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Andrea Pisani, l’ammiraglio del Doge
Le quattro repubbliche marinare sono state delle forme di governo davvero molto particolari. Il loro dominio talassocratico si è unito ad una forma di democrazia avanguardistica di tipo oligarchico davvero molto interessante. L’onore, però, come in ogni altro regno, governo o stato ci fosse all’epoca, era l’elemento più importante. Andrea Pisani era l’esempio fatto persona del coraggio veneziano.
Il patrizio veneziano
Venezia era lo stato più ricco, la repubblica più famosa e quella con le “mani in pasta” di più di qualsiasi altro con i commerci internazionali. Il patriziato veneziano reggeva il capoluogo veneto con il pugno di ferro soprattutto in ambito economico. Andrea Pisani era figlio di due famosi nobili veneti, Gianfrancesco Pisani e Paolina Contarini. Tuttavia, la giovinezza di Pisani è stata segnata da alcune azioni non troppo lodevoli.
Nel 1682, infatti, assieme ad altri amici avrebbe schernito e, secondo alcune voci, trattato in malo modo alcune suore. Ciò era un comportamento assolutamente inviso per la nobiltà veneziana che lo cacciò dalla laguna. Il giovane si arruolò, pertanto, tra le fila dell’esercito ungherese e combatté durante l’assedio di Buda. La ricerca dell’onore era qualcosa di troppo importante per il nobile veneziano. Redento dalla nobiltà lagunare, Andrea Pisani si arruolò nell’Armada, la flotta veneziana sotto il comando di Pietro Zaguri.
In guerra contro la mezzaluna
Ad oriente imperversava il nemico ottomano. Ben presto anche Venezia dovette temere e resistere agli attacchi turchi nelle isole mediterranee sotto il dominio del Doge. Andrea Pisani prese parte, inizialmente, alla guerra austro-turca vinta dagli Asburgo, poi prestò servizio anche alla Battaglia degli Scogli degli Spalmadori per difendere le isole di Chio ed Andro. Rientrato in patria venne decorato con il grado di senatore ed, in seguito, Provveditore generale delle Isole, un ruolo importante volto a preservare la grandezza veneziana.
Andrea Pisani orchestrò l’intelligente difesa di Corfù e si distinse sul campo sul porto di Passavà sempre in azioni di protezione contro i turchi. Ottenne, in seguito, un ulteriore riconoscimento, divenendo Cavaliere dell’Ordine della Stola d’Oro, uno dei massimi titoli concessi dal Doge.
La leggenda di Pisani si concluse il 21 settembre 1718 quando un fulmine colpì la polveriera vicino alla quale si trovava il soldato veneziano.
L’esplosione lo uccise lasciando un vuoto incolmabile.
Andrea Pisani ricevette tutti gli onori militari ed, attualmente, riposa sull’Isola di Certosa.
Valentino Pasini, il rivoluzionario vicentino
Parlando di rivoluzioni al nord salta subito alla mente il nome di Daniele Manin e della cercata liberazione di Venezia. Poco distante dal capoluogo, però, sorge un’altra importante città: Vicenza. La città dei magna gati (l’origine del nome sembra risalire al risorgimento quando un’invasione di topi costrinse i vicentini ad utilizzare centinaia di gatti per combattere i roditori. Dopo di ciò, però, ci fu una letterale invasione di gatti che divennero il piatto principale servito in alcune locande più povere), si è, invece, distinta per il coraggio dei propri cittadini a combattere e resistere contro il nemico. Valentino Pasini fu uno di coloro che aizzarono di più la popolazione e risvegliandone il senso patriottico.
Lo sviluppatore dell’agricoltura
Vicenza non era una provincia particolarmente ricca. Non almeno quanto Treviso o Padova. Tuttavia, Valentino Pasini ed il fratello Ludovico studiarono a lungo dei rimedi per dare nuova vita alla terra. Per questo motivo, Pasini, nato a Schio il 23 settembre 1806, seguì le orme del fratello e studiò a Padova. Nella vicina città frequentò, dapprima, un collegio nel quale venne formato agli studi classici, poi l’università. Si laureò in giurisprudenza ed esercitò il ruolo di perito su alcune questioni inerenti la costruzione di opere agricole nella sua Vicenza.
Quella di Valentino Pasini non fu però solo la figura di un grande ricercatore, ma anche quella di un rivoluzionario.
