. 
Lettonia (8 seggi) Dimezzano i propri voti ma restano primo partito i conservatori del Partito dell’Unità con il 26% dei voti, secondi i socialdemocratici (17,5%), terzo il partito sovranista (16,4%). 
Slovenia (8 seggi) Primo il partito conservatore con il 26,4% dei voti, staccando di netto i socialdemocratici al 18,62%, mentre i centristi arrivano al 15,59%. 
Cipro (6 seggi) I conservatori del Raduno democratico arrivano in testa, con il 31,8% dei consensi, staccando di quasi 6 punti il partito della sinistra Akel, al 26%, mentre i socialdemocratici arrivano al 11,9%. 
Estonia (6 seggi) E’ il Partito Riformista a vincere, sia pur di un soffio: 21,7% contro il 21,5% conquistato dai socialdemocratici. Un’altra lista centrista segna il 18,6%. Contro ogni previsione, gli euroscettici di Ekre si devono accontentare del quarto posto, al 12%. 
Lussemburgo (6 seggi) Liberali in vantaggio con il 21,44% dei voti, ma solo di strettissima misura rispetto ai conservatori cristiano-sociali del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, che non superano 21,1%. I verdi toccano il 18,91%. 
Malta (6 seggi) I laburisti del premier Josef Muscat trionfano con il 55,9% dei voti, staccando di quasi 20 punti il partito nazionalista, che si ferma al 36,2%. 
 
Come si è votato sul territorio nazionale 
Europee, Lega primo partito con il 34%. Tracollo M5S, che si ferma al 17% 
Come ampiamente previsto, la Lega di Matteo Salvini è il primo partito alle elezioni europee. Con oltre il 34% a scrutinio quasi ultimato, il Carroccio incassa un risultato storico, che vale doppio se si considera che l’alleato di governo, il Movimento 5 Stelle registra un tracollo senza precedenti, fermandosi al 17% e subendo il tanto temuto sorpasso da parte del Partito Democratico, che risale fino al 22%. Tiene Forza Italia, che si attesta poco sotto il 9%, bene anche Fratelli d’Italia, che supera il 6%. Tutte le altre formazioni in lizza non superano la soglia di sbarramento del 4%. Il partito di Emma Bonino (finanziato da George Soros), +Europa si ferma al 3%. Europa Verde, invece, si attesta al 2%. 
La Lega conquista tre circoscrizioni su cinque, domina soprattutto nel Nord-Est ma anche nel Nord-Ovest e nel Centro Italia (i 5 Stelle resistono solo al Sud e nelle isole), sfonda anche in Emilia Romagna, è il primo partito nelle Marche in Umbria e nel Lazio. Ma è nelle grandi città che il Carroccio ancora non sfonda: da Roma a Milano, da Torino a Genova fino a Firenze, a vincere è il Pd. 
Il dato definitivo dell’affluenza è del 56,1 per cento contro il 58,6% delle Europee del 2014. Quindi c’è stato un calo di due punti e mezzo. Alle politiche – alla Camera – la partecipazione al voto era stata del 72,9. Il calo più netto, rispetto alle precedenti regionali, in Abruzzo: quasi 12 punti in meno rispetto alle precedenti Europee. In Sardegna il calo è stato di 6 punti circa, in Sicilia del 5. In Campania del 4. In controtendenza solo il Friuli Venezia Giulia (mezzo punto percentuale in più), la Valle d’Aosta (2 punti in più) e soprattutto il Trentino Alto Adige: quasi 7 punti in più. 
 
Ora a Palazzo Chigi può succedere di tutto 
Il rapporto di forza tra i due alleati di governo ora è rovesciato. Salvini assicura che il contratto non si tocca e che non ci sarà una crisi, ma che sarà necessario un cambio di passo. “Questo risultato – fanno sapere fonti della Lega – ci dà più forza per mettere al centro dell’agenda politica le nostre proposte”. Anche perché, complice la campagna elettorale, il governo è in stallo da settimane. “Una sola parola – scrive Salvini su Facebook mentre lo spoglio è ancora in corso – grazie Italia“. Con una crescita notevole rispetto alle elezioni politiche dell’anno scorso, la Lega ha raddoppiato i propri voti rispetto alle elezioni politiche del 4 marzo del 2018 quando alla Camera aveva incassato il 17,4%. “È chiaro che gli italiani si aspettano che ora il pallino sarà in mano alla Lega e starà a Salvini decidere”. Anche perché dal canto suo, il M5S a guida Di Maio rispetto al 32,7% alle ultime elezioni politiche, ha praticamente dimezzato i propri consensi sprofondando al 17,04%. Il Pd invece festeggia: “Si è invertita la tendenza” e il partito “è tornato a crescere”, fanno sapere dal Nazareno. E adesso i dem premono per tornare alle urne. 
 
