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Eroi dimenticati
Eroi dimenticati:  
Giorgio Compiani, l’aviatore della battaglia di mezzo giugno 
Domenico Ferrari, il primo martire mazziniano 
Guido Brunner, il “disertore” 
 
di Ninni Raimondi
 
Giorgio Compiani 
La battaglia di mezzo giugno fu uno scontro che si consumò nel Mediterraneo tra il 12 ed il 16 giugno 1942. Le flotte e le aeronautiche italiane e tedesche riuscirono a tenere testa alla Royal Navy inglese e alle truppe australiane e polacche che pattugliavano l’area. Tuttavia, non tutti tornarono vivi da quella settimana di scontri. 
 
L’audace parmigiano Giorgio Compiani 
Siamo a Parma, il 15 ottobre 1915. La prima guerra mondiale infuria nel Nord Italia ma, nella città emiliana, è festa in casa Compiani. Giorgio Compiani venne alla luce in un periodo funesto, travagliato per la storia d’Italia. La sua giovinezza fu segnata dalla guerra, dagli scontri civili tra rossi e neri e da tutte le controverse facce dei primi anni del fascismo in terra emiliana. 
Tuttavia, Compiani – nel febbraio 1936 – compì il grande passo e decise di arruolarsi nella Regia Aeronautica una volta terminati gli studi nella vicina Reggio Emilia. Nel giro di pochi mesi venne mandato in Veneto, a Padova per la precisione, in rinforzo alle truppe del 21° Stormo. Non attese altre chiamate prima di offrirsi volontario per la Spagna durante la sanguinosa guerra civile combattuta tra i nazionalisti ed i repubblicani. Tornato in Italia dopo il 1938, Giorgio Compiani continuò il suo percorso di formazione ottenendo la nomina a sergente maggiore e frequentando la scuola per bombardieri. 
 
Ma quale malattia 
Giorgio Compiani venne assegnato alla 252° Squadriglia del 46° Stormo pronto a partire per lo scenario della guerra in Libia. Tuttavia, la sua trasferta nel deserto sembrava compromessa a causa di una grave ulcera duodenale. Per questo motivo, il giovane pilota venne fatto rientrare in Patria. Compiani non voleva perdersi lo scontro e la gloria e, per questo motivo, finse di essersi rimesso e ordinò ai medici di non operarlo. 
Nel giro di pochi giorni lo ritroviamo ancora in Libia, il 14 giugno 1942. Quel giorno decollò assieme al tenente Mario Ingrellini per distruggere la portaerei inglese Eagle. La portaerei, però, era dotata di un’ottima antiaerea che colpì il velivolo dei due eroi italiani. 
 
Compiani e Ingrellini trovarono la morte in mare ed, in loro onore, venne tributata loro la medaglia d’oro al valor militare.  
Su quella di Giorgio Compiani leggiamo: “Capo equipaggio di aerosilurante rifiutava il ricovero in ospedale e, benché sofferente per grave malattia, chiedeva di partecipare ad una azione particolarmente rischiosa contro un convoglio nemico potentemente scortato. Prima di partire lasciava uno scritto al proprio comandante affermando che non avrebbe lasciato il cielo della battaglia se non dopo aver colpito la nave portaerei segnalata. Avvistata la formazione navale nemica si portava all’attacco dell’obbiettivo prescelto e non desisteva pur in mezzo al violento fuoco delle armi contraerei delle navi e di quelle degli apparecchi da caccia nemici. Sganciato il siluro contro la portaerei da distanza ravvicinata e colpitala gravemente, ormai certo che il proprio mezzo non gli avrebbe consentito di tornare alla base perché seriamente danneggiato, si lanciava contro la fiancata di altra unità da guerra nemica in un ultimo sublime olocausto”. 
 
Domenico Ferrari 
Domenico Ferrari, il primo martire mazziniano 
La figura dei patrioti è molto importante per la storia di qualsiasi Paese. E’ attorno alla figura dei patrioti, infatti, che il colore politico può essere messo in secondo piano ed uno spirito di patriottismo scorre nelle vene di ogni suo appartenente. 
 
