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Il Punto
Il punto della situazione 
di Ninni Raimondi
 
 
         
 
Il golpe liberista contro la gloriosa Bolivia antiglobalista di Morales 
È tragicamente istruttivo quanto sta accadendo in Bolivia. Un golpe liberista, che era nell’aria da parecchio tempo. E che ora si concreta, in piena regola: esercito, bandiere arcobaleno e tutti gli altri simboli propri delle rivoluzioni colorate che si fingono volute dal basso e che in realtà sono organizzate e gestite dall’alto. Segnatamente dalla global class multinazionale, bancaria e atlantista. Non era un mistero: la Bolivia di Morales era un glorioso esempio di sovranismo socialista e patriottico, identitario e antiatlantista, a base nazionale e antiglobalista. Un esempio di resistenza contro la civiltà del McDonald’s e contro i processi della globalizzazione egemonica. Ed è per questo che i padroni del mondo hanno dichiarato guerra alla Bolivia di Morales. Obiettivo? Semplice: favorire il passaggio della Bolivia alla “democrazia”, alla “libertà” e ai “diritti umani”, ossia al nuovo ordine mondiale americanocentrico. Che alla maniera orwelliana appella pace la guerra, libertà la schiavitù e dittatura ogni governo non sottomesso alla barbarie a stelle e strisce, alla criminale monarchia del dollaro. 
Contro i barbari di Washington 
La Russia di Putin non ne sbaglia una in geopolitica.  
Appoggia il Venezuela di Maduro e ora la Bolivia di Morales. A differenza dei barbari di Washington, nemici del genere umano.  
 
Ex oriente lux.  
E ora arriva il golpe, prodotto in vitro a Washington e gestito dai signori del liberismo locale. La lezione cilena si sta ripetendo: senza che, però, stavolta si levino davvero voci critiche. Perché il nostro è il tempo del pensiero unico politicamente corretto ed eticamente corrotto. Morales sarà, forse, arrestato. Morales, lo ricordiamo, ha fatto crescere di circa il 6 per cento all’anno la Bolivia, ha ridotto le disuguaglianze e la povertà, e dulcis in fundo ha liberato la sua patria dalla servitù rispetto agli imperialisti a stelle e strisce. In luogo di Morales andrà al potere il Pinochet o il Bolsonaro di turno, il caudillo fidato servitore degli Usa e di Israele. 
La “democrazia conforme al mercato”, come risibilmente la appellò la Merkel (“marktkonforme Demokratie”), non esiste: è sic et simpliciter la bruta violenza neocannibalica del più forte camuffata come “libertà” e “democrazia”. Dalla tragica vicenda della gloriosa Bolivia del socialismo nazionale di Morales apprendiamo due lezioni: a) senza unità tra popolo e forze armate non si governa davvero il cambiamento (senza tale unità il socialismo crolla come un castello di carta); b) nessuno è al sicuro, presto o tardi la democrazia missilistica d’asporto e la rivoluzione colorata rovesciano quanti non siano allineati. Ora la Bolivia tornerà nelle grinfie del Fmi, siatene certi. Ma traiamo anche lo spunto per una considerazione generale per quanto sta accadendo nell’America Latina. La situazione non è rincuorante. 
 
Il quadro non rincuorante dell’America Latina 
In Brasile, il socialista Lula ha subito un golpe analogo al nostro Mani Pulite del 1992: un colpo di Stato giudiziario, gestito peraltro da un giudice poi entrato nel governo del pagliaccio Bolsonaro, liberista servo di Washington e Israele.  
Il Venezuela ha rischiato il colpo di Stato statunitense grazie al prodotto in vitro della Cia Guaidò. Colpo di Stato fortunatamente sventato. L’Ecuador, dopo il populismo socialista di Correa, ha avuto una strambata liberista con l’indegno successore dello stesso Correa, Lenin Moreno, contro il quale l’Ecuador è sceso eroicamente in piazza, per battersi contro il liberismo.  
E ora la Bolivia: con la denuncia di Morales, gli si vuole impedire di poter partecipare a nuove elezioni (non troppo diversamente da quanto accaduto a Lula). Il fabula docet è chiarissimo: l’imperialismo del dollaro è passato all’attacco e sta gradualmente vincendo.  
 
Ma non tutto è perduto.  
Le elezioni in Argentina e le recenti proteste in piazza in Cile contro il neoliberismo lasciano aperti tenui spiragli di speranza. Ovviamente i nostri rotocalchi nazionali sono tutti schierati da veri servi che sono con gli Usa e con il loro imperialismo. 
 