Centrodestra rafforzato ma a Salvini (per ora) non interessa 
Dalle Europee esce fuori un centrodestra rafforzato.  
E Forza Italia, che ha incassato l’8,77% – pur non raggiungendo laa soglia psicologica del 10% – sottolinea che questa è la sola “alternativa al governo gialloverde”. Una soluzione auspiacata anche da FdI: “I patrioti italiani sbarcano nel parlamento europeo”, commenta con soddisfazione Giorgia Meloni. A conti fatti, la coalizione, che controlla la maggior parte delle Regioni del Nord Italia e governa in altrettante nel resto d’Italia, in caso di elezioni anticipate, potrebbe arrivare al 45-50% delle preferenze.  
Ma Salvini per adesso gela tutti: “Per me a livello nazionale non cambia nulla”. E rilancia la sua Flat tax al 15%. “Ovviamente non subito per tutti, ma la priorità è questa”. Dal canto loro, Di Maio e i 5 Stelle sono chiusi nel silenzio stampa. 
 
Di Maio e l’autoanalisi post voto: “Non mi dimetto. M5S penalizzato da astensionismo” 
Luigi di Maio convoca una conferenza stampa per fare il punto sulle elezioni appena trascorse. 
 
“Ringrazio chi non ci ha votato” 
“Voglio iniziare stamattina ringraziando i quattro milioni e mezzo che hanno votato Movimento Cinque Stelle: ringrazio anche chi non ci ha votato, perché dal loro comportamento impariamo e prendiamo una bella lezione. Faccio i complimenti alla Lega e al Pd e a tutti i partiti che hanno avuto incremento di voti. Spero rappresentino l’Italia in maniera compatta in Europa”. Poi Di Maio taglia netto, e arriva al punto: “Non parlo politichese: per noi le elezioni sono andate mai. Come forza politica i Cinque Stelle corrono una maratona, non i cento metri”. 
 
“Molti elettori si sono astenuti” 
Di Maio addossa il repentino calo dei voti e la batosta elettorale all’astensionismo: “Molti nostri elettori si sono astenuti. Abbiamo tante risposte da dare, promesse da mantenere e da realizzare sin dal 4 marzo 2018. Salario minimo orario, provvedimento per le famiglie che fanno figli e abbassamento delle tasse. Queste elezioni testimoniano che il tema delle tasse e dei diritti sociali sono al centro delle priorità degli italiani“. Una delle chiavi di “volta” per riguadagnare fiducia da propri elettori, secondo Di Maio, è una nuova linfa vitale all’interno del partito: “Mai come in questo momento c’è bisogno di umiltà e di lavoro: umiltà di apprendere dai risultati e dal voto degli italiani, ascoltando le voci del Movimento 5 Stelle”. 
 
E il M5S ha bisogno di “riorganizzazione” 
“E’ il momento di dare seguito alla nuova organizzazione, in questo momento il movimento ha bisogno di tutti e che tutti possano partecipare” dice il ministro dello sviluppo economico. Le risposte: “Riorganizzazione per portare movimento vicino ai territori. Organizzare incontri sul territorio. Tutelare identità del movimento a cui non rinunciamo”. Ma Di Maio mette le mani avanti sulla sua posizione di leadership: “Nessuno ha chiesto le mie dimissioni. Ho sentito Grillo, Casaleggio, tutti. Nessuno vuole che saltino teste, vogliamo un nuovo sprint da dare al movimento”. E quando dai giornalisti viene “pizzicato” sugli scontri principali che ha con l’alleato di governo (autonomia, tav e flat tax): “Il nostro principale alleato è il contratto di governo. Non ci pentiamo di aver chiesto le dimissioni di Siri”. 
 
La Lega vince nell’Italia profonda. Prima in provincia ma in nessuna delle grandi città 
Vincere con un consenso del 34%, dare 12 punti di distacco al secondo arrivato, 17 al terzo, senza però arrivare prima in nessuna delle dieci città più grandi d’Italia. E’ forse questo uno dei dati che meglio testimoniano l’affermazione della Lega, ma soprattutto di Salvini, eroe strapaesano che segna un ulteriore record: mai a memoria d’uomo era accaduto un fatto del genere nelle elezioni italiane.  
E’ forse la rappresentazione più cristallina della formula ormai un po’ stantia dell'”alto contro il basso”, anche se in questo caso suona più corretto dire il “centro contro la periferia”.  
E se ridotti piddini come il cuore dell’internazionale Milano o i municipi della Roma bene erano ormai dati acquisiti, altri lo sono un po’ meno. 
 
