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Utile o inutile? Qualche (seria) riflessione sul Tav 
di Ninni Raimondi
 
Una prefazione chiarificatrice sugli intenti di questo articolo risulta doverosa, soprattutto per evitare la fuga da un argomento che ormai ha portato quasi alla nausea talmente se ne è parlato e scritto: non vogliamo qui riproporre l’ennesimo trattato specifico, bensì si intende evidenziare una metodologia di approccio ed analisi che si dovrebbe adottare in queste situazioni e per cui il caso Tav rappresenta un buon esempio pratico. 
Le sfere legate alla tematica sono di tipologia economica, ingegneristica, ambientale, storica e grammaticale. Da queste, che sono categorie d’osservazione della realtà, dovrebbe partire la politica per poter esplicare un’azione utile e non ridursi a mero scontro di tifoserie. 
 
Il Tav, non “la” Tav 
Partiamo da quella più inusuale, ovvero la grammaticale. Nessuno di noi si arroga la carica di emerito accademico della Crusca, ma è necessario non martoriare la lingua con cui si discute pena, altrimenti, ricadere nella descrizione biblica della Torre di Babele e quindi è “Il” Tav (Il Treno Alta Velocità), non “la” Tav (La Treno Alta Velocità?). 
In tal senso è onestà intellettuale riconoscere l’onore delle penne (le armi giornalistiche) a Marco Travaglio, coautore di un interessante pamphlet sul Tav, perché non perde occasione per ricordare questo particolare lessicale ed è invece un peccato vedere come i suoi graditi del M5S si prodighino quotidianamente a massacrare la lingua italiana (vedasi i vari assessora, etc.), ironia della sorte in special modo al Comune di Torino. 
 
Non solo analisi costi-benefici 
Dopo questa digressione di stile passiamo all’aspetto economico dell’opera che è stato e probabilmente permarrà il terreno d’elezione per lo scontro fra favorevoli e contrari. Nella nostra società moderna impregnata di liberismo è ovvio che il tutto si riduca sempre ad un conteggio spesa-guadagno da piccolo bottegaio e qui il fronte del no ci si è gettato a capofitto perché i numeri parlano chiaro a suo vantaggio. Gli ambientalisti contrari dovrebbero però porre attenzione a non crearsi un boomerang: se dovessimo applicare il medesimo metro sempre nell’area noteremmo che l’unica linea di metropolitana a Torino (la M1) costa annualmente per il suo esercizio circa 26 milioni di Euro a fronte dei 7,5 milioni d’incasso (dai biglietti), quindi andrebbe immediatamente fermata nonostante riduca sensibilmente il traffico veicolare così come l’idea delle linee M2 ed M3 sarebbe da gettare inderogabilmente nel cestino porta rifiuti. 
Di rimando, anche in un’ottica di politiche economiche keynesiane non ci si può esimere dal tentativo di allocare le risorse in modo efficiente e qui tutti gli studi, simulazioni unite a rilevazione dei dati reali, concludono che l’opera rischia di essere pozzo di San Patrizio operante al contrario. 
 
Storia e inesattezze del Tav 
Il Tav si sviluppa sull’onda dei corridoi europei di cui si era iniziato a pensare nel 1972, che sono diventati concreti come linee programmatiche con il Trattato di Maastricht nel 1992 e giuridicamente con il Trattato di Amsterdam nel 1997. La nascita può però essere fatta risalire al 1989 con la proposta di costruire una nuova linea ferroviaria alta velocità in aggiunta alla linea esistente, lanciata dalla Fondazione Agnelli. In parallelo, durante tutti questi anni, le Ferrovie dello Stato poi diventate Rete Ferroviaria Italiana hanno espresso sempre giudizi negativi sulla necessità dell’opera così strutturata. 
La linea è facente parte del corridoio 5 previsto da Lisbona a Kiev, ma fin da subito ci si accorse che una ferrovia dedicata solo al trasporto passeggeri era destinata ad avere un bilancio in profondo rosso, eppure i quotidiani all’epoca continuavano a propagandare ciclicamente il sogno “potrete andare da Torino a Lione in meno di 2 ore”. Si decise quindi ad integrarne la destinazione d’uso aggiungendo il traffico merci e ridurne così il deficit potenziale programmando anche l’alimentazione a 3 kV (tipica dei locomotori merci) oltre alla 25 kV (destinata agli alta velocità passeggeri). Si aggiunse quindi al Tac il Tac (Treno Alta Capacità). Questa ibridazione, ormai definitiva, porta con sé due criticità: la prima è che i treni passeggeri saranno in grado di viaggiare a minimo 250 Km/h ma il limite di velocità sulla tratta sarà fra gli 80 ed i 120 per la presenza dei convogli merci, la seconda è che la Francia non ha omologato (né intende eseguirlo) l’uso dei treni merci sulle linee Av passeggeri quindi questa nuova ferrovia sarà classificata come tratta normale ove i treni passeggeri possono transitare a velocità comunque non superiori ai 160 Km/h (per intendersi, la medesima dei treni regionali e locali). Lione continuerà a distare molto più di 2 ore. 
I detrattori dell’opera, in primis Travaglio, diffondono un’inesattezza fuorviante quando ricordano che sulla linea attuale transita già il treno alta velocità passeggeri: si tratta di corse da Milano a Parigi effettuate dalla SNCF (l’equivalente Francese della nostra Trenitalia) con il loro Tgv, un mezzo ormai vagamente obsoleto che sui binari italiani deve viaggiare a 70 Km/h per l’assenza di alcuni dispositivi di sicurezza e controllo da noi obbligatori e che risulta, sul nostro territorio, meno prestazionale dei treni locali di ultima generazione (Minuetto, Jazz, Pop e Rock). 
 
