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Le considerazioni
Le considerazioni: L'italiano sconosciuto, la sovranità diventa cartastraccia, partecipazione e questione sociale 
di Ninni Raimondi
 
 
    
 
L'italiano sconosciuto, sovranità cartastraccia 
Italiano questo sconosciuto:  
studenti sempre più ignoranti. Male anche in Matematica 
I nostri studenti sono sempre più ignoranti, soprattutto in Italiano. Ma vanno male anche in Inglese e Matematica. E’ l’impietoso quadro che emerge dal Rapporto nazionale prove Invalsi 2019, presentato oggi alla Camera dei deputati. I dati mostrano – secondo un ottimista ministro dell’Istruzione Marco Bussetti – “oltre ad alcuni innegabili segnali di preoccupazione”, “anche tendenze incoraggianti e spunti di immediato intervento migliorativo”. Dal Rapporto emerge un quadro differenziato sul livello di apprendimento degli studenti della terza media: grave, soprattutto, la situazione al Sud in Matematica ed Inglese. 
 
L’Italiano questo sconosciuto 
Il report illustra come la percentuale di alunni che in Italiano non raggiunge il livello minimo di adeguatezza indicato dalle linee guida nazionali è del 30% al Nord Ovest, del 28% al Nord Est, al 32% al Centro, del 40% al Sud e del 46% nel Sud e Isole. La comprensione di un testo di Italiano è un problema per il 35% degli studenti italiani di terza media. I risultati peggiorano se si scende nel Sud Italia, l’Italiano è un problema per il 50% degli alunni calabresi e per oltre il 40% di quelli campani, siciliani e sardi. In Matematica il quadro peggiora e appare ulteriormente differenziato fra le diverse aree del Paese: la percentuale di alunni che non arriva al livello minimo è del 32% nel Nord Ovest, del 28% nel Nord Est, del 35% nel Centro, del 48% nel Sud e del 56% nel Sud e Isole. In Inglese – secondo una triste tradizione di ignoranza in materia – la quota di studenti al terzo anno delle scuole medie che non arriva al livello prescritto (A2) è del 30% nel Nord Ovest, del 25% nel Nord Est, del 35% nel Centro, del 54% nel Sud e del 61% nel Sud e Isole. 
Il sistema scolastico funziona di meno al Sud 
Il sistema scolastico nell’Italia meridionale e insulare – dati alla mano – continua pertanto ad essere meno efficace in termini di risultati conseguiti rispetto all’Italia centrale e soprattutto settentrionale. Le differenze sono state riscontrate anche in termini di equità del sistema: la variabilità dei risultati tra scuole e tra classi nel primo ciclo d’istruzione è “consistente e in ogni caso più alta che al Nord e al Centro, così come sono più alte le percentuali di alunni con status socio-economico basso che non raggiungono livelli adeguati nelle prove. In particolare, destano forti preoccupazioni gli esiti di alcune regioni: Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna“, si legge nel Rapporto. “Tuttavia, rispetto al 2018, alcune variazioni in positivo si osservano nelle quote di alunni che raggiungono i traguardi previsti al termine del primo ciclo d’istruzione e del biennio del secondo ciclo, in particolare nella macro-area Sud”. 
 
Presenza e rendimento degli studenti stranieri 
La distribuzione degli studenti immigrati fra le varie zone dell’Italia è tutt’altro chhe uniforme. Il report illustra come nelle due macro-aree del Nord la percentuale di alunni stranieri registra valori a due cifre, mentre nelle due macro-aree del Sud e delle Isole è intorno al 3% (ad ulteriore conferma che ad andare male sono proprio gli studenti italiani). La presenza degli alunni stranieri è quasi ovunque maggiore nella scuola primaria rispetto alla secondaria di primo e secondo grado. “In tutti i gradi scolari – si legge nel rapporto – gli alunni stranieri ottengono in Italiano e in Matematica punteggi nettamente più bassi di quelli degli alunni italiani. Le distanze tra gli uni e gli altri tendono però a diminuire nel passaggio tra la prima e la seconda generazione d’immigrati e nel corso dell’itinerario scolastico, in particolare in Matematica, materia dove ovviamente pesa di meno la padronanza della lingua del Paese ospitante: in terza secondaria di primo grado, classe terminale del primo ciclo d’istruzione, la differenza tra italiani e stranieri di seconda generazione è, a livello nazionale, di 18 punti circa in Italiano e di 9 punti in Matematica”. 
 
In Inglese gli immigrati vanno meglio degli italiani 
La sola materia dove gli alunni stranieri conseguono risultati simili a quelli dei loro compagni italiani è l’Inglese. “Anzi, in varie regioni, gli stranieri, in particolare di seconda generazione e nella prova di ascolto, fanno meglio degli italiani. È probabile che molti di essi abbiano occasioni di apprendimento dell’Inglese anche fuori dalla scuola – il report illustra -, in famiglia o nella loro comunità, specie quando essa sia originaria di Paesi dove questa lingua è comunemente parlata”. 
 
Maschi e femmine: chi va meglio e chi va peggio 
In generale le ragazze tendono a essere più brave nelle materie linguistiche, mentre i ragazzi in Matematica. In quinta elementare le femmine superano i maschi di ben 9 punti in Italiano, mentre in Matematica i maschi hanno un punteggio più alto di 6 punti. In Inglese, sia nell’ascolto che nella lettura, le bambine conseguono un risultato migliore, superando i bambini di 4 punti nel primo caso e di 6 punti nel secondo. In terza media, la differenza tra maschi e femmine si attesta a 9 punti in Italiano e a 3 punti in Matematica, a vantaggio nel primo caso delle femmine e nel secondo dei maschi. In Inglese, come già in quinta primaria, le femmine ottengono un punteggio più alto dei maschi di 7 punti nella prova di ascolto e di 8 nella prova di lettura. Durante il quinto anno di superiori, in tutte le tipologie di scuola, i maschi continuano ad ottenere un risultato significativamente migliore di quello delle femmine in Matematica. Tuttavia il rapporto evidenzia come, in Italiano e nelle due prove d’Inglese le differenze diminuiscano, con risultati statisticamente irrilevanti. 
 
 
 
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Così la sovranità diventa cartastraccia: Analisi giuridica del caso Sea Watch 
La decisione del Tribunale di Agrigento di non convalidare l’arresto della “capitana” Rackete, anche a distanza di qualche giorno, quando sembra ormai placata la tempesta mediatica, continua a far sorgere serie perplessità. Anche perché, proprio quando si spengono i riflettori, si possono percepire meglio i termini della questione, che rappresenta un ingombrante precedente per il futuro. Osservando la vicenda dal punto di vista giuridico, l’ordinanza, anche se confrontata con le miti richieste della Procura, presta il fianco a molteplici critiche. 
 
Non convalidare l’arresto, una scelta discutibile 
Già la decisione di non convalidare l’arresto, è provvedimento piuttosto raro nella prassi, poiché sconfessa in radice l’operato delle forze dell’ordine. Al di là di tale elemento di colore, poi, si potrebbe discutere sulla scelta di prestare tanta fiducia alle dichiarazioni della stessa indagata o di non tenere in considerazione la scelta del capitano, pure rilevante per la valutazione della situazione di emergenza che si è creata a bordo della nave, di decidere, di propria iniziativa, quale fosse il porto sicuro verso il quale dirigersi, disattendendo le indicazioni ricevute. 
Tutti aspetti che, come detto, destano perplessità, ma che, nel nostro ordinamento, ben possono – o, almeno, potrebbero essere corretti – con le impugnazioni che il codice prevede per contestare i provvedimenti giudiziari. E’, dunque, compiendo un ulteriore passo o inquadrando la situazione in una prospettiva più ampia di quella che dischiude l’analisi del singolo episodio, che si disvelano le problematiche più complesse, che, a prescindere dal caso concreto, possono determinare ancora criticità. Ora, ad esempio, diviene sempre più stringente la necessità di fare chiarezza sul potenziale conflitto tra l’obbligo di soccorso che sussiste in capo al comandante di ogni nave e il diritto degli Stati limitare l’accesso al proprio territorio marittimo. 
Casi come quello della Sea Watch 3 possono ripresentarsi e il problema non può essere certo risolto dando prevalenza assoluta al primo. La soluzione si colloca in una posizione intermedia, nel contemperamento tra i due interessi. Dunque, se gli Stati sono tenuti a garantire il diritto di soccorso dei naviganti per la tutela della loro integrità fisica, conservano altresì il potere di esercitare tale obbligo entro i limiti ritenuti necessari per “la pace, il buon ordine e la sicurezza” nazionale. E, in questa ottica, il comandante che – attivatosi per il salvataggio di immigrati clandestini – ignori o aggiri le indicazioni e gli ordini delle autorità statali compie senz’altro un abuso. 
 
La lezione alla sovranità nazionale 
Ma la tematica più delicata, che costituisce il vero punto critico, è la lesione della sovranità nazionale che si è consumata. Lo sbarco della Sea Watch 3 nel porto di Lampedusa, infatti, rappresenta, in maniera più plastica e inequivocabile, il conflitto tra l’autorità dello Stato italiano e una organizzazione non governativa, che opera nel Mediterraneo battendo bandiera olandese. 
La scelta di entrare in acque territoriali italiane, la decisione di insistere, nonostante anche la Corte europea dei diritti dell’Uomo avesse respinto il ricorso della Ong, e, infine, la decisione di attraccare ad ogni costo, testimoniano la ferma volontà di forzare l’indirizzo che lo Stato italiano ha assunto in materia di immigrazione. Dunque, è proprio in quest’ultima prospettiva, che l’ordinanza del giudice agrigentino può creare più gravi complicazioni per il futuro, qualora altri capitani decidessero di emulare il gesto della Rackete. 
 
 
 
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Partecipazione e questione sociale: la grande sfida del sovranismo 
Benché tutti ne parlino, sono ben pochi coloro che riescono a inquadrare il sovranismo come categoria politica. Soprattutto se lo osserviamo dal punto di vista della questione sociale: spesso, infatti, i partiti cosiddetti «euroscettici» propongono ricette economiche che non si discostano affatto dal paradigma (neo)liberista. Mercato autoregolato, conti in ordine, demonizzazione del deficit, flessibilità del lavoro e marginalismo sono «mitemi» macroeconomici condivisi praticamente da tutti, globalisti e – veri o presunti – sovranisti. Eppure, senza sovranità economica, senza controllo delle leve macroeconomiche di uno Stato, è sostanzialmente impossibile parlare di sovranismo. Ed è proprio da questo che bisogna ripartire: primato della politica, ricette postkeynesiane e partecipazione. 
 
Un dibattito centrale 
Sono un paio di settimane che, negli ambienti più sensibili della nebulosa sovranista, è in corso un dibattito su uno storico cavallo di battaglia della «destra sociale», ossia la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. L’impulso è venuto da un articolo di Mario Bozzi Sentieri pubblicato su Barbadillo, a cui hanno risposto Francesco Carlesi su Destra.it e Francesco Guarente su L’intellettuale dissidente. È un dibattito del massimo interesse e che va salutato con favore, proprio perché è sulla questione sociale che si misureranno la serietà e la tenuta del sovranismo. Se veramente si vuole costruire un’alternativa al globalismo e ai dogmi neoliberisti, infatti, questa alternativa non può che essere radicale. Anche in economia. Questo la sinistra sovranista, per quanto minoritaria, l’ha capito. A «destra», invece, si tende purtroppo a parlare più di flat tax che non di partecipazione. 
 
Partecipazione e avanguardia 
Eppure è proprio la tradizione politica della «destra sociale» – come hanno ben ricordato i partecipanti al dibattito – che mostra una ricchezza invidiabile su questo tema. Dalla socializzazione delle imprese alle proposte di Gaetano Rasi, la «terza via italiana» continua a essere rivoluzionaria per due motivi. Innanzitutto, perché la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese non si esaurisce in un paradigma economico, ma possiede un significato più specificamente politico: l’inclusione del cittadino/produttore nello Stato, ossia la sua partecipazione attiva e costante alla politica nazionale. In secondo luogo, perché un sistema economico-politico alternativo genera ipso facto un’alternativa anche sul piano internazionale. La «terza via» ha infatti sempre posto l’Italia all’avanguardia in campo sociale, aprendo scenari di politica estera impensabili per una nazione a sovranità limitata. Pensiamo solo a Enrico Mattei e ai rapporti dell’Eni con il mondo arabo. Insomma, la libertà, la sovranità e la forza dell’Italia passano anche da qui: da una ripoliticizzazione dei lavoratori italiani e da una rinnovata proiezione dell’Italia sullo scacchiere geopolitico mondiale. Tout se tient.   
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