Nelle grandi città Salvini perde sempre tra il 4 e il 7% 
La lega arriva seconda a Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze dietro al Pd. Nel meridione, dove il primo posto è ancora del Movimento 5 Stelle, arriva seconda a Bari e terza a Napoli, Catania e Palermo. In queste provincie la Lega prende dai 4 ai 7 punti in più rispetto al voto relativo al solo territorio del Comune capoluogo: è primo partito infatti in tutte e tre le province del fu “triangolo industriale” del nord ovest e anche in quella di Roma. Nella Capitale la dinamica “centro vs provincia” è evidente anche all’interno dello stesso Comune, con la Lega che prende il 18 per cento nel I Municipio e il 36% nel VI (quello di Torre Maura). Anche nei grandi centri del Sud la Lega perde tra i 4 e i 7 punti nei comuni capoluogo rispetto al dato dell’omonima provincia. E i competitor della Lega in città recuperano sempre, anche fino a 15 punti percentuali. 
 
L’Italia subalterna 
Ovviamente la statistica delle grandi città risente dell’assenza dei centri veneti nelle prime dieci posizioni. Ma anche a Venezia e Verona, rispettivamente undicesima e dodicesima città italiana per popolazione, il trend è lo stesso. La Lega arriva sì prima nelle due principali città venete, ma raccogliendo “solo” il 37% rispetto alla media regionale che sfiora il 50%. Più che le “classi subalterne” come dice Gad Lerner (sottintendendo “i poveri e gli ignoranti”), è l’Italia subalterna ad affidarsi a Salvini. 
Quella fuori dalla narrazione dei media, che non si scalda certo per casi mediatici come il Salone del libro o le manganellate ai giornalisti di Repubblica, che non capisce perché un tot di persone hanno iniziato a mascherarsi da Zorro e che non si “indigna” se Salvini bacia il rosario, si affida a Maria e invoca i santi. Anzi, probabilmente lo trova familiare e “vicino”. E anche nel campo religioso nel consenso vince il basso (la fede popolare), contro l’alto (la Cei, Bergoglio), la periferia contro il centro (il Vaticano). Stesso discorso vale per Lampedusa, Riace e Capalbio, piccoli centri, “periferie”, trascinati loro malgrado al centro dell’attenzione mediatica sull’accoglienza. Luoghi dove Salvini ha preso “a sorpresa” percentuali bulgare. A ribadire ancora una volta che la realtà dei numeri sconfigge sempre le “narrazioni” ad uso dei buonisti. 
 
Autonomia, Flat tax e Tav. Adesso Salvini batte cassa. E il M5S muto 
“Luigi Di Maio lo sento già oggi e il primo tema sarà il fisco, la riduzione delle tasse. Il nostro risultato ci dà più forza per mettere al centro i nostri temi: dalle infrastrutture alla Flat tax“. E’ in queste parole del vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini la cifra della prosecuzione del governo gialloverde: l’agenda sarà dettata dal leader della Lega. Oppure niente, tutti a casa.  
Salvini spiega che la sua “ambizione” è di interagire “con tutte le categorie produttive di questo Paese, da Confindustria, a Coldiretti e Confagricoltura, per scrivere insieme la manovra economica”. Quindi, secondo il titolare del Viminale, l’esperienza di governo prosegue almeno fino alla prossima legge di Bilancio. 
 
Equilibri di maggioranza ribaltati 
“Ho sentito il presidente del Consiglio. Ribadisco che la lealtà della Lega al contratto e al governo non è mai stata in discussione”, ha assicurato Salvini nella conferenza stampa post voto. Ma ha anche parlato di due dei temi chiave del Carroccio: “Si va avanti, questo gli italiani ci chiedono, abbiamo già il cronoprogramma”, ha continuato citando “l’Autonomia, che ha un testo base pronto e che è un tema che unisce” e le “grandi opere”. Poi il vicepremier ha evocato la “bestia nera” per i 5 Stelle: “Questo voto italiano e francese permetterà all’Europa di investire ancora più soldi sui grandi opere, come la Tav e altre infrastrutture stradali, portuali e aeroportuali. E’ un mandato chiaro: andate e fate”. 
 