Il corridoio 5: un morto vivente 
Ritorniamo al lato economico.  
Di fatto, alla data odierna, il corridoio 5 risulta purtroppo appartenere alla categoria dei morti viventi in quanto Lisbona non ha mai avviato la costruzione di un importante porto commerciale (l’Unione Europea ha poi preferito puntare su Rotterdam rendendo così molto più fondamentale il corridoio Reno-Alpi fra Rotterdam e Genova), il Portogallo ha abbandonato l’idea di costruire una linea Av passeggeri e neanche preso in considerazione le merci, la Spagna di rimando si è fermata alle linee Av passeggeri solo per usi interni ed ad oriente il termine fissato in Ucraina rimarrà sulla carta data la situazione economico-politica di quell’area (avrebbe avuto un senso come zona di collegamento con la realtà Russa, ma l’Unione Europea stessa è riuscita a muoversi politicamente in modo da creare divisione). 
Date queste evoluzioni, non risultano inattesi i valori sul traffico merci della tratta : al contrario delle previsioni (pro TAV) i volumi non solo non si sono raddoppiati, bensì sono crollati a neanche un decimo ed oggi la linea esistente è utilizzata per un 20-30% della sua capacità totale. 
 
Altro scenario degno di attenzione in merito al Tav è quello delle osservazioni ingegneristiche pur rimanendo a livello di tematiche generali e non dei singoli dettagli (del tipo “meglio una struttura in cemento armato, in ipe d’acciaio od in pannelli xlam di legno”, tanto per essere chiari). 
Lo stato dell’arte è che la linea risulta progettata solo per quanto riguarda il tunnel Italia-Francia che dovrebbe sbucare a Susa, per il resto della valle fino a Torino è definito il percorso ed esiste una progettazione di massima ma mancano totalmente la parte di dettaglio ed esecutiva. Questo ritardo si è generato a seguito della diatriba fra gli enti coinvolti sulle due soluzioni possibili: impostare il tracciato a nord dell’abitato di Rivoli/Alpignano per congiungersi il più direttamente possibile alla direttrice di Milano in zona Torino Nord/Settimo Torinese oppure transitare a sud di Rivoli per allacciarsi allo scalo merci di Orbassano e transitare in zona Torino Ovest per congiungersi alla direttrice di Milano in zona Torino Nord/Settimo Torinese. 
Entrambe le soluzioni annoveravano pregi e difetti: la prima richiedeva la realizzazione completamente ex novo di uno scalo merci, la seconda permetteva di rivitalizzare uno scalo studiato negli anni settanta con concetti già vecchi, aperto nel 1981, mai decollato ed oggi pressoché abbandonato ma con la contropartita di complicare il percorso dati gli attraversamenti di vari centri abitati risolvibili solo tramite ulteriori gallerie. 
Rete Ferroviaria Italiana propendeva per il collegamento diretto verso Milano, la corrente Pd riferita a Chiamparino voleva non destinare lo scalo di Orbassano allo smantellamento; Chiamparino diventò presidente della regione Piemonte dopo gli scandali dell’amministrazione Cota e così Orbassano merci potrà sperare in un futuro da fenice. 
 
Dove finiscono le merci? 
Posto che il transito da Orbassano verso la direttrice di Milano avverrà sui binari già esistenti (non veloci e forse neanche a così grande capacità), resta il nodo che tutta la linea rimanente verso Trieste via Milano, Brescia, Verona, Padova e Venezia resterà quella attuale e neanche si ipotizza di valutarne la modifica. Forse questo grande flusso di merci futuro si fermerà a Torino perché quivi destinato e non sovraccaricherà il resto della tratta, neanche di un grammo. 
Per l’ambiente invece assistiamo a scene ove, da un lato, abbiamo enti pubblici che non si preoccupano minimamente di condividere (a titolo di trasparente informazione) i vari processi con il risultato di alimentare leciti dubbi e perplessità mentre, dall’altro lato, troviamo cittadini con sindrome Nimby talmente non curata da essersi cronicizzata in sindrome Banana (Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything: “(non) costruire assolutamente nulla in nessun luogo vicino ad alcuna cosa”). 
 
