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Ecco perché cambiare i vincoli U
Ecco perché cambiare i vincoli Ue è impossibile 
di Ninni Raimondi
 
C’è chi ha provato la strada del dialogo, chi quella dello scontro frontale, chi portando in dote una presunta “credibilità istituzionale”. In ultimo, ieri, è arrivato anche il compassato inquilino del Quirinale a chiedere per l’ennesima volta una riforma delle regole sui vincoli Ue. Lo ha fatto con un messaggio al forum Ambrosetti, di fronte al gotha dell’economia e della finanza: “Coesione e crescita – ha spiegato – sono gli obiettivi ai quali guardare e il necessario riesame delle regole del patto di stabilità può contribuire a una nuova fase, rilanciando gli investimenti in infrastrutture, reti, innovazione, educazione e ricerca”. 
 
Vincoli Ue: perché hanno fallito tutti 
Così come i predecessori, anche il tentativo del Presidente della Repubblica è tuttavia destinato a infrangersi. Se l’intento è all’apparenza buono, si scontra infatti con un’architettura – quella comunitaria e della moneta unica – che sulla rigidità di bilancio si fonda non per masochistica decisione politica, bensì per stretta necessità economica. 
E’ fallace, insomma, qualsiasi narrazione che distingua fra buoni e cattivi, tra falchi del rigorismo e colombe dell’allentamento dei vincoli Ue. I quali possono essere sì rivisti, ma con correzioni puramente cosmetiche e destinate a non andare oltre pochi decimali. Il motivo è presto detto. Qualsiasi valuta adottata da due o più nazioni, in assenza di meccanismi (quantomeno un bilancio e una politica fiscale in comune) di riassorbimento degli squilibri che naturalmente vengono a crearsi, portà con sé storture destinate prima o dopo ad esplodere. Per l’Italia ciò si è verificato nell’anno 2011. Da allora, salvo piccole e comunque non significative deviazioni, viviamo nel paradigma del rigore nei conti pubblici. 
 
Euro significa austerità 
Che si chiami disciplina di bilancio, vincolo esterno, “fare i compiti a casa”, la sostanza non cambia. La simbiosi fra eurozona e austerità, piaccia o meno, è un dato di fatto. Necessario ad imporre quella svalutazione interna a sua volta imprescindibile per tenere in piedi l’architettura economica comunitaria. 
Un sistema plasmato sul modello mercantilista tedesco fatto di rigore interno per recuperare margini competitività ed inseguire le esportazioni ad ogni costo.  
 
Esponendoci a qualsiasi minima turbolenza sui mercati internazionali che, quando tocca le nostre debolezze strutturali, si trasforma in tifone tropicale facendoci ripiombare in una recessione che certo non allontana lo spettro della stagnazione secolare.  
E non sarà certo qualche mezzo punto di deficit in più a cambiare la storia. Potrà forse allentare il guinzaglio dei vincoli Ue, magari per motivi di gradimento politico, ma certo non invertire la rotta. 
Licenza Creative Commons  9 Settembre 2019
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