 
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Il caso Segre 
Cronaca di un’emergenza creata dal nulla 
Chi ha buona memoria ricorderà senza dubbio che nei mesi che precedettero le elezioni politiche del 4 marzo 2018, il ritorno del fascismo era un fatto imminente. O almeno questa era la narrazione creata ad arte da Repubblica, l’Espresso e i vari media di riferimento del Gruppo Gedi (famiglia De Benedetti).  
Tra fake news e fatterelli riportati in prima pagina, l’obiettivo era quello di dare una mano alla campagna elettorale della sinistra. I vari Marco Minniti, Laura Boldrini e Andrea Orlando provarono a sfruttare l’assist mediatico del Gruppo Gedi, trasferendo la questione “rischio deriva fascista per l’Italia” dal piano mediatico a quello politico, facendo proprio il mantra dell’imminente ritorno del fascismo.  
Con scarsi risultati.  
Tutti ricordano il tonfo elettorale di Pd e LeU alle elezioni del 4 marzo 2018. 
 
Dall'”onda nera” al “nuovo antisemitismo” 
Adesso ci troviamo di fronte ad una dinamica simile. L’emergenza non è più “l’onda nera pronta a travolgere l’Italia”, ma “l’antisemitismo dilagante”. I punti in comune con la campagna del 2018 sono almeno due: 1) è sempre il Gruppo Gedi a lanciare l’allarme; 2) l’operazione viene condotta attraverso una serie di fake news o notizie pompate.  
Tutto è iniziato con un articolo di Repubblica del 25 ottobre scorso a firma Pietro Colaprico in cui si diceva testualmente “la senatrice a vita riceve 200 messaggi online di insulti al giorno”.  
La fonte che il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari cita acriticamente è un rapporto dell’Osservatorio sull’antisemitismo, che verrà reso pubblico solo un paio di giorni dopo.  
Peccato però che nella relazione si parli di 197 episodi di antisemitismo in un anno (di cui solo 133 sul web) e mai di duecento al giorno. 
 
Duecento insulti al giorno alla Segre. Una bufala 
Il numero di duecento insulti che ha generato “l’onda emotiva” e giustificato “l’emergenza” dell’istituzione della commissione Segre, della successiva scorta per la senatrice, delle manifestazioni in suo sostegno etc, era semplicemente falso.  
Una fake news di Repubblica che per quasi due settimane è stata data per buona, fino a quando l’11 novembre gli articoli di Termometro Politico e Dagospia (il cui pezzo è misteriosamente scomparso da ieri…) hanno deciso di leggere attentamente il report fonte della notizia e scoprire che “Liliana Segre non ha mai ricevuto 200 insulti al giorno”.  
Articoli che hanno fatto svegliare dal torpore anche il più famoso “debunker” d’Italia, quel David Puente che per due settimane non si era posto nemmeno il dubbio della veridicità o meno del dato fornito da Repubblica. 
 
Open, Puente e il “debunking educato” 
Dunque solo il 12 novembre e in seguito agli articoli di Termometro Politico e Dagospia, su Open affrontano la questione dell’evidente fake news di Repubblica. Lo fanno in questo pezzo dove nel titolo non hanno nemmeno il coraggio di parlare di bufala o fake news, ma usano il termine “fattoide”. Testualmente dalla Treccani: “Notizia priva di fondamento, ma diffusa e amplificata dai mezzi di comunicazione di massa al punto da essere percepita come vera“.  
Quindi in soldoni una fake news, perché non chiamarla così? Nel pezzo di Puente si conferma che la notizia dei 200 insulti al giorno è stata al giorno è stata inventata di sana pianta da Colaprico, che il numero non compare né nel rapporto ufficiale dell’Osservatorio sull’antisemitismo, né su un ulteriore “rapporto riservato” che era stato citato da Repubblica e che Open ha potuto visionare. A quel punto i giornalisti del quotidiano fondato da Mentana chiamano direttamente l’Osservatorio sull’antisemitismo per capire la questione del numero degli insulti. La risposta è a dir poco vaga: l’Osservatorio sostanzialmente dice che gli insulti non si possono contare, spiegando che un “singolo episodio di antisemitismo può generare anche centinaia di commenti”. 
 
