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Whirlpool chiude
Whirlpool chiude a Napoli 
di Ninni Raimondi
 
Ecco l’ennesima vittoria delle multinazionali 
 
Lo stabilimento di Napoli della Whirlpool cesserà le sue attività il primo di novembre. La decisione dell’azienda è maturata dopo l’incontro con il governo tenutosi qualche giorno fa. L’esecutivo, infatti, era contrario alla cessione del sito partenopeo alla Passive Refrigeration Solutions. A stretto giro è arrivata la risposta del ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli. Il successore di Di Maio si è scagliato senza giri di parole contro i vertici di Whirlpool: “Pensare che ci siano comportamenti predatori all’interno del tessuto produttivo italiano per noi non è accettabile, c’è un piano industriale firmato a ottobre 2018 che deve essere assolutamente rispettato”. I toni duri non sono bastati e probabilmente non basteranno per far cambiare idea al colosso degli elettrodomestici. 
 
Whirlpool: la vittoria di Pirro di Di Maio 
Il 30 ottobre del 2018 Luigi Di Maio, all’epoca al vertice del dicastero di Via Veneto, annunciava su Facebook: “Whirlpool non licenzierà nessuno e, anzi riporterà in Italia parte della produzione che aveva spostato in Polonia. Questo è il frutto di una lunga contrattazione che siamo riusciti a chiudere al ministero dello Sviluppo Economico. Sono quindi orgoglioso di dire che ce l’abbiamo fatta: stiamo riportando lavoro in Italia!” Il post si conclude con un tricolore. A spegnere l’entusiasmo del ministro ci pensa la stessa società. 
Nel sito della multinazionale qualche mese dopo si legge: “Per quanto riguarda lo stabilimento di Napoli, Whirlpool Emea intende procedere alla riconversione del sito e vendere l’attività a terzi in grado di garantire continuità industriale e massimi livelli di occupazione, al fine di creare le condizioni per un futuro sostenibile per Napoli. Nei prossimi giorni, Whirlpool collaborerà con i sindacati, le istituzioni nazionali e locali per definire tutti i dettagli e le tempistiche del progetto di conversione, che sarà annunciato al più presto”. È stata l’ennesima gaffe del politico pentastellato o gli americani hanno cambiato le carte in tavola? È difficile stabilire chi ha ragione. L’unica certezza è che ad avere il coltello alla parte del manico è la multinazionale americana. 
Arriviamo così a settembre quando l’azienda dichiara il sito partenopeo non sostenibile. In una nota l’azienda faceva sapere che: “I sedici milioni di euro previsti dal testo del decreto legge per il biennio 2019-2020” non bastavano. Qualcuno vedeva ancora uno spiraglio nelle trattative, ma era un’illusione ottica. Questa settimana è arrivata la doccia fredda: tra poco più di 10 giorni verranno messi i sigilli allo stabilimento di Via Argine. 
 
Quale futuro per lo stabilimento napoletano 
Cosa dovranno aspettarsi gli operai partenopei? Questo ancora è difficile dire. L’unica certezza è che i tempi sono strettissimi. L’ipotesi più credibile che circola in queste ore riguarda il coinvolgimento di Invitalia (l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa una società per azioni italiana partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia). L’ente presieduto da Domenico Arcuri con i Contratti di Sviluppo sostiene gli investimenti di grandi dimensioni nel settore industriale, turistico e di tutela ambientale. 
In questo caso, le soluzioni potrebbero essere due. Nel primo caso si parla di un contratto ad hoc in cui l’agenzia si impegna ad erogare una liquidità sufficiente a frenare il dumping salariale. La seconda opzione prevede una vera e propria riconversione industriale, come è avvenuto per Ideal Standard. Circolano anche altre idee come quella del “workers buyout”, già sperimentato con esiti in molti casi positivi in un centinaio di aziende manifatturiere. In questo caso l’azienda verrebbe rilevata dai lavoratori con il supporto dell’Agenzia diretta da Arcuri. Quest’ultima ipotesi sembra poco praticabile, finora, infatti, ha funzionato solo per aziende di piccole dimensioni.  Insomma il passaggio è stretto, e nessuno vede la luce in fondo al tunnel. 
 
Le logiche del mercato contro l’economia reale 
Sarà per questo che nelle ultime ore le posizioni del governo si sono fatte più concilianti. Per Patuanelli “i lavoratori di Napoli devono continuare a lavorare nel sito e su un prodotto che garantisca la continuità della loro attività. Se Whirlpool vuole essere accompagnata nella ricerca di una nuova mission produttiva sappia che siamo pronti a farlo”. In pratica il messaggio dell’esecutivo è chiaro: chiedete e vi sarà dato. L’esecutivo non può permettersi una guerra contro il colosso degli elettrodomestici anche perché ne uscirebbe con le ossa rotte. Gli americani hanno sempre ribadito la strategicità della loro presenza in Italia. 
 
Solo per la fabbrica campana è prevista una riconversione legata alla vendita a un soggetto terzo.  
Eppure lo stabilimento di Via Argine è stato e continua ad essere un esempio per il Meridione: produzione top di gamma, tassi di produttività al massimo, assenteismo inesistente.  
Dunque, la fuga dal capoluogo campano è dovuta alle scelte errate del management che ha puntato tutto su un prodotto che si è rivelato un flop. Pertanto, nonostante le proteste e gli scioperi, i cancelli di quella fabbrica chiuderanno presto. La politica, per dolo o per colpa, si è dimostrata impotente. Continua così la desertificazione del nostro tessuto industriale. 
Licenza Creative Commons  21 Ottobre 2019
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