A Torino serve il Tav? 
Dopo quanto esposto è palese che questo Tav rischia di essere un inutilizzato monumento statico di arte ferroviaria, ma dobbiamo procedere con l’ultima analisi: ciascuno di noi conosce l’importanza del contestualizzare gli avvenimenti storici e, parimenti, un’opera come il Tav deve essere contestualizzata al territorio ove la si insedia. 
Cos’è Torino oggi? Sul piano urbanistico/logistico la città metropolitana (ex provincia) è fortemente Torino-centrica, al contrario della provincia di Cuneo con le sue “sette sorelle”, tutti gli aspetti di maggiore importanza (centri universitari, lavoro, laboratori ed uffici applicativi degli Enti Pubblici, teatri, grandi ospedali, persino il grande commercio) gravitano sul capoluogo e, secondo una moda del recente passato, possibilmente nel centro più centro di esso. Il risultato è una transumanza quotidiana mattutina dalla provincia alla città e viceversa la sera con i vari comuni limitrofi ridotti a stanze da letto. Questo fenomeno si è attenuato negli ultimi anni perché la crisi economica ha colpito duramente e Torino ha valori sui parametri macro economici che la pongono al pari di molte città del mezzogiorno storicamente in cattive acque (senza alcuna volontà d’offesa). 
 
La gestione urbanistica e viaria della provincia è poi sempre stata demandata ai singoli comuni e geometri da paese senza alcun sistema, anche solo informale, di coordinazione/pianificazione. A questo si aggiungano interventi persino comici ma indicativi di una mentalità tipo eliminare i tram perché le vibrazioni delle ruote di ferro potevano danneggiare i monumenti, sostituendoli con autobus diesel senza filtri (parliamo degli anni ‘70 ed ‘80) donanti agli stessi monumenti un bel classico colorito grigio fumo di Londra. Il tutto condito da una visione fantozziana per cui lo spostarsi con i mezzi pubblici e non con un’autovettura propria era simbolo di appartenenza a classi sociali di inferiori. 
Come ciliegina sulla torta oggi in Torino è insediata, o meglio arroccata, una amministrazione M5S campione del no “sempre, comunque, a prescindere” e con una malcelata voglia continua da morale borghesuccia di punire chi “peccaminosamente” desidera un anche minimo benessere. 
Da questo micidiale cocktail deriva una realtà di ingorgo (per rimanere sul tema di viabilità, trasporti e logistica) che deve essere risolto con delle opere assennate. Senza voler aprire un altro vasto capitolo si possono citare alcune delle opere di immediata realizzazione possibile: 
 
l’ultimazione del passante ferroviario con il collegamento di corso Venezia alla tangenziale in corso Grosseto, progetto dell’opera 1979 inizio lavori 1984; 
il sottopasso di piazza Baldissera da corso Mortara a corso Vigevano, opera già appaltata annullata dal primo atto d’amministrazione della giunta M5S “perché le grandi opere generano corruzione”; 
il sottopasso di piazza Maroncelli, fermo perché si cerca un privato disposto a realizzarlo completamente a proprie spese; 
l’apertura della linea 5 per il servizio ferroviario metropolitano, prevista per il 2018 ma rinviata (si spera) al 2022 perché non ancora realizzate le stazioni di Orbassano San Luigi – Grugliasco Le Gru – Torino Borgo San Paolo (i binari sono già presenti ed operativi, mancano proprio solo le stazioni); 
prolungamento della linea metropolitana M1 fino a Rivoli Cascine Vica, mancano solo i fondi per terminare la progettazione esecutiva e realizzare i lavori. 
 
Poi vi sono le opere a medio termine : 
1) il raddoppio completo per le linee del servizio ferroviario metropolitano che in molti tratti della provincia sono ancora a binario unico; 
2) la chiusura dell’anello di tangenziale secondo il progetto presentato dal Politecnico di Torino, ad oggi sembra una falce che obbliga a circumnavigare l’intera città per andare da nord a sud o viceversa e che è insufficiente a smaltire l’intenso traffico intasandosi in continue code; 
3) la variante in galleria progettata dal Gruppo Gavio da piazza Maroncelli alla curva soprannominata “delle cento lire” per fornire rapido sbocco agli ospedali, al centro del Lingotto ed a tutti i paesi sul versante monferrino della collina di Torino; 
4) l’ultimazione della linea di metropolitana M1 fino a Rosta via Rivoli centro, magari prolungandola fino ad Avigliana, opera programmata fin dall’inizio dei lavori la linea 
5) la progettazione di dettaglio ed esecutiva, oltre alla costruzione, della linea M2. 
 
Si pensi che la somma prevista per il Tav sarebbe sufficiente a realizzare tutte le opere immediate, quindi la vera discussione non è fare o non fare bensì cosa fare. 
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