La supercazzola dell’Osservatorio sull’antisemitismo 
Dunque gli episodi e i messaggi d’odio non sono conteggiabili con precisione, e comunque il dato dei 200 insulti al giorno è semplicemente falso. Succede però una cosa incredibile: a rilanciare il dato dei 200 insulti al giorno alcuni giorni dopo la pubblicazione del rapporto è lo stesso Osservatorio sull’antisemitismo! L’Osservatorio riporta come fonte Repubblica, che a sua volta aveva utilizzato come fonte proprio il rapporto prodotto dall’Osservatorio stesso, ma falsificando il dato numerico.  
Praticamente un mostro di notizie false che si autoalimenta. Di fronte ad una tale truffa il tono di Puente resta insolitamente educato, anzi, il famoso debunker cita anche un’altra ricerca che riporta il numero di “19 mila tweet antisemiti” non specificando chi, come, dove, quando e perché avrebbe prodotto questi messaggi d’odio. 
 
Repubblica e la toppa peggio del buco 
Repubblica ha provato a controbattere con un nuovo articolo di conferma dei 200 insulti al giorno e pubblicando un nuovo comunicato ad hoc dell’Osservatorio sull’antisemitismo. Ma “la pezza è stata peggiore del buco”, come ha scritto sempre Open in un pezzo in cui si evidenzia come Colaprico abbia commesso un nuovo grossolano errore di conteggio.  
Insomma, la commissione Segre è stata istituita sull’onda emotiva generata da un articolo di Repubblica che riportava numeri fasulli, basati su un rapporto di un osservatorio di parte dove la raccolta dei dati probabilmente non è stata condotta in modo serio, dove i fatti più gravi riportati sono dei commenti sui social network in cui spesso le critiche non sono nemmeno connesse all'”odio razziale”. 
 
In Italia non esiste un’emergenza antisemitismo 
La verità è che in Italia non esiste alcuna emergenza legata all’antisemitismo. Ma tutti hanno fatto finta di crederci, con i media mainstream che si sono allineati così come la politica, a partire dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che dopo poche ore dalla pubblicazione dell’articolo di Repubblica già dice “inviterò tutte le forze politiche che stanno in Parlamento a mettersi d’accordo per introdurre norme contro il linguaggio dell’odio. Via social e a tutti i livelli“.  
Ecco dichiarata la strumentalizzazione di un personaggio inattaccabile come Liliana Segre al fine di introdurre, attraverso la commissione, una nuova stretta contro “il linguaggio odio”. Per tappare di fatto la bocca ai sovranisti, criminalizzando posizioni legittime come il “nazionalismo” o l’opposizione alla “sostituzione etnica”. 
 
Nel solco della censura Facebook 
Il tiro è evidente: non basta più il codice penale, il diritto, servono commissioni speciali per decidere cosa si può dire e cosa no, chi può parlare e chi no.  
Nel solco di quanto fatto da Facebook pochi mesi fa, con il social network pronto a censurare chi “mostra la propria ostilità nei confronti di categorie meritevoli di protezione, come gli immigrati”.  
La multinazionale americana ha svolto il ruolo di avanguardia nel negare la libertà di espressione con la scusa del contrasto all’odio. Adesso i media tradizionali e la politica seguono a ruota. 
 
Odio e violenza politica: marchio di fabbrica della sinistra 
In tutto questo la realtà è la grande assente. Perché mentre il dibattito pubblico e l’agenda politica sono determinati da emergenze farlocche, create sulla base di qualche commento social (la cui portata viene anche falsificata), l’unico odio politico che ancora esiste in Italia, quello dell’estrema sinistra, continua a produrre una violenza concreta.  
Episodi molto più gravi di un tweet, che però non meritano né ribalta mediatica né conseguenze politiche. Solo stando alla cronaca recente pensiamo agli studenti aggrediti a Torino, alle sedi di partito dove viene impedito l’accesso agli iscritti, ai giornalisti “di destra” che vengono cacciati dalle università. Sul piano delle minacce di morte e gli insulti social nemmeno a parlarne, sono migliaia tutti i giorni (chiedere per info a Francesca Totolo o Chiara Giannini).  
Anche i servizi segreti hanno ravvisato come sul piano politico il vero pericolo in termini di odio e violenza provenga da sinistra. Eppure questo non fa notizia. E soprattutto non è utile a chi deve tapparci la bocca. 
 
