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Renzurrezione
E venne il giorno della Renzurrezione 
L'editoriale di Ninni Raimondi
 
E venne il giorno della Renzurrezione 
Prima o poi ci sarebbe stato, uno così non sta a cuccia, al posto suo, mani conserte; no, deve stare al centro della scena, a lingua sciolta, coi pieni poteri. Altro che Salvini che si è limitato a dirlo, massacrato come un aspirante dittatore; lui l’ha fatto, i pieni poteri li ha usati, eccome. Asso pigliatutto. 
Una scissione nata a freddo, dicono i suoi critici, ma non è così. Il via libera al governo coi grillini era il piano uno di Renzi, poi sarebbe arrivato il piano due. Era tutto scritto nel programma di viaggio, mancava solo l’indicazione dei tempi. Il rancore accumulato in tutto questo tempo da Renzi era sacrosanto, il Pd lo trattava come un appestato, anche se poi dipendeva da lui. Lui ha portato la sinistra al potere e alla rovina, e i compagni hanno approfittato del primo ma gli hanno rinfacciato la seconda, trattandolo come un corpo estraneo, un infiltrato. Dunque, il suo risentimento era giustificato. 
Il suo disegno politico è tardivo, il partito della nazione avrebbe dovuto farlo cinque anni fa, ma è giustificato; riprendersi il centro che non c’è in un governo grillo-sinistro e con un Berlusconi cadente. Più che Italia viva, il suo partito avrebbe dovuto chiamarsi Italia Uno, non solo in omaggio al suo precursore, ma anche perché il suo partito è rigorosamente Univoco, Monoteista, Matteocentrico, ruota intorno all’Uno. Qual è il tratto peculiare del Renzismo? La Volontà di Potenza, o meglio, la Prepotenza come visione prensile del mondo. Non c’è altro progetto, altra idea. Il Partito Napoleonico di Renzi terrà il Pupazzo di governo appeso per i testicoli, creerà altri scossoni limitrofi, in attesa del terzo atto finale, la caduta del governo staisereno. Allora si compiranno le prove tecniche di Renzurrezione. 
 
Ma che conseguenze sta creando intorno a sé? Per cominciare, il suo ritorno a centrocampo non desta l’entusiasmo dell’Europa, che aveva trovato e piazzato i maggiordomi giusti per esercitare il suo protettorato sull’Italia. Crea problemi al trasformista di Palazzo Chigi ma non perché si aggiunge un altro padrone da servire, che volete che sia se sono trenta o trentuno; no, il problema è che lui vuole comandare più degli altri, o me o loro. E fa saltare a Conte il suo ruolo di ponte girevole tra due sponde, perché ora c’è una terza sponda. 
Renzi in campo crea poi problemi ai Pulcinella grillini – trasformatisi in Pierrot per darsi una statura europea – perché far ingoiare un boccone così ai loro elettori, già sottoposti a una terapia violenta di supposte grandi come la piattaforma Rousseau, significa stremare il già ridotto elettorato. A loro personalmente non dà problemi, ai colonnelli del circo Grillo non fa impressione Renzi a capotavola, purché “ce tenimm u’post”. Ma al Signor La Base, interpretata dall’ attore sudamericano Ale Diba, può andar giù quest’ennesima svendita, dopo il boccone Pd, Leu, Bibbiano, ossequio agli eurocrati, il tradimento e l’inversione dei programmi? Tutto si può dire di Di Battista meno che si sia svenduto come il resto della compagnia di giro; ma non sente salire il sangue alla testa, non sente un sussulto di dignità, non ha voglia di mandarli a quel paese e portarsi un paio di stelle dal partito cinquestelle? 
C’è poi l’ala criptorenziana di Forza Italia (a cui aderisce di nascosto anche Berlusconi-Jekyll) che vive il suo Marasma elettorale e sta pronta lì lì per fare Italiadue, sulla scia di ItaliaUno renziana, ha già una gambetta da quella parte. Berlusconi promette di darle una mano i giorni pari. Lui ha giurato fedeltà a Matteo, ma senza specificare quale. 
 
A proposito 
La mossa di Renzi indebolirà pure questo governo, ma non facilita il compito di Salvini, che poteva avvantaggiarsi di un quadro così semplificato e così nettamente sbilanciato a sinistra e verso Bruxelles. 
Ma il problema che più incuriosisce e tormenta è il Pd senza Renzi. Cosa resta? Mezze cartucce, vecchi tromboni e poco altro. Ma con un sistema di potere radicato, al servizio dell’Establishment eurocratico, con la stessa servile ubbidienza un tempo riservata all’Unione Sovietica. Ribadisco: la sinistra al potere in Italia è un’associazione di stampo mafioso per metodi e finalità. Aderisce perfettamente alla definizione che Pasolini dava del potere democristiano: “un nulla ideologico mafioso”. Del resto, anche nell’Urss, caduto il comunismo, prese il suo posto una rete di potere di stampo mafioso. 
L’ipotesi più probabile è che, senza dirlo, venga sbrinato dal frezeer il comunismo lasciato sotto vuoto spinto. Stava lì come uno stoccafisso disidratato. Naturalmente un comunismo che evita di chiamarsi così, un comunismo senza gente comune, che era poi la sua vera forza e nobiltà; omogeneo ai potentati interni e internazionali, come ha scritto anche Galli della Loggia; una versione inedita dell’eurocomunismo, l’infelice creatura di Berlinguer. Molto più dignitoso il comunismo staliniano di Marco Rizzo. 
 
Sarebbe giusto a questo punto richiamare in servizio Bersani, D’Alema, Veltroni, il soviet di una volta, gli articolo uno, trentuno e sessantuno, i Leu, che dalla sigla sembra un partito romeno (lo guida il figlio di Ceausescu?). E poi farcirlo con la squadra giovanile, gli Under61, con le Boldrini, i Fiano, Speranza e gli altri speranzuoli. All’ala moderata, già democristiana, quella di Franceschini per intenderci, non resta che esplicitare il catto-comunismo, nel nome di un dio migrante, bergoglioso e antifascista. 
Non so se la replica del terremoto fiorenzino produrrà uno sciame sismico dagli effetti così catastrofici.  
 
O se si ridurrà solo a una flatulenza, un’eruttazione.  
Però da oggi sappiamo che il quadro è in movimento, l’autunno si riscalda, il campo è aperto e può passare dalle stelle alle urne in un batter di ciglia. 
Licenza Creative Commons  20 Settembre 2019
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