“I no dei 5 Stelle ora devono diventare sì, a partire dalla Tav” 
Sulla stessa linea gli altri esponenti del Carroccio. “Questi no adesso devono diventare sì. Per esempio la Tav“, ha detto il sottosegretario del Mef Massimo Garavaglia a Radio24. “Ci veniva detto di no su cose per noi logiche: la riduzione ulteriore dell’Ires al 20 per cento, la riduzione dell’Imu sui capannoni e la stabilizzazione delle riduzioni del premio Inail per farlo diventare eterno”. Stessa posizione anche per il presidente della commissione Bilancio alla Camera Claudio Borghi: “L’opera va rivista, la rivedremo, ma mi pare ci sia l’intenzione, penso che alla fine la considerazione sia che si deve fare”. Ha parlato di Autonomia anche il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana: “In Veneto abbiamo preso il 50%. L’Autonomia non è più rinviabile. C’è scritto nel contratto di governo. Mi sembra che, purtroppo, nelle ultime settimane e negli ultimi mesi ci siano stati un po’ troppi intoppi, forse qualcuno anche un po’ strumentale. Non funziona, nel senso che noi dobbiamo avere l’Autonomia in fretta per il Veneto”.  
E ha aggiunto: “Il nostro ministro Erika Stefani (con delega agli Affari regionali, ndr) è in gamba e ha fatto tutto quello che doveva fare. E’ il momento di risolvere se ci sono dei piccoli intoppi. E’ una cosa che con il voto si segnala in maniera forte”. 
Il titolare del Viminale: “Voto di ieri risposta a come faccio il ministro” 
E a proposito del voto, Salvini – dopo aver detto 9 milioni di grazie nel consueto video social – evidenzia: “Penso che il voto di ieri sia stata anche una smentita a quelli che imputavano a me una gestione di parte del ministero dell’Interno, gli italiani sono persone serie, se ti danno 9 milioni di voti, vuol dire che stai facendo discretamente il tuo lavoro da ministro“. 
 
Salta l’assemblea congiunta M5S 
Intanto, sul fronte pentastellato, salta la riunione convocata dal capo politico del M5S Di Maio, che ha dato mandato ai capigruppo di Camera e Senato di convocare un’assemblea congiunta dei rispettivi gruppi parlamentari.  
La replica infatti è stata che vista la difficoltà segnalata da molti parlamentari di raggiungere Roma in serata, l’assemblea è spostata a mercoledì 29, sempre alle 20.30 e sempre nell’Auletta dei gruppi a Montecitorio. 
 
Boom della Lega, la sinistra impazzisce: Lerner incolpa i “poveri”, Raimo vuole espatriare 
La sinistra italiana tace sui social. Forse si devono tutti riprendere dalla batosta della Lega primo partito in Italia, forse non sanno davvero cosa dire. E forse è meglio che stiano in silenzio, se poi la comunicazione scende a livelli del tweet di Gad Lerner, ad esempio, o ai mal di pancia di Christian Raimo – che da ieri notte sembra in preda ad una crisi di astinenza da benzodiazepine. 
 
I miei cari inferiori 
Mentre l’Huffington apre con foto ducesca di Salvini titolando “Mai così a destra” e Repubblica gli faceva eco con un melodrammatico “Ombre nere”, Gad scrive: “L’Italia leghista è un rivolgimento profondo, sociale e culturale prima ancora che politico, come testimonia il voto nelle ex regioni rosse. Già in passato le classi subalterne si illusero di trovar tutela nella trincea della nazionalità. Non finì bene”.  
Con quel “subalterne” che regalerebbe altri due o tre punti percentuali a Salvini, potendo tornare indietro nel tempo, e che dà l’esatta motivazione di quel 34% di consensi raccolti dal Carroccio.  
Sì ok, il luogo comune della sinistra che odia i popolo, ormai è persino scontato ripeterlo; ma di fatto, quel “subalterni”, cos’altro è se non il “cari inferiori” di quel Direttore Magistrale Duca Conte PierMatteo Barambani di fantozziana memoria?  
“Sono anche democratico, la mia famiglia siete voi poveracci! Voi disgraziati! I miei cari inferiori, perché come voi ben sapete amo molto i pezzenti!”.  
Ma forse Barambani ci metteva meno disprezzo. Per lo meno, il Duca Conte aveva concesso a Fantozzi l’onore di salire sulla barchètta. 
 
Dal quartier generale di Christian Raimo invece si segnalano forti episodi disforici nell’arco delle ultime 15 ore.  
Ogni ora, come un bollettino medico, viene scandita dai suoi commenti, in una sinusoide di stati mentali tra l’isteria e lo scoramento.  
“Nell’incertezza dei prossimi mesi politici sto fondando un movimento Sì Tavor“, post preceduto da foto del Vaticano corredata da didascalia: “Comunque, alle brutte, io prendo il 64 e espatrio”.  
Raimo prosegue impeterrito: “Il Pd prende il 40 per cento a Corso Trieste, la Lega il 40 per cento a Tor Bella Monaca. Capire qual è la lotta da fare non è difficile“.  
Probabilmente quando scrive “lotta” si riferisce al sogno di abolire il suffragio universale per tutti i residenti che abitano oltre la circonvallazione Salaria.  
Non manca poi nemmeno la stoccatina a pentastellati: “Spero che dopo aver finito il duro lavoro di lavanderia di voti per l’estrema destra, i pentastellati facciano un seppuku di massa”.  
 
Confido nella tua affermazione di voler espatriare caro Raimo: Buon viaggio! 
 
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