 
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Cento studiosi cattolici condannano Papa Francesco per “atti sacrileghi” 
Un centinaio di studiosi, religiosi e laici, condannano papa Francesco per aver compiuto “atti sacrileghi” nel corso dell’ultimo Sinodo. “Noi sottoscritti chierici, studiosi e intellettuali cattolici, protestiamo e condanniamo gli atti sacrileghi e superstiziosi commessi da Papa Francesco, il Successore di Pietro, durante il recente Sinodo sull’Amazzonia tenutosi a Roma”.  
Inizia così il documento, redatto in sette lingue e firmato da un centinaio di personalità della cultura e della scienza di tutto il mondo – tra i quali il moralista John McCarthy, il teologo Brian Harrison, lo storico Roberto De Mattei, il giurista Paolo Pasqualucci, il medievalista Claudio Pierantoni, il patrologo John Rist, il filosofo Josef Seifert, lo storico Henry Sire, la principessa Glorias Thurn und Taxis e John Henry Westen fondatore del sito LifeSiteNews – per i quali il Pontefice si è macchiato di “gravi peccati” e chi dentro la Chiesa lo seguirà rischia “la dannazione eterna”. 
 
Il documento contro Bergoglio 
Nel documento di “protesta”, i firmatari – che citano a conforto delle loro tesi, fra gli altri, i cardinali Wlater Brandmueller, Gerhard Mueller, Raymond Burke, Jorge Urosa Savino, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò e i vescovi Athanasius SchneiderJosé Luis Azcona Hermoso, Rudolf Voderholzer e Marian Eleganti – nello specifico vengono descritti sei “atti sacrileghi”, tutti legati a quella che definiscono come “l’adorazione idolatrica della dea pagana Pachamama”, novello vitello d’oro. Si tratta della statuetta che è stata sottratta durante il Sinodo sull’Amazzonia dalla chiesa di Santa Maria in Traspontina a due passi dalla Basilica di San Pietro e gettata nel fiume Tevere. 
 
Gli atti sacrileghi 
“Il 4 ottobre – scrivono i firmatari del documento – Papa Francesco ha partecipato ad un atto di adorazione idolatrica della dea pagana Pachamama. Ha permesso che questo culto avesse luogo nei Giardini Vaticani, profanando così la vicinanza delle tombe dei martiri e della chiesa dell’Apostolo Pietro. Ha partecipato a questo atto di adorazione idolatrica benedicendo un’immagine lignea della Pachamama”.  
Ma le accuse a Bergoglio non finoscono qui: “Il 7 ottobre, l’idolo della Pachamama è stato posto di fronte all’altare maggiore di San Pietro e poi portato in processione nella Sala del Sinodo. Papa Francesco ha recitato preghiere durante una cerimonia che ha coinvolto questa immagine e poi si è unito a questa processione.  
Quando le immagini in legno di questa divinità pagana sono state rimosse dalla chiesa di Santa Maria in Traspontina, dove erano state collocate sacrilegamente, e gettate nel Tevere da alcuni cattolici oltraggiati da questa profanazione della chiesa, Papa Francesco, il 25 ottobre, si è scusato per la loro rimozione e una nuova immagine di legno della Pachamama è stata restituita alla chiesa. In tal modo è incominciata un’ulteriore profanazione“. E ancora: “Il 27 ottobre, nella Messa conclusiva del Sinodo, ha ricevuto una ciotola usata nel culto idolatrico della Pachamama e l’ha collocata sull’altare. Lo stesso Papa Francesco ha confermato che queste immagini in legno sono idoli pagani. Nelle sue scuse per la rimozione di questi idoli da una chiesa cattolica, li ha chiamati specificamente Pachamama, nome di una falsa dea della madre terra secondo una credenza religiosa pagana del Sud America”. I firmatari infine ricordano che “svariate caratteristiche di queste cerimonie sono state condannate come idolatriche o sacrileghe dal cardinale Walter Brandmueller, dal cardinale Gerhard Mueller, dal cardinale Jorge Urosa Savino, dall’Arcivescovo Carlo Maria Viganò, dal vescovo Athanasius Schneider, dal vescovo José Luis Azcona Hermoso, dal vescovo Rudolf Voderholzer e dal vescovo Marian Eleganti. Infine, anche il cardinale Raymond Burke ha dato la stessa interpretazione in un’intervista”. 
 
“Papa Francesco si penta pubblicamente” 
Gli studiosi pertanto chiedono “rispettosamente a Papa Francesco di pentirsi pubblicamente e senza ambiguità, di questi peccati oggettivamente gravi e di tutte le trasgressioni pubbliche che ha commesso contro Dio e la vera religione, e di riparare questi oltraggi” e “a tutti i vescovi della Chiesa cattolica di rivolgere una correzione fraterna a Papa Francesco per questi scandali, e di ammonire i loro greggi che, in base a quanto affermato dall’insegnamento della fede cattolica divinamente rivelato, se seguiranno l’attuale Papa nell’offesa contro il Primo Comandamento, rischiano la dannazione eterna“. 
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