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Governo giallofucsia
Governo giallofucsia (e non giallorosso). L’élite globalista si è ripresa l’Italia 
di Ninni Raimondi
 
Come da copione.  
Alla fine ha prevalso la tonalità giallofucsia. Non è tornato il gialloverde, né si è andati alle urne. Ha vinto quel che doveva vincere, ossia il governo di servizio dell’élite globalista, rimasta per colpa del gialloverde ai margini per troppo tempo. Aveva ragione Renzi, che, come tutti gli orologi fermi, segna l’ora giusta al meno due volte al dì: il populismo è battuto. È proprio così. È stato spazzato via il laboratorio populista, l’experimentum populi unico nel suo genere in tutta Europa. L’errore di Salvini è, da questo punto di vista, imperdonabile: ha consegnato le chiavi del paese – per capriccio suo o per ordini superiori a noi sconosciuti – alla classe dominante cosmopolita. Che non vedeva l’ora, in effetti, di rovesciare i “plebei al potere”, come li appellò con inusuale slancio di sincerità Eugenio Scalfari, esponente del patriziato globalista. 
 
Fate caso:  
la piattaforma Rousseau, consultata per ogni minima questione, non è stata interpellata per una vicenda tanto importante. Ed è chiaro il perché: la decisione non era e non doveva essere del popolo. Era dell’élite per l’élite. Al giallofucsia plaudono i mercati, brindano la Merkel, Macron e perfino Trump, che ha cinguettato entusiasta. Insomma, il giallofucsia – la nuova moda autunnale – piace ai padroni, che ci vogliono servi di Washington e di Bruxelles. Conte al G7, in fondo, non ha fatto altro che garantire ai potentati globali che non vi sarebbe mai più stata una saldatura tanto invisa all’ordine liberista come quella tra Lega e 5Stelle. Tutto il resto, ça va sans dire, può andare bene. Vince comunque l’ordo liberista. Vi immaginate che paura all’élite possa fare l’unione fucsia di Fico e Zingaretti? O, per converso, la saldatura bluette tra Giorgetti e la Santanché? Vince, in ambo i casi, l’ordine liberista: più mercato, meno Stato, più élite e meno popolo. Ancora, più consigli di amministrazione e meno parlamenti. 
 
Difficile trattenere il riso, l’altra mattina, sentendo la Santanché in un programma televisivo su La7, ove affermava di essere “patriota” (sic!).  
Il possessore di capitali non è mai patriota.  
 
È anzi l’homo cosmopoliticus per eccellenza, il principale nemico dell’idea di patria. Che cosa avverrà ora? Non è difficile dirlo. I punti saldi fissati da Zingaretti e accettati dai 5 Stelle sono adamantini: “Lealtà all’Unione Europea”, recita il primo punto. Nei punti successivi, poi, si trova – a mo’ di vernice legittimante – il riferimento al sociale e al lavoro: ma tale riferimento è vanificato in partenza dal punto primo. Ché, infatti, “lealtà all’Unione Europea” vuol dire, semplicemente, adesione cadaverica al pareggio di bilancio e all’austerità depressiva, in una parola al verbo liberista su cui la Ue intrinsecamente si forma. 
Tra i punti fissati da Zingaretti v’è, poi, la questione dei porti sempre aperti: libera circolazione delle merci e delle persone mercificate, il verbo del capitalista.  
 
Insomma, l’ho detto e lo ridico: sarà un governo giallofucsia e non giallorosso, ché di rosso vi sarà solo il sangue degli italiani, che scorrerà copioso in nome dei teologumeni “ce lo chiede l’Europa”, “ce lo chiede il mercato”.  
Il 5 stelle, per parte sua, ha scelto inopinatamente la via del suicidio, alleandosi al partito che, da sempre, è il rappresentante dei poteri finanziari e del nuovo ordine mondiale classista. Esattamente ciò contro cui – ricorderete – il 5 Stelle combatteva. 
Licenza Creative Commons  29 Agosto 2019
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