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Andiamoci piano col “pressappoch
Andiamoci piano col “pressappochismo” da social 
di Ninni Raimondi
 
E’ un fenomeno preoccupante che sta prendendo piede tra i giovani dai 20 ai 30 anni. Per brevità, lo chiameremo così: “pressappochismo”. Non è da prendere alla lettera. Non si tratta, infatti, della tendenza di alcuni a lasciare le cose a metà. “Pressappochismo” è mutuato da una pagina e da un gruppo su Facebook, di base a Roma, in cui gli utenti raccontano le proprie esperienze. 
 
“Pressapochismo is the way”, fenomeno social 
In poco tempo, sia il gruppo che la pagina sono diventati un vero fenomeno: la pagina conta oltre 200mila fan e il gruppo un altro migliaio di appartenenti.  
Secondo quanto esposto dagli stessi amministratori del gruppo nelle regole, “sto gruppo nasce, cresce e dorme pe condivide i momenti strani della vita o quelli più ordinari, recensioni di film, aneddoti e storie, l’importante è raccontarli bene e che abbiamo alla loro base l’ironia”.  
Allora, come già potete dedurre da queste poche righe, l’appartenenza territoriale viene esasperata per implementare la vis comica. Poi, si parla di contenuti: recensioni di film, aneddoti e storie. Ecco. Aneddoti: forse, all’inizio (e in parte ancora adesso) gli aneddoti narrati dai ruspanti membri e fan di Pressapochismo erano veri. Adesso, e ormai da molto tempo, appaiono esagerati, inverosimili e, in breve, finti. Perché? Forse perché la vita quotidiana offre in realtà ben pochi aneddoti da cui attingere in brevi lassi di tempo, che siano allo stesso tempo divertenti e accattivanti. 
 
L’inverosimile “realtà” social 
Per cui, si arriva a racconti come quello della coppia dai cognomi Recupero e Negri che si sposa e fa la lista nozze in agenzia di viaggi, cosicché un incauto invitato intesta il bonifico “Recupero Negri in Africa”, quello dell’arabo al Caf che confonde Isis con Isee e il padre che torna piangendo da cinema facendo preoccupare la figlia per poi scoprire che ha visto l’ultimo film degli Avengers.  
Tutto, naturalmente, condito con questo romanesco spinto ai limiti dell’inverosimile ma che, sull’utenza media dei social network, fa presa in termini di credibilità – un po’ come Maurizio Battista e le sue captatio benevolentiae al sapor di amatriciana nei confronti del pubblico, con i suoi “n’é vero signò?”. Dialoghi improbabili che spesso si svolgono tra genitori impacciati con la tecnologia e i figli, fidanzati che impersonano tutti il prototipo dell’uomo medio assetato di tette e incapace di elaborare un pensiero complesso: tutto questo è andato a sostituire, forse, le barzellette. Ai tempi del social, una cosa non fa ridere in quanto costruita con fantasia, talento e tempi comici: fa ridere solo se è anche vera – o spacciata per tale. 
 
Ma non finisce qui 
Questo morbo del Pressappochismo sui social non si ferma, però, solo alla pagina e al gruppo: è anche nelle vostre home.  
Si, anche quando fate scrolling sulla vostra finestra social sul mondo, piena di artisti, personaggi impegnati politicamente, tatuati, reietti della società, gente di una “certa cultura” vi imbattete nel pressapochismo. I romani, ovviamente, fanno scuola: fateci caso, nei quartieri degli altri romani, anche quelli più “difficili”, non c’è mai il disagio abbrutente, solo quello divertente. Io, ad esempio, due giorni fa ho visto un barbone prodigarsi in una copiosa minzione in strada: non esiste un modo di raccontarlo in maniera divertente, no? Nei quartieri dipinti dai “pressappochisti” invece c’è in perpetuo il set di un film anni ottanta di Verdone, la litigata al semaforo, il simpatico bottegaio dalla battuta pronta. A questi episodi, però, non è mai presente nessun altro “testimone”. Non c’è mai un amico in macchina insieme al protagonista che ha assistito a queste scenette divertenti, che commenti sotto e smentisca e/o confermi la sua narrazione. 
 
E i bambini degli altri sono tutti “geni” 
Da questo punto di vista, ovvero la libertà di invenzione derivante dalla totale assenza di contraddittorio, le mamme sono le migliori.  
Il dilemma è antico: i bambini di oggi sono più intelligenti, più svegli, oppure eravamo così anche noi, solo che non lo ricordiamo? A sentir parlare i nostri nonni, eravamo bambini in grado di dare risposte spiazzanti. Allo stesso tempo, però, tutti erano pronti ad ammettere che spesso si trattava di ripetere a pappagallo ciò che sentivamo dai più grandi.  
Gli aneddoti più ricorrenti, infatti, nella vita di noi cresciuti “fuori” da internet, spesso sono riferibili a incomprensioni dovute alle nostre ingenuità, che comportavano imbarazzanti faccia a faccia con la realtà. 
 
Aneddoti senza “testimoni” 
Adesso, invece: i figli degli altri, sin dalla più tenera età, hanno gusti completamente mutuati dai genitori. Se i genitori ascoltano il “ruock”, ad esempio, loro non solo asseconderanno i gusti dei parenti, ma li faranno propri, con richieste da veri intenditori, del genere: “Mamma, metti un disco di qualche side project di Mike Patton, ma non quello di Mondo Cane, metti i Mr Bungle!”.  
Se il padre è un appassionato di Nolan, il bambino su internet dirà: “Papà, metti quel film con il papà che viaggia nel tempo che mi piace tanto?” (perché fargli dire “metti Interstellar” suonerebbe troppo poco “credibile”).  
Tutto questo viene raccontato con un candore disarmante, alla ricerca dell’effluvio di like e commenti entusiasti a corredo di altre mamme e altri papà: leggiamo queste narrazioni “pressapochiste” sui nostri smartphone, per poi girarci e vedere, magari, il nipote adorato, della stessa età dei bambini rappresentanti, seduto in terra, il volto cosparso di muco, mentre piange per l’ennesima testata presa allo stesso mobile – non c’è ombra di richieste di ascoltare musica “ruock” o di avere letta come favola della buona notte la saga di Gilgamesh.  
 
I bambini degli altri sono tutti geni, il nostro è fallato, o forse il protagonismo dei nostri contatti social è arrivato al punto di non ritorno? 
Licenza Creative Commons  10 Giugno 2019
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