Il ’48 vicentino e l’esilio
Nel 1848, in contemporanea con i moti di Venezia, anche a Vicenza gli insorti crearono un governo provvisorio presidiato fra gli altri anche dallo stesso Valentino Pasini. Passata sotto il controllo della Repubblica di San Marco, appena creatasi, Vicenza entrò nell’ottica della ricerca di appoggi europei. Fu proprio Pasini a cercare aiuto all’estero proprio mentre gli austriaci preparavano il contrattacco decisivo. Nulla poté Venezia per difendere il Veneto dagli Asburgo: il nostro si recò a Vienna per chiedere che la punizione veneziana venisse attuata in maniera contenuta. Il suo atto fu considerato di alto tradimento e venne esiliato.
Valentino Pasini ritornò a Vicenza nel 1853 svolgendo con diligenza e con un assoluto amore verso la sua terra che, alcuni anni prima, gli aveva chiuso la porta in faccia, il mestiere di assicuratore. Curò i problemi finanziari del Lombardo-Veneto tentando anche di sanarli. Il suo valore verrà riconosciuto solo molti anni più tardi dal Regno di Savoia che lo rese relatore della neonata Camera dei Deputati.
Valentino Pasini non vedrà mai il suo Veneto unito all’amata Italia in quanto morirà a Torino, ancora esiliato, il 4 aprile 1864.
Italo Stagno, morto in Russia per essersi opposto al comunismo
Tutti conosciamo la tragedia dei martiri italiani nelle foibe titine.
Non da meno fu il dramma di tutti quei soldati seviziati e tenuti in prigione in Russia. Italo Stagno morì in un campo sovietico a causa delle ferite e degli stenti patiti.
Il sindacalista nazionale
Di Italo Stagno si conosce molto poco circa la sua biografia giovanile. Nacque a Cagliari nel 1902, la data esatta non è pervenuta né si conosce l’estrazione cui apparteneva la sua famiglia. Fu un grande sindacalista nazionale, innamorato del sistema sansepolcrista e corporativista proposto dal fascismo negli anni ’20 del 1900.
Italo Stagno non fu solo un grande uomo di politica e retore d’eccellenza, ma anche un grande soldato. Prestò servizio di prima nomina in forza al 7° reggimento degli Alpini per poi ottenere la promozione a tenente nel 1940. Nel 1941, mentre imperversava l’Operazione Barbarossa, partì per la zona di guerra e raggiunse i compagni della 7° Armata. In Russia venne affidato al 1° reggimento alpini della Divisione Cuneense.
“Noi siamo i deputati dei morti”
Italo Stagno venne fatto prigioniero durante la disfatta del Don e venne imprigionato a Suzdal’. Quando i membri del Partito comunista italiano rifugiatisi in Unione Sovietica chiesero a lui ed ad altri soldati di abbracciare la fede comunista, si oppose fermamente. Una frase, in particolare, lo fece innalzare a baluardo della lotta anti-sovietica: “Noi abbiamo un dovere, quello di riportare in Italia intatte la bandiera e la fede che migliaia di fratelli caduti nelle steppe gelate di Russia e sui campi di battaglia ci hanno affidato. Siamo prigionieri ed abbiamo perduto la grazia di essere uomini liberi, siamo sempre legati ad un giuramento e dobbiamo mantenerlo per essere degni dei nostri Caduti. Signori, noi siamo i deputati dei morti”. Tra le lacrime dei camerati di ogni nazione, Italo Stagno venne condannato al “trattamento speciale” che lo ridusse in fin di vita sino alla morte, avvenuta il 24 settembre 1947.
Medaglia d’oro al valor militare
In suo onore fu concessa la medaglia d’oro al valor militare:
“Ufficiale addetto ad un Comando di reggimento alpino, sostituiva volontariamente, nel corso di un aspro combattimento, un comandante di plotone caduto. Durante dieci giorni di ripiegamento, si batteva sempre alla testa dei suoi uomini, con eroico slancio infliggendo al nemico, in successivi scontri, gravi perdite. In un’ultima azione, preclusa ogni via di scampo, dopo una disperata resistenza che s’imponeva alla ammirazione dello stesso avversario, veniva travolto e catturato. Durante dura e tormentosa prigionia serbava contegno superbo per virile fierezza, sdegnosa noncuranza di sopraffazioni e violenze, incrollabile amor patrio e generoso altruismo. Colpito da grave morbo soccombeva, debellato nella carne, ma non nel nobilissimo spirito”.
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