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Bibbiano?
Quel che resta di Bibbiano: tracollo degli affidi, assistenti sociali aggrediti 
L'editoriale di Ninni Raimondi
 
Prima di Bibbiano, il sistema italiano degli affidi era «tra più invidiati al mondo». Ma ora, di famiglie disposte ad accogliere i minori ne sono rimaste poche e i servizi sociali sono meno propensi a segnalare i casi problematici 
Il sistema italiano degli affidi «è tra i più invidiati al mondo», aveva evidenziato qualche giorno fa, nel corso di una riunione con i responsabili dei servizi sociali della Val d’Enza, il presidente del tribunale dei minori di Bologna, Giuseppe Spadaro. Eppure, dopo il caso Bibbiano, tutto rischia di crollare. A partire dal numero delle famiglie affidatarie, ormai ridotte all’osso. Ma non solo: i servizi sociali sono meno propensi a segnalare i casi problematici e gli stessi operatori sono costantemente vittima di aggressioni. Un clima che trova le sue ragioni nella sfiducia generata dal racconto che del caso Bibbiano è stato fatto, che ha criminalizzato l’intero mondo dei servizi sociali. 
 
A segnalare la situazione di pericolo è il presidente del consiglio nazionale dell’ordine degli assistenti sociali, Gianmarco Gazzi, che parla di una «situazione drammatica». Una situazione in cui, «per propaganda – spiega al Dubbio – si è fatta di tutta l’erba a un fascio». Il racconto mediatico e politico del caso Bibbiano ha infatti messo in difficoltà le persone più fragili, rendendole meno propense «ad avvicinarsi ai servizi». Col rischio «di perderci intere situazioni che hanno invece bisogno di aiuto e di tutela – sottolinea – Inoltre, da quando tutto è iniziato i miei colleghi sono oggettivamente ancora più a rischio di aggressioni, violenze, minacce». Sono infatti aumentate le segnalazioni in tal senso: Gazzi parla di «un caso al giorno», con nove assistenti sociali su 10 che aggrediti nella propria vita professionale. «E non parliamo di urla: ci sono colleghi finiti in ospedale con 20- 30 giorni di prognosi aggiunge – L’ultimo caso nel comasco: un assistente sociale è stato aggredito, ma non dalla famiglia in cui si stava svolgendo l’allontanamento, che ha anzi collaborato, bensì dai vicini». 
 
I pericoli derivano anche dalle fake news sui numeri: «c’è chi ha diffuso cifre irrealistiche e scorrette, blaterando su cose come 500mila minorenni allontanati dalle famiglie». Ma la realtà è molto diversa: il ricorso a tale strumento, in Italia, come riportato nella relazione sullo stato di attuazione della legge sull’affidamento, elaborata dal ministero della Giustizia e dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali relativamente al biennio 2014- 2015, ha statisticamente i numeri più bassi in Europa, con 2,6 minorenni dati in affidamento ogni 1000 sotto i 18 anni, contro i 9,6 della Germania, in cima alla classifica, e i 3,9 della Spagna. Gli affidi familiari costituiscono circa la metà degli affidi totali: su 26.615 minori in affidamento, stando agli ultimi dati disponibili, quelli del 2016, sono 14.012 quelli ospitati presso famiglie, nella maggior parte dei casi individuate tra parenti, come previsto dalla legge. I restanti 12.603 minori sono invece risultati residenti in strutture per l’affido, sulle quali ora si è concentrata l’attenzione della task force ministeriale, che ha denunciato costi troppo elevati. «Smettiamola di raccontare storie che non esistono – conclude Gazzi – Bisogna, piuttosto, discutere di interventi preventivi.  
 
L’allontanamento è l’estrema ratio. E viene spesso dimenticato che le segnalazioni non partono dai servizi sociali, ma dalle scuole o dai medici di famiglia. Dobbiamo ribadire che non è con i bonus che aiutiamo le famiglie, ma se diamo dei servizi che siano capaci di sostenerli nelle loro competenze genitoriali. Al sud non abbiamo più consultori, mentre gli assistenti sociali in forza agli enti locali sono 12mila, a fronte di 8mila Comuni». 
 
A conferma della delicatezza della situazione, anche quanto testimoniato, nel corso delle audizioni davanti alla Commissione speciale d’inchiesta sul sistema di tutela dei minori in Emilia Romagna, da Daniela Casi, una delle referenti della rete di affido di emergenza emiliana, realtà parallela ed emergenziale rispetto alla rete degli affidamenti. «La vicenda scoppiata in Val d’Enza ha creato molto disorientamento, ma noi vogliamo far emergere il bene che c’è nel mondo degli affidi – ha spiegato Si è creata una sorta di “cappa negativa” su uno degli aspetti più marginali di un affido, quello del contributo economico.  
 
Ma le famiglie affidatarie non sono interessate di certo a questo». In questo periodo, dunque, «ci stanno arrivando molte meno richieste di emergenza, ma ciò non significa che ci siano meno situazioni di difficoltà. C’è, piuttosto, meno propensione, da parte dei servizi sociali, ad intervenire». E quando si parla di allontanamento di minori, ha aggiunto, non si deve pensare solo a quelli forzati, ma anche alle stesse richieste d’aiuto delle famiglie. «Un aspetto – ha concluso – rimasto nell’ombra in questi mesi». 
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