Il ligure di Piemonte 
Taggia è un piccolo comune in provincia di Imperia, in Liguria, all’estremo ovest dell’Italia. Nell’ ‘800, questo Paese era parte integrante del Regno di Sardegna e, come in ogni Stato, tutti i giovani dovevano dare il proprio appoggio alla causa della sicurezza. Tra di loro vi era anche un giovane studente del liceo classico, il ligure Domenico Ferrari. 
Ferrari venne assegnato al 1° Reggimento della Brigata Cuneo che era situato ad Alessandria. La sua ascesa tra i gradi dell’esercito fu rapida ed inesorabile. Nel giro di pochi anni, infatti, Domenico Ferrari divenne sergente furiere, uno dei massimi gradi tra i sottufficiali. 
Ma l’esercito fu un luogo anche di “cattive amicizie” per Ferrari. Ivi, infatti, incontrò un suo concittadino da molto più tempo di lui inserito tra i ranghi dell’esercito, il sottotenente Paolo Pianavia – Vivaldi, iscritto alla Giovine Italia. Anche Ferrari, rimasto ammaliato dalle parole di Vivaldi, entrò a far parte di questa organizzazione all’oscuro dei suoi superiori. 
 
La cospirazione 
La Giovine Italia ebbe un successo strepitoso tra gli ufficiali ed i sottoufficiali sabaudi. Ma non fra tutti. Molti, infatti, videro questo movimento come un pericolo per la figura del re e, pertanto, misero fuorilegge sia il movimento, sia i suoi scritti tra i quali libri e giornali, sia i membri aderenti. Domenico Ferrari venne scoperto ed imprigionato quasi immediatamente. 
Con lui venne imprigionato anche l’amico Pianavia-Vivaldi.  
A Ferrari fu proposto di ottenere uno “sconto di pena”, da pena di morte ad ergastolo, se solo avesse scritto una lettera di scuse direttamente al Re. Anche il padre del giovane soldato lo pregò di seguire questa via, seppur umiliante. Ma lui si rifiutò. Il 15 giugno 1833 Domenico Ferrari venne fucilato al sorgere del sole. Il suo fu il primo martirio nel nome della Giovine Italia di Mazzini. 
 
Guido Brunner 
Guido Brunner, il “disertore” 
Certo un titolo così accattivante non passa certo inosservato. I disertori erano personaggi odiati, traditori e fuggitivi, sbandati. Altri, però, erano personaggi caduti meno nell’in-group bias, la credenza a sovrastimare l’appartenenza ad un gruppo piuttosto che un altro, di regime e destavano il loro sguardo oltre l’apparenza. 
 
Tutta colpa dello zio 
Nacque a Triste nel febbraio del 1893 Guido Brunner, rampollo di una nobile famiglia triestina. Condusse una vita agiata e poté godere di un’ottima istruzione ma, allora, perché costui sarebbe un eroe? Perché riuscì a ribellarsi all’idea paterna. Rodolfo Brunner, infatti, era un devoto suddito dell’Impero Austro-Ungarico ed era pronto a mandare il proprio giovane figlio a combattere contro gli italiani nel caso fosse scoppiata una guerra. 
Il fratello della madre di Guido Brunner, Salvatore Segrè, non era della stessa idea. Lui che, nel 1924 diverrà senatore fascista, era pienamente convinto dell’importanza della guerra contro gli austriaci per l’unificazione all’Italia di tutte le terre che, un tempo, italiane lo erano. 
Brillante studente, Brunner fu costretto a lasciare gli studi alla nemica Università di Bologna e partire per la preparazione militare sui Carpazi. Da qui, però, memore delle parole dello zio, scappò e si rifugiò in Italia dove non attese un secondo ad arruolarsi. 
 
La morte sventata 
Quando iniziarono le ostilità, Guido Brunner si mise in prima linea ma la poca esperienza in ambito bellico lo fecero subito preda dei nemici che lo imprigionarono. La sentenza fu chiara: morte per fucilazione. Solo un ultimo intervento dell’imperatore gli salvò la vita. Dissuaso in ogni modo da ogni persona e da ogni personaggio, fu tutto inutile: Brunner scappò dalla sua tenuta a Forcoli e raggiunse i suoi compagni al fronte. 
La sua ultima azione fu quella condotta in forza al 152° Reggimento Fanteria l’8 giugno 1916.  
In suo onore gli venne concessa la medaglia d’oro al valor militare: “Comandante di plotone, nella difficile contrastatissima difesa di Monte Fior, conscio della suprema importanza del momento, resistette, impavido, nella linea del fuoco per dodici ore, dirigendo ed animando col suo entusiasmo il proprio reparto ed altri rimasti senza ufficiali, accorrendo ove maggiore era il pericolo, sempre audace, sereno, instancabile, finché colpito al cuore, cadde gridando: “Qui si vince o si muore! Viva l’Italia”. 
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