Servizio  
 
 
 
Questo Sito non ha fini di lucro, né periodicità di revisione. Le immagini, eventualmente tratte dal Web, sono di proprietà dei rispettivi Autori, quando indicato.  Proprietà letteraria riservata. Questo Sito non rappresenta una Testata Giornalistica in quanto viene aggiornato senza nessuna periodicità. Pertanto non può essere considerato, in alcun modo, un Prodotto Editoriale ai sensi e per gli effetti della Legge n.62 del 7 Marzo 2001.
 
 
Scarica il PDF della situazione
Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.
Interni
Esteri
Cultura
Parolatio
Fondato e diretto, nel 2003, da Ninni Raimondi
Si avvisano i lettori che questo sito si serve dei cookie per fornire servizi e per effettuare analisi statistiche completamente anonime. Pertanto proseguendo con la navigazione si presta il consenso all' uso dei cookie..
Le regole non valgono per i tedeschi: ecco l’aiutino (da 2 miliardi) per Deutsche Bank 
di Ninni Raimondi
 
Dopo anni di serie difficoltà, con numerosi piani di ristrutturazione che non hanno mai risolto i suoi problemi strutturali, Deutsche Bank ha infine gettato la maschera. Stretta fra una marea di derivati e l’incapacità di recuperare margini di profitto, il colosso tedesco dai piedi d’argilla ha di recente varato un maxi-piano lacrime e sangue. Fra 50 e 80 i miliardi che finiranno nella nuova “bad bank”, a cui farà seguito una cura dimagrante che costerà quasi 20mila licenziamenti. 
 
I requisiti di capitale 
Come molte banche sistemiche, anche Deutsche Bank è soggetta ad un’attenta vigilanza da parte della Bce. Vigilanza che, fra le altre cose, si sostanzia nel controllo dei coefficienti di capitale che, nelle intenzioni, dovrebbero rappresentare l’indicatore della solidità di un istituto. 
Fra questi, il più importante è il Common Equity Tier 1 (Cet1) che si compone del capitale vere e proprio, delle riserve e degli utili non distribuiti, rapportati al totale degli impieghi della banca ponderati per il loro rischio. Il suo livello – pur non essendo univocamente stabilito: può variare a seconda dei contesti e viene “aggiornato” periodicamente – si colloca attualmente attorno al 10,6% (era al 10,1% nel 2017). Ogni banca, insomma, deve rispettare dei parametri per non risultare in difficoltà negli stress test. E’ successo, ad esempio, nel caso di Mps e dei numerosi aumenti di capitale imposti all’istituto senese che portarono infine alla sua nazionalizzazione. 
 
Lo “sconto” per Deutsche Bank 
Deutsche Bank, da parte sua, pur essendo tenuta (per caratteristiche proprie) a rispettare la soglia minima dell’11,8%, aveva concordato con la Bce un obiettivo di Cet1 a quota 13%. Un livello elevato, che includeva tutte le difficoltà in cui navigano i tedeschi. 
Pochi giorni fa la dirigenza di DB ha però spiazzato gli analisti, annunciando che avrebbe operato “con un livello minimo di Cet1 ratio del 12,5”. Uno sconto di 0,5 punti percentuali – che equivalgono ad almeno 2 miliardi – grazie al quale la banca può evitare di rivolgersi al mercato per un aumento di capitale altrimenti probabilmente necessario. 
 
“Una grande mano da parte del regolatore è stata di aiuto: la concessione di 50 basis points di Cet1 è stata vitale perchè Deutsche Bank ha evitato grazie a un’efficace azione di lobbying con i regolatori di ridurre il target di Cet1 ratio di 50 punti al 12.5%”, ha commentato Adam Terelak di Mediobanca Securities. 
Un “regalino” non comune in sede di Bce, le cui autorità di vigilanza si sono in passato dimostrate molto più occhiute e pignole in situazioni analoghe.  
Come ad esempio il citato Monte dei Paschi.  
Due pesi e… deutsche misure? 
Licenza Creative Commons  20 Luglio  2019
2013
2014
2015
2016
